La civiltà dell'amore |
B238-A5
È l'espressione aggiornata nella vita pratica e collettiva di un concetto antico quanto il cristianesimo, ed è quasi la sostanza di esso.
« Vi do un comandamento nuovo: di amarvi gli uni gli altri.
Da questo conosceranno tutti che siete miei discepoli: se avrete amore gli uni per gli altri » ( Gv 13,34-35 ).
L'antichità aveva il concetto della giustizia ( non dico che la praticasse ) ma l'amore come criterio informativo generale dei rapporti umani era assente: vigeva soprattutto la legge del più forte ( forte fisicamente e giuridicamente ).
La rivoluzione operata dal cristianesimo è stata enorme, e non fa stupire che abbia richiesto tanto tempo e tanto sangue.
Anzi non è ancor finita neanche oggi e i rinascenti rigurgiti qua e là del paganesimo più crudele sono storia di ieri.
Dio volesse che almeno oggi fossero cessati, oggi che il riconoscimento dei diritti umani è sancito internazionalmente e organizzato.
Comunque un continuo richiamo all'amore cristiano è tutt'altro che superfluo e il Sommo Pontefice per primo non si lascia sfuggire alcuna occasione per ribadirlo.
Riportiamo qui di seguito alcuni tratti del discorso che Sua Santità ha rivolto ai sardi in occasione della sua visita a Nuoro nel mese di ottobre u.s.: « La civiltà dell'amore nasce da Dio, perché Dio è amore, e in Cristo questo amore, che è Dio, " è apparso fra di noi ".
È un amore, quello di Dio, che ha rivelato la sua dimensione infinita nel dono senza riserva del Crocifisso, del Figlio di Dio che si è sacrificato per noi, immolandosi sul Calvario.
È perciò dal cuore squarciato di Cristo Crocifisso che sgorga la civiltà dell'amore.
Nel santuario di quel cuore Dio si è chinato sull'uomo e gli ha fatto dono della sua misericordia, rendendolo capace di aprirsi a sua volta nella misericordia e nel perdono ai propri fratelli.
Perciò chi non accetta l'amore, chi non crede all'amore, non crede in Dio.
Ma al tempo stesso, chi non conosce Dio, chi non crede in Lui, non può credere all'amore né conoscere o desiderare la civiltà dell'amore ».
Il termine « civiltà dell'amore », se non andiamo errati, fu usato la prima volta dal Papa Paolo VI nel suo discorso all'O.N.U. ai rappresentanti delle Nazioni di tutto il mondo.
Era la prima volta che un Papa poteva rivolgere personalmente la parola ai rappresentanti di un'assemblea ufficialmente universale e così qualificata, e questa parola fu come il succo del messaggio cristiano alla società di oggi, così fiera delle sue conquiste scientifiche, ma così lontana da quella pace, che tutti desiderano, ma così poco sicura.
Il suo successore oggi è il più sincero assertore della pace e anche il più autentico diagnostico delle condizioni per ottenerla.
Finché essa poggia solamente sul timore reciproco è ben fragile ed insicura.
Ma fino a quando sarà « homo homini lupus »?
Fino a quando gli uomini non si sentiranno veramente fratelli, a qualunque stirpe appartengono?
A questo tendono anche gli sforzi dei missionari e parrebbe una prospettiva lusinghiera per tutti.
Invece il messaggio cristiano incontra molta difficoltà: gli uomini non credono nell'amore.
Hanno difficoltà a credere davvero all'amore di Dio verso di loro e invano su tutti gli altari il Crocifisso spalanca le sue braccia.
È per questo che le relazioni umane sono così difficili.
Quando si diffida di Dio, come si fa a non diffidare degli uomini, tanto più che la loro condotta li rende spesso così poco amabili?
Eppure Gesù li ha amati ed ha pagato a gran prezzo il suo amore.
Egli ha creduto nel loro amore e continua a cercare il loro amore, non solo nell'intimo di ciascuno, ma lo vuole anche nella vita sociale e in tutte le relazioni della vita pubblica, nazionale e internazionale.
Il creatore di tutte le cose e che è l'inizio di tutte le cose ha diritto di esserne anche il fine e la regola.
E poiché Egli è l'amore, la legge che ha stabilito per gli uomini è una legge di amore.
S. Giovanni Evangelista scrive addirittura: « Ama e fa quello che vuoi ».
Questo amore deve essere la regola di tutte le azioni umane, non solo singole, ma anche collettive.
Non contrasta con la giustizia, ma la comprende.
Non vieta la propria difesa, ma le pone delle regole.
Non impedisce di perseguire il proprio interesse, ma gli impone delle condizioni e dei limiti.
Rende amabile la giustizia e fa compiere grandi cose e atti eroici.
L'Apostolo Paolo nella sua prima lettera ai Corinti innalza un inno alla carità, che è un insuperabile poema.
Ma prima di parlarne Egli l'aveva praticata e la stava praticando.
E tutta la Chiesa, nei suoi duemila anni di storia, ne continua il canto e la pratica, nonché l'annuncio a tutte le genti: « tutto ciò che è vero, nobile, giusto, puro, amabile, onorevole, tutto ciò che è virtuoso e degno di lode formi l'oggetto dei vostri pensieri » ( Fil 4,8 ).
Questo appunto è il carattere della carità e il risultato di un amor vero ed illuminato.