Martedì, 21 ottobre 2014
I cristiani sono chiamati a essere uomini e donne di speranza, uniti dalla certezza di un Dio che non abbandona.
Lo ha ricordato Papa Francesco nel corso della messa celebrata a Santa Marta martedì 21 ottobre.
Commentando la liturgia del giorno e il Vangelo di Luca ( Lc 12,35-38 ) nel quale Gesù invita i suoi discepoli a essere come i servi che attendono vigili il ritorno del padrone dalle nozze, il Pontefice ha chiesto: « Ma chi è questo signore, questo padrone, che viene da quella festa di nozze, che viene a notte alta? ».
La risposta viene dallo stesso Gesù: « Sono io che sono venuto a servirti, a stringermi le vesti, a farvi mettere a tavola, a servirvi ».
Gesù - lo ribadisce anche san Paolo nella Lettera agli Efesini ( Ef 2,12-22 ) - è colui che è « venuto a servire, non a essere servito ».
E il primo dono che abbiamo ricevuto da lui è quello di un'identità.
Gesù ci ha dato « cittadinanza, appartenenza a un popolo, nome, cognome ».
Riprendendo le parole dell'apostolo, il quale ricorda ai pagani che quando erano senza Cristo erano « esclusi dalla cittadinanza », Francesco ha sottolineato: « Senza Cristo non abbiamo un'identità ».
Grazie a lui, infatti, da divisi che eravamo siamo diventati un « popolo ».
Eravamo « nemici, senza pace », isolati, ma Gesù « col suo sangue ci ha accomunato ».
È ancora san Paolo lo spunto per approfondire questo tema.
Nella Lettera agli Efesini si legge: « Egli, infatti, è la nostra pace, che di tutti ha fatto una sola cosa e in pace, abbattendo il muro di separazione che divide ».
Tutti noi sappiamo, ha ricordato il vescovo di Roma, che « quando non siamo in pace con le persone, c'è un muro che ci divide ».
Ma Gesù « ci offre il suo servizio di abbattere questo muro ».
Grazie a lui « possiamo incontrarci ».
Da popolo disgregato, composto da uomini isolati gli uni dagli altri, Gesù con il suo servizio « ci ha avvicinato tutti, ci ha fatto un solo corpo ».
E lo ha fatto riconciliandoci tutti in Dio.
Così « da nemici » siamo divenuti « amici » e da « estranei » ora possiamo sentirci « figli ».
« Ma qual è la condizione » per cui da « stranieri », da « gente di strada », siamo messi in grado di diventare « concittadini dei santi »?
Avere - ha risposto il Papa - la fiducia del ritorno del padrone dalle nozze, di Gesù.
Occorre « aspettarlo » ed essere sempre pronti: « Chi non aspetta Gesù, chiude la porta a Gesù, non lo lascia fare quest'opera di pace, di comunità, di cittadinanza; di più: di nome ».
Quel nome che ci ricorda chi realmente noi siamo: « figli di Dio ».
Perciò « il cristiano è un uomo o una donna di speranza », perché « sa che il Signore verrà »
E quando questo accadrà, anche se « non sappiamo l'ora », non vorrà più « trovarci isolati, nemici », bensì come lui ci ha resi grazie al suo servizio: « amici, vicini, in pace ».
Per questo è importante, ha concluso Papa Francesco, chiedersi: « Come aspetto Gesù? ».
Ma soprattutto: « Io aspetto o non aspetto » Gesù?
Tante volte, infatti, anche noi cristiani « ci comportiamo come i pagani » e « viviamo come se niente dovesse accadere ».
Dobbiamo fare attenzione a non essere come « l'egoista pagano », che agisce come se egli stesso « fosse un dio » e pensa: « Io mi arrangio da solo »
Chi si regola in questa maniera « finisce male, finisce senza nome, senza vicinanza, senza cittadinanza ».
Ognuno di noi deve invece domandarsi: « Ci credo in questa speranza, che lui verrà? ».
E ancora: « Io ho il cuore aperto, per sentire il rumore, quando bussa alla porta, quando apre la porta? ».