Domenica, 17 ottobre 1971
Massimiliano Maria Kolbe, Beato.
Che cosa vuol dire?
Vuol dire che la Chiesa riconosce in lui una figura eccezionale, un uomo in cui la grazia di Dio e l'anima di lui si sono così incontrate da produrre una vita stupenda, nella quale chi bene la osserva scopre questa simbiosi d'un duplice principio operativo, il divino e l'umano, misterioso l'uno, sperimentabile l'altro, trascendente ma interiore l'uno, naturale l'altro ma complesso e dilatato, fino a raggiungere quel singolare profilo di grandezza morale e spirituale che chiamiamo santità, cioè perfezione raggiunta sul parametro religioso, che, come si sa, corre verso le altezze infinite dell'Assoluto.
Beato dunque vuol dire degno di quella venerazione, cioè di quel culto permissivo, locale e relativo, che implica l'ammirazione verso chi ne è l'oggetto per qualche suo insolito e magnifico riflesso dello Spirito santificante.
Beato vuol dire salvo e glorioso.
Vuol dire cittadino del cielo, con tutti i segni peculiari del cittadino della terra;
vuol dire fratello e amico, che sappiamo ancora nostro, anzi più che mai nostro, perché identificato come membro operoso della comunione dei Santi, la quale è quel corpo mistico di Cristo, la Chiesa vivente sia nel tempo che nell'eternità;
vuol dire avvocato perciò, e protettore nel regno della carità, insieme con Cristo « sempre vivo da poter intercedere per noi ( Eb 7,25; cfr. Rm 8,34 );
vuol dire finalmente campione esemplare, tipo di uomo, al quale possiamo uniformare la nostra arte di vivere, essendo a lui, al beato, riconosciuto il privilegio dell'apostolo Paolo, di poter dire al popolo cristiano: « siate imitatori di me, come io lo sono di Cristo » ( 1 Cor 4,16; 1 Cor 11,1; Fil 3,17; cfr. 1 Ts 3,7 ).
Così possiamo da oggi considerare Massimiliano Kolbe, il nuovo beato.
Ma chi è Massimiliano Kolbe?
Voi lo sapete, voi lo conoscete.
Così vicino alla nostra generazione, così imbevuto della esperienza vissuta di questo nostro tempo, tutto si sa di lui.
Forse pochi altri processi di beatificazione sono documentati come questo.
Solo per la nostra moderna passione della verità storica leggiamo, quasi in epigrafe, il profilo biografico di Padre Kolbe, dovuto ad uno dei suoi più assidui studiosi.
« Il P. Massimiliano Kolbe nacque a Zdusnka Wola, vicino a Lodz, l'otto gennaio 1894.
Entrato nel 1907 nel Seminario dei Frati Minori Conventuali, fu inviato a Roma per continuare gli studi ecclesiastici nella Pontificia Università Gregoriana e nel "Seraphicum" del suo Ordine.
Ancora studente, ideò un'istituzione, la Milizia della Immacolata.
Ordinato sacerdote il 28 aprile 1918 e tornato in Polonia cominciò il suo apostolato mariano, specialmente con la pubblicazione mensile Rycerz Niepokalanej ( il Cavaliere della Immacolata ), che raggiunse il milione di copie nel 1938.
Nel 1927 fondò la Niepokalanbw ( Città dell'Immacolata ), centro di vita religiosa e di diverse forme di apostolato.
Nel 1930 partì per il Giappone, ove fondò un'altra simile istituzione.
Tornato definitivamente in Polonia si dedicò interamente alla sua opera, con diverse pubblicazioni religiose.
La seconda guerra mondiale lo sorprese a capo del più imponente complesso editoriale della Polonia.
Il 19 settembre 1939 fu arrestato dalla Gestapo, che lo deportò prima a Lamsdorf ( Germania ), poi nel campo di concentramento preventivo di Amtitz.
Rilasciato il giorno 8 dicembre 1939, tornò a Niepokalanow, riprendendo l'attività interrotta.
Arrestato di nuovo nel 1941 fu rinchiuso nel carcere di Pawiak, a Varsavia, e poi deportato nel campo di concentramento di Oswiecim ( Auschwitz ).
Avendo offerta la vita al posto di uno sconosciuto condannato a morte, quale rappresaglia per la fuga d'un prigioniero, fu rinchiuso in un Bunker per morirvi di fame.
Il 14 agosto 1941, vigilia dell'Assunta, finito da una iniezione di veleno, rendeva la sua bell'anima a Dio, dopo aver assistito e confortato i suoi compagni di sventura.
Il suo corpo fu cremato » ( Padre Ernesto Piacentini, O.F.M. Conv. ).
