Lunedì, 3 novembre 2014
« I sentimenti di un vescovo » o « la gioia di un vescovo ».
È stato proprio Papa Francesco a indicare il titolo ideale per il passo della Lettera di san Paolo ai Filippesi ( Fil 2,1-4 ) proposto dalla liturgia di lunedì 3 novembre.
E ha messo in guardia dalle rivalità e dalla vanagloria che minano la vita della Chiesa, dove invece bisogna far tesoro delle indicazioni di Gesù e anche di Paolo: non cercare il proprio interesse ma servire umilmente gli altri senza chiedere nulla in cambio.
Ed è su questo tema che ha centrato l'omelia nella messa celebrata nella cappella della Casa Santa Marta.
Paolo sviluppa questi consigli pratici, ha spiegato il Pontefice, in un testo dove « fa vedere quali sono i suoi sentimenti verso i Filippesi: forse la Chiesa di Filippi era quella che lui più amava ».
E « incomincia come chiedendo un favore, un piacere ».
Infatti scrive: « Se c'è qualche consolazione, se c'è qualche conforto, frutto della carità, se c'è qualche comunione di spirito, se ci sono sentimenti di amore e di compassione », insomma, « se voi siete così, fatemi questo favore: rendete piena la mia gioia ».
Dunque, Paolo chiede espressamente ai Filippesi che « rendano piena la gioia del vescovo ».
E « qual è la gioia del vescovo?
Qual è la gioia che Paolo chiede alla Chiesa di Filippi? ».
La risposta è « avere un medesimo sentire con la stessa carità, rimanendo unanimi e concordi ».
Ecco che « Paolo, come pastore, sapeva che questa è la strada di Gesù.
E, anche, che questa è la grazia che Gesù, nella preghiera dopo la Cena, ha chiesto al Padre: l'unità; la concordia; che i discepoli rimanessero unanimi e concordi con la stessa carità e il medesimo sentire, cioè l'armonia della Chiesa ».
« Tutti sappiamo - ha spiegato Francesco - che questa armonia è una grazia: la fa lo Spirito Santo, ma noi dobbiamo fare, da parte nostra, di tutto per aiutare lo Spirito Santo a fare questa armonia nella Chiesa »; e anche « per aiutare a capire quello che lui chiede alla Chiesa ».
Lo Spirito, infatti, « dà consigli, diciamo così, per via negativa: cioè non fate questo, non fate quello! ».
E « cosa non devono fare i Filippesi? ».
Lo dice Paolo: « Non fate nulla per rivalità o vanagloria ».
E così, ha fatto notare Papa Francesco, « si vede che questa non è soltanto cosa del nostro tempo » ma « viene da lontano ».
Paolo dunque raccomanda di non fare nulla per « rivalità », di « non lottare l'uno contro l'altro, neppure per farsi vedere, per darsi l'aria di essere migliore degli altri ».
E « quante volte - ha fatto notare il vescovo di Roma - nelle nostre istituzioni, nella Chiesa, nelle parrocchie, per esempio, nei collegi, troviamo la rivalità, il farsi vedere, la vanagloria ».
Si tratta di « due tarli che mangiano la consistenza della Chiesa, la rendono debole: la rivalità e la vanagloria vanno contro questa armonia, questa concordia ».
Per non cadere in queste tentazioni « cosa consiglia Paolo? ». Lo scrive ai Filippesi: « Ciascuno di voi, con tutta umiltà - cosa deve fare con umiltà? - consideri gli altri superiori a se stesso ».
Paolo « sentiva questo », tanto che « lui si qualifica non degno di essere chiamato apostolo ».
Si definisce « l'ultimo » e così « anche si umilia fortemente ».
Questo era « un suo sentimento: pensare che gli altri erano superiori a lui ».
Sulla stessa linea, Francesco ha ricordato la testimonianza del santo peruviano Martino de Porres, umile frate domenicano, di cui il 3 novembre ricorre la memoria liturgica.
« La sua spiritualità - ha spiegato - era nel servizio perché sentiva che tutti gli altri, anche i più grandi peccatori, gli erano superiori.
Lo sentiva davvero ».
Oltretutto, « è uno dei nostri tempi più vicini, che viveva così », con « umiltà ».
« La gioia del vescovo - ha perciò riaffermato il Papa - è questa unità della Chiesa: umiltà, senza rivalità o vanagloria ».
E poi Paolo continua: « Ciascuno non cerchi l'interesse proprio, ma anche quello degli altri ».
Occorre dunque « cercare il bene dell'altro.
Servire gli altri ».
Proprio « questa è la gioia di un vescovo quando vede la sua Chiesa così: un medesimo sentire, la stessa carità, rimanendo unanimi e concordi ».
E « questa è l'aria che Gesù vuole nella Chiesa.
Si possono avere opinioni diverse, va bene!
Ma sempre dentro quest'area, quest'atmosfera di umiltà, carità, senza disprezzare nessuno ».
Paolo raccomanda chiaramente di « non cercare l'interesse proprio, ma anche quello degli altri ».
Insomma, esorta a « non cercare di approfittare per sé stessi » guardando esclusivamente al proprio interesse.
Ed « è brutto - ha detto Francesco - quando nelle istituzioni della Chiesa, di una diocesi, troviamo nelle parrocchie gente che cerca il suo interesse, non il servizio, non l'amore ».
È quello che anche « Gesù ci dice nel Vangelo: non cercare il proprio interesse, non andare sulla strada del contraccambio, del do ut des ».
Insomma, non dire: « Ma sì, io ti ho fatto questo favore, ma tu mi fai questo ».
Gesù lo ricorda con la parabola del Vangelo di Luca ( Lc 14,12-14 ) che racconta l'invito a cena di « quelli che non possono contraccambiare niente: è la gratuità ».
« Quando in una Chiesa - ha sottolineato il Pontefice - c'è l'armonia, c'è l'unità, non si cerca il proprio interesse, c'è questo atteggiamento di gratuità ».
Così « io faccio il bene » e non « un affare con il bene ».
C'è in giro, invece, un'« abitudine all'utilitarismo »; ma « la carità che chiede Paolo respinge l'utilitarismo: fai il bene, umile, agli altri che tu nel tuo cuore consideri migliori di te ».
Francesco ha suggerito di pensare durante la giornata a « com'è la mia parrocchia » o « com'è la mia comunità ».
E di chiedersi se queste realtà e tutte le nostre istituzioni, hanno « questo spirito di sentimenti di amore, di unanimità, di concordia, senza rivalità o vanagloria ».
Vivono « con l'umiltà e il pensare che gli altri sono superiori a noi? ».
C'è davvero « questo spirito » o « forse troveremo che c'è qualcosa da migliorare? ».
Allora - ha esortato - è bene domandarci « oggi come posso migliorare questo ».
E seguire così il consiglio di Paolo, « perché la gioia sua, del vescovo, sia piena; perché la gioia di Gesù sia piena ».