Giovedì, 22 settembre 2016
È la vanità, insieme alla cupidigia e alla superbia, una delle « radici di tutti i mali » nel cuore di ogni persona.
La corsa affannosa, così tipica dei nostri tempi, « per fingere, per sembrare, per apparire » non porta a nulla, « non ci dà un vero guadagno » e lascia l'inquietudine nell'anima.
La vanitas vanitatum del Qoèlet ( Qo 1,2-11 ), proposta dalla liturgia del giorno, è stata al centro della meditazione di Papa Francesco durante la messa celebrata a Santa Marta giovedì 22 settembre.
Punto di partenza, però, è stata l'inquietudine del re Erode Antipa descritta nel Vangelo di Luca ( Lc 9,7-9 ).
Il sovrano infatti « era inquieto » perché quel Gesù di cui tutti parlavano « era per lui come una minaccia ».
Alcuni pensavano che fosse Giovanni, ma il re si ripeteva: « Giovanni, l'ho fatto decapitare io, chi è dunque costui, del quale sento dire queste cose? ».
Un'inquietudine, ha fatto notare il Pontefice, che ricorda quella del padre, Erode il grande, il quale, quando giunsero i magi per adorare Gesù, « era stato preso da spavento ».
Nella nostra anima, ha spiegato il Papa, « c'è la possibilità di avere due inquietudini: quella buona, che è l'inquietudine dello Spirito Santo, che ci dà lo Spirito Santo, e fa che l'anima sia inquieta per fare cose buone, per andare avanti; e c'è anche la cattiva inquietudine, quella che nasce da una coscienza sporca ».
Proprio quest'ultima caratterizzava i due sovrani contemporanei di Gesù: « Avevano la coscienza sporca e per questo erano inquieti, perché avevano fatto cose brutte e non avevano pace, e ogni avvenimento sembrava per loro una minaccia ».
Del resto, il loro modo di risolvere i problemi era uccidere, e andavano avanti passando « sopra i cadaveri della gente ».
Chi come loro, ha spiegato Francesco, « fa del male », ha « la coscienza sporca e non può vivere in pace »: l'inquietudine li tormenta e vivono « in un prurito continuo, in una orticaria che non li lascia in pace ».
Una realtà interiore sulla quale si è concentrata la riflessione del Papa: « Questa gente ha fatto il male, ma il male ha sempre la stessa radice, qualsiasi male: la cupidigia, la vanità e la superbia ».
Tutte e tre, ha aggiunto, « non ti lasciano la coscienza in pace », tutte impediscono che entri « la sana inquietudine dello Spirito Santo », e « portano a vivere così: inquieti, con paura ».
A questo punto, sollecitato dalla prima lettura, il Pontefice si è soffermato sulla vanità: « Vanità delle vanità, vanità delle vanità … Tutto è vanità ».
L'espressione del Qoèlet, ha notato, può apparire « un po' pessimista », anche se in realtà « non tutto è così: c'è gente buona ».
Ma, ha spiegato Francesco, « il testo vuol sottolineare questa tentazione tanto nostrana, che è anche la prima dei nostri padri: essere come Dio ».
La vanità, infatti, « ci gonfia », ma « non ha lunga vita, perché è come una bolla di sapone » e non porta mai « un vero guadagno ».
Eppure l'uomo, « si affanna per apparire, per fingere, per sembrare ».
In parole povere: « La vanità è truccare la propria vita.
E questo ammala l'anima, perché uno trucca la propria vita per apparire, per sembrare, e tutte le cose che fa sono per fingere, per vanità, ma alla fine cosa guadagna? ».
Per far meglio comprendere questa realtà interiore, il Papa ha usato alcune immagini concrete: « La vanità è come una "osteoporosi" dell'anima: le ossa di fuori sembrano buone, ma dentro sono tutte rovinate ».
E ancora: « La vanità ci porta alla truffa; come i truffatori segnano le carte per guadagnare.
Poi questa vittoria è finta, non è vera.
Questa è la vanità: vivere per fingere, vivere per sembrare, vivere per apparire.
E questo inquieta l'anima ».
A tale riguardo, ha ricordato il Papa, san Bernardo si esprimeva rivolgendosi al vanitoso con una parola « fin troppo forte »: « Ma pensa a quello che tu sarai.
Sarai pasto dei vermi ».
Come a dire: « tutto questo truccarti la vita è una bugia, perché ti mangeranno i vermi e non sarai niente ».
Ma « dov'è la forza della vanità? », si è chiesto Francesco.
« Spinti dalla superbia, verso le cattiverie » non si vuole « permettere che si veda uno sbaglio », si tende a « coprire tutto ».
È vero che c'è tanta « gente santa »; ma è altrettanto vero che c'è gente di cui si pensa: « Che buona persona! Va a messa tutte le domeniche.
Fa grosse offerte alla Chiesa », senza accorgersi dell'« osteoporosi », della « corruzione che hanno dentro ».
Del resto, « la vanità è questo: ti fa apparire con una faccia di immaginetta e poi la tua verità dentro è ben altra ».
Di fronte a ciò, ha concluso il Papa, « dov'è la nostra forza e la sicurezza, il nostro rifugio? ».
Anche la risposta giunge dalla liturgia.
Nel salmo del giorno, infatti, si legge: « Signore tu sei stato per noi un rifugio di generazione in generazione ».
E nel canto al Vangelo si ricordano le parole di Gesù: « Io sono la via, la verità e la vita ».
Questa, ha detto Francesco, « è la verità, non il trucco della vanità ».
Perciò è importante pregare « che il Signore ci liberi da queste tre radici di tutti i mali: la cupidigia, la vanità e la superbia.
Ma soprattutto dalla vanità, che ci fa tanto male ».