Ma in una cerimonia come questa il dato biografico scompare nella luce delle grandi linee maestre della figura sintetica del nuovo Beato; e fissiamo per un istante lo sguardo su queste linee, che lo caratterizzano e lo consegnano alla nostra memoria.
Massimiliano Kolbe è stato un apostolo del culto alla Madonna, vista nel suo primo, originario, privilegiato splendore, quello della sua definizione di Lourdes : l'Immacolata Concezione.
Impossibile disgiungere il nome, l'attività, la missione del Beato Kolbe da quello di Maria Immacolata.
È lui che istituì la Milizia dell'Immacolata, qui a Roma, ancora prima d'essere ordinato Sacerdote, il 16 ottobre 1917.
Ne possiamo oggi commemorare l'anniversario.
È noto come l'umile e mite Francescano, con incredibile audacia e con straordinario genio organizzativo, sviluppò l'iniziativa e fece della devozione alla Madre di Cristo, contemplata nella sua veste solare ( Cfr. Ap 12,1 ) il punto focale della sua spiritualità, del suo apostolato, della sua teologia.
Nessuna esitazione trattenga la nostra ammirazione, la nostra adesione a questa consegna che il nuovo Beato ci lascia in eredità e in esempio, come se anche noi fossimo diffidenti d'una simile esaltazione mariana, quando due altre correnti teologiche e spirituali, oggi prevalenti nel pensiero e nella vita religiosa, quella cristologica e quella ecclesiologica, fossero in competizione con quella mariologica.
Nessuna competizione.
Cristo, nel pensiero del Kolbe, conserva non solo il primo posto, ma l'unico posto necessario e sufficiente, assolutamente parlando, nell'economia della salvezza; né l'amore alla Chiesa e alla sua missione è dimenticato nella concezione dottrinale o nella finalità apostolica del nuovo Beato.
Anzi proprio dalla complementarietà subordinata della Madonna, rispetto al disegno cosmologico, antropologico, soteriologico di Cristo, Ella deriva ogni sua prerogativa, ogni sua grandezza.
Ben lo sappiamo.
E Kolbe, come tutta la dottrina, tutta la liturgia e tutta la spiritualità cattolica, vede Maria inserita nel disegno divino, come « termine fisso d'eterno consiglio », come la piena di grazia, come la sede della Sapienza, come la predestinata alla Maternità di Cristo, come la regina del regno messianico ( Lc 1,33 ) e nello stesso tempo l'ancella del Signore, come l'eletta a offrire all'Incarnazione del Verbo la sua insostituibile cooperazione, come la Madre dell'uomo-Dio, nostro Salvatore, « Maria è Colei mediante la quale gli uomini arrivano a Gesù, e Colei mediante la quale Gesù arriva agli uomini » ( L. Bouyer, Le trône de la Sagesse, p. 69 ).
Non è perciò da rimproverare il nostro Beato, né la Chiesa con lui, per l'entusiasmo che è dedicato al culto della Vergine;
esso non sarà mai pari al merito,
né al vantaggio d'un tale culto, proprio per il mistero di comunione che unisce Maria a Cristo, e che trova nel Nuovo Testamento una avvincente documentazione;
non ne verrà mai una « mariolatria », come non mai sarà oscurato il sole dalla luna;
né mai sarà alterata la missione di salvezza propriamente affidata al ministero della Chiesa, se questa saprà onorare in Maria una sua Figlia eccezionale e una sua Madre spirituale.
L'aspetto caratteristico, se si vuole, ma per sé punto originale, della devozione, della « iperdulia », del Beato Kolbe a Maria è l'importanza ch'egli vi attribuisce in ordine ai bisogni presenti della Chiesa, all'efficacia della sua profezia circa la gloria del Signore e la rivendicazione degli umili, alla potenza della sua intercessione, allo splendore della sua esemplarità, alla presenza della sua materna carità.
Il Concilio ci ha confermati in queste certezze, ed ora dal cielo Padre Kolbe ci insegna e ci aiuta a meditarle e a viverle.
Questo profilo mariano del nuovo Beato lo qualifica e lo classifica fra i grandi santi e gli spiriti veggenti, che hanno capito, venerato e cantato il mistero di Maria.
Poi il tragico e sublime epilogo della vita innocente e apostolica di Massimiliano Kolbe.
A questo è principalmente dovuta la glorificazione che oggi la Chiesa celebra dell'umile, mite, operoso religioso, alunno esemplare di S. Francesco e cavaliere innamorato di Maria Immacolata.
Il quadro della sua fine nel tempo è così orrido e straziante, che preferiremmo non parlarne, non contemplarlo mai più, per non vedere dove può giungere la degradazione inumana della prepotenza che si fa dell'impassibile crudeltà su esseri ridotti a schiavi indifesi e destinati allo sterminio il piedistallo di grandezza e di gloria; e furono milioni codesti essere sacrificati all'orgoglio della forza e alla follia del razzismo.
