Fede è seminare la parola |
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Riportiamo alcune riflessioni svolte da don Gianfranco Ceresa in un ritiro dello scorso anno per i Catechisti e gli Aggregati dell’Unione del Crocifisso e dell’Immacolata.
Papa Francesco con la esortazione apostolica "Evangelii gaudium", la gioia del Vangelo, offre una chiave di lettura per evangelizzare oggi: propone una Chiesa di missionari che cercano il bene e la felicità degli altri, indica un modello di Chiesa "aperta", "gioiosa", che sappia incontrare i lontani, fedele al Vangelo e con un rapporto preferenziale per i poveri.
Inizia con un inno alla gioia: la gioia del Vangelo riempie il cuore e la vita intera di coloro che incontrano Gesù.
Il papa indica come annunciare oggi la buona notizia a tutti gli uomini della società postmoderna: uno "stato permanente di missione", vincendo il grande rischio del mondo attuale, quello di cadere in "una tristezza individualista", che assale anche i cristiani, chiamati a vivere in una società difficile, a confrontarsi con il secolarismo, il pluralismo religioso e culturale e l'indifferentismo.
Esorta tutti a uscire da se stessi per portare la gioia e la salvezza a tutti, perché "il bene deve comunicarsi".
Chi ha una vera fede in Cristo deve desiderare di comunicarla anche ad altri.
Chi pensa solo a salvare se stesso, non ama Cristo, è un egoista.
Facciamo nostre le parole di san Paolo apostolo: « Guai a me se non annuncio il Vangelo! » ( 1 Cor 9,16 - EG 9 ).
La vita si rafforza donandola e s'indebolisce nell'isolamento egoista e in una vita comoda.
Realizzano la vita coloro che lasciano la riva sicura e s'impegnano nella missione di comunicare la vita agli altri.
Quando la Chiesa chiama i cristiani a essere evangelizzatori, li chiama anche alla realizzazione personale, perché la vita cresce e matura nella misura in cui la doniamo agli altri.
La missione è questo.
L'evangelizzatore non deve avere una faccia da funerale; deve avere la gioia di evangelizzare, anche quando occorre seminare con le lacrime.
Il nostro tempo deve ricevere la Buona Novella non da cristiani tristi e scoraggiati, impazienti e ansiosi, ma da cristiani la cui vita irradia fervore e che abbiano ricevuto per primi la gioia di Cristo ( EG 10 ).
Non dobbiamo aspettarci applausi per questo impegno, perché la fede "conserva sempre un aspetto di croce" ( EG 42 ).
Però, come l'apostolo Paolo, "un cristiano deve annunziare Gesù Cristo in una maniera che venga accettato, ricevuto, non rifiutato!" ( Om. S. Marta 8-5-2013 ).
In fondo, sottolinea il papa, oggi viviamo tempi buoni in cui si possono e si devono costruire ponti e non muri.
"Condividere l'esperienza della fede" è un mandato per ogni cristiano, in forza del battesimo.
Il papa ha ricordato ai giovani che sono loro il campo su cui il Signore stesso semina la parola e sono il cantiere in cui si costruisce "un mondo migliore".
Li invita a "non guardare la vita dal balcone" ma a buttarsi in essa, incominciando, come ricordava madre Teresa, "da te e da me" ( Rio 27 -7-2013 ).
Parlando ai catechisti, ricorda quello che ha detto Benedetto XVI: "La Chiesa non cresce per proselitismo.
Cresce per attrazione".
E quello che attrae è la testimonianza.
Essere catechista significa essere testimone della fede, con una vita coerente.
Questo non è facile.
Noi portiamo all'incontro con Gesù con le parole, con la testimonianza, con la vita.
Ricordiamo quello che san Francesco diceva ai suoi frati: "Predicate sempre il Vangelo e, se fosse necessario, anche con le parole".
Prima quindi la testimonianza della vita, poi vengono le parole.
La gente deve vedere e leggere il vangelo nella nostra vita.
"Essere" catechisti chiede amore sempre più forte a Cristo e amore al popolo di Dio.
E questo amore non si compra nei negozi, neppure a piazza S. Pietro, ma viene da Cristo!
Per essere missionari, catechisti, formatori, educatori, genitori, dobbiamo ripartire da Cristo, dall'amore che Lui ci dà e che noi ridiamo a Lui, dandolo agli altri.
Non bisogna "lavorare da catechisti" ma "essere catechisti", come non bisogna lavorare da genitore, ma essere genitore e così via …
Questo significa "avere familiarità con Cristo", imitarlo nell'uscire da sé e andare incontro all'altro", "non aver paura di andare nelle periferie" ( Cat. 27-9-2013 ).
In questo senso, ripartire da Cristo significa tre cose:
Gesù lo raccomanda con insistenza ai discepoli nell'Ultima Cena, quando si avvia a vivere il dono più alto di amore, il sacrificio della Croce.
Gesù utilizza l'immagine della vite e dei tralci ( Gv 15,1ss ) e dice: rimanete nel mio amore, rimanete attaccati a me, come il tralcio è attaccato alla vite.
Se siamo uniti a Lui possiamo portare molto frutto.
Rimanere in Gesù è un rimanere uniti a Lui, dentro di Lui, parlando con Lui; è stare con il Maestro, ascoltarlo, seguirlo.
É un cammino che dura tutta la vita.
É una bella esperienza ma un po' paradossale.
Perché chi mette Cristo al centro della propria vita, si decentra!
Più ti unisci a Gesù e più Lui diventa il centro della tua vita, più Lui ti fa uscire da te stesso, ti decentra e ti apre agli altri.
Questo è il vero dinamismo dell'amore.
Dio è il centro, ma è sempre dono di sé, relazione, vita che si comunica …
Così diventiamo anche noi, se rimaniamo uniti a Cristo, Lui ci fa entrare in questo dinamismo dell'amore che si dona.
Dove c'è vera vita in Cristo, c'è apertura all'altro, nel nome di Cristo.
E questo è il lavoro del catechista, del genitore, ecc.: uscire continuamente da sé per amore, per testimoniare Gesù, parlare di Gesù, predicare Gesù.
Questo lo fa il Signore, perché è proprio Lui che ci spinge a uscire e a donarci.
Qui viene in mente la storia di Giona, una figura davvero con schemi ben chiari.
Perciò quando il Signore lo chiama e gli dice di andare a predicare a Ninive, la grande città pagana, Giona non se la sente.
Ninive è alla periferia del suo mondo.
E allora, in un primo tempo scappa, ma poi la converte.
Che cosa ci insegna?
Ci insegna a non aver paura di uscire dai nostri schemi per seguire Dio.
Dio non ha paura delle periferie.
Ma se voi andate alle periferie, lo troverete lì.
Dio è sempre fedele, è creativo.
Ma non si capisce un catechista, un missionario ecc. che non sia creativo.
Il movimento dell'uscita da sé diventa essenziale per seminare la parola; la fede dovuta all'incontro con Cristo, è una specie di rivoluzione copernicana perché "toglie noi e mette Dio al centro" ( Catechisti 27-9-2013 ).
Gianfranco Ceresa