Ma bisogna pure ripensarlo questo quadro tenebroso per potervi scorgere, qua e là, qualche scintilla di superstite umanità.
La storia non potrà, ahimé!, dimenticare questa sua pagina spaventosa.
E allora non potrà non fissare lo sguardo esterrefatto sui punti luminosi che ne denunciano, ma insieme ne vincono l'inconcepibile oscurità.
Uno di questi punti, e forse il più ardente e il più scintillante è la figura estenuata e calma di Massimiliano Kolbe.
Eroe calmo e sempre pio e sospeso a paradossale e pur ragionata fiducia.
Il suo nome resterà fra i grandi, svelerà quali riserve di valori morali fossero giacenti fra quelle masse infelici, agghiacciate dal terrore e dalla disperazione.
Su quell'immenso vestibolo di morte, ecco aleggiare una divina e imperitura parola di vita, quella di Gesù che svela il segreto del dolore innocente: essere espiazione, essere vittima, essere sacrificio, e finalmente essere amore: « Non vi è amore più grande che quello di dare la propria vita per i propri amici » ( Gv 15,13 ).
Gesù parlava di sé nell'imminenza della sua immolazione per la salvezza degli uomini.
Gli uomini sono tutti amici di Gesù, se almeno ascoltano la sua parola.
Padre Kolbe realizzò, nel fatale campo di Oswiecim, la sentenza dell'amore redentore.
A duplice titolo.
Chi non ricorda l'episodio incomparabile?
« Sono un sacerdote cattolico », egli disse offrendo la propria vita alla morte - e quale morte! - per risparmiare alla sopravvivenza uno sconosciuto compagno di sventura, già designato per la cieca vendetta.
Fu un momento grande: l'offerta era accettata.
Essa nasceva dal cuore allenato al dono di sé, come naturale e spontanea quasi come una conseguenza logica del proprio Sacerdozio.
Non è un Sacerdote un « altro Cristo »?
Non è stato Cristo Sacerdote la vittima redentrice del genere umano?
Quale gloria, quale esempio per noi Sacerdoti ravvisare in questo nuovo Beato un interprete della nostra consacrazione e della nostra missione!
Quale ammonimento in quest'ora d'incertezza nella quale la natura umana vorrebbe tal volta far prevalere i suoi diritti sopra la vocazione soprannaturale al dono totale a Cristo in chi è chiamato alla sua sequela!
E quale conforto per la dilettissima e nobilissima schiera compatta e fedele dei buoni Preti e Religiosi, che, anche nel legittimo e lodevole intento di riscattarla dalla mediocrità personale e dalla frustrazione sociale, così concepiscono la loro missione: sono Sacerdote cattolico, perciò io offro la mia vita per salvare quella degli altri!
Sembra questa la consegna che il Beato lascia particolarmente a noi, ministri della Chiesa di Dio, e analogamente a quanti di essa ne accettano lo Spirito.
E a questo titolo sacerdotale un altro si aggiunge; un altro comprovante che il sacrificio del Beato aveva la sua motivazione in una amicizia: egli era Polacco.
Come Polacco era condannato a quell'infausto « Lager », e come Polacco egli scambiava la sua sorte con quella a cui il connazionale Francesco Gajownicek era destinato; cioè subiva la pena crudele e mortale in vece di lui.
Quante cose sorgono nell'animo a ricordo di questo aspetto umano, sociale ed etnico della morte volontaria di Massimiliano Kolbe, figlio lui pure della nobile e cattolica Polonia!
Il destino storico di sofferenza di questa Nazione pare documentare in questo caso tipico ed eroico
la vocazione secolare del Popolo Polacco a trovare nella comune passione la sua coscienza unitaria,
la sua missione cavalleresca alla libertà raggiunta nella fierezza del sacrificio spontaneo dei suoi figli,
e la loro prontezza a darsi gli uni per gli altri per il superamento della loro vivacità in una invitta concordia,
il suo carattere indelebilmente cattolico che lo sigilla membro vivente e paziente della Chiesa universale,
la sua ferma convinzione che nella prodigiosa, ma sofferta protezione della Madonna è il segreto della sua rinascente floridezza,
sono raggi iridescenti che si effondono dal novello martire della Polonia e fanno risplendere l'autentico volto fatidico di questo Paese, e ci fanno invocare dal Beato suo tipico eroe la fermezza nella fede, l'ardore nella carità, la concordia, la prosperità e la pace di tutto il suo Popolo.
La Chiesa e il mondo ne godranno insieme.
Così sia.