Venerdì, 9 dicembre 2016
Papa Francesco ha idealmente consegnato ai seminaristi di Roma le icone di san Policarpo, san Francesco Saverio e di san Paolo mentre sta per essere decapitato, raccomandando loro di vivere il sacerdozio come autentici mediatori tra Dio e il popolo, gioiosi anche sulla croce, e non come funzionari intermediari, rigidi e mondani, attenti solo ai propri interessi e per questo insoddisfatti.
È questo il profilo autentico del sacerdote tratteggiato dal Pontefice nella messa celebrata venerdì mattina 9 dicembre nella cappella della Casa Santa Marta.
« Il Signore ha sofferto tanto per l'atteggiamento del popolo e alcune volte ha detto: "Fino a quando devo sopportarvi?" » ha affermato Francesco nell'omelia.
Facendo subito notare come nel passo del vangelo di Matteo ( Mt 11,16-19 ) proposto dalla liturgia, Gesù fa questo commento: « sono come bambini a cui tu offri una cosa e a loro non piace; offri il contrario » ma non piace neppure quello.
Persone insoddisfatte, insomma, « incapaci di avere una soddisfazione nell'atteggiamento col Signore ».
Ma « ci sono tanti cristiani insoddisfatti - ha messo in guardia il Papa - che non riescono a capire cosa il Signore ci ha insegnato; non riescono a capire il nocciolo proprio della rivelazione del Vangelo ».
Rivolgendosi direttamente alla comunità del Pontificio seminario romano maggiore, « ai seminaristi e ai formatori », Francesco ha posto la questione se « ci sono anche preti insoddisfatti ».
Perché - ha riconosciuto - « ce ne sono e fanno tanto male quando vivono una vita non piena; non trovano pace da una parte, dall'altra, sempre pensando a progetti e poi quando li hanno in mano » dicono: « No, non mi piace! ».
Tutto questo, ha aggiunto il Papa, « perché il loro cuore è lontano dalla logica di Gesù e per questo ci sono alcuni sacerdoti insoddisfatti, non sono felici, si lamentano e vivono tristi ».
Ma « qual è la logica di Gesù che dà la piena soddisfazione a un sacerdote? » si è domandato il Pontefice, suggerendo subito la risposta: è « la logica del mediatore ».
Gesù « è il mediatore fra Dio e noi; e noi dobbiamo prendere questa strada di mediatori e non l'altra figura che assomiglia tanto ma non è la stessa: intermediari ».
Perché, ha affermato il Papa, c'è « differenza fra un mediatore e un intermediario ».
Infatti « l'intermediario fa il suo lavoro e prende la paga: tu vuoi vendere questa casa, tu vuoi comprare una casa, io faccio l'intermediario e prendo una percentuale; è giusto, è stato il mio lavoro ».
Insomma « l'intermediario segue questa strada: lui non perde mai ».
« Il mediatore invece - ha spiegato Francesco - perde sé stesso per unire le parti, dà la vita, sé stesso, il prezzo è quello: la propria vita, paga con la propria vita, la propria stanchezza, il proprio lavoro, tante cose ».
E « il parroco », ha aggiunto il Papa, dà la vita proprio « per unire il gregge, per unire la gente, per portarla a Gesù ».
Perché « la logica di Gesù come mediatore è la logica di annientare sé stesso ».
Del resto, « san Paolo nella lettera ai Filippesi è chiaro su questo: "Annientò sé stesso, svuotò sé stesso" per fare questa unione, fino alla morte », e alla « morte di croce ».
Questa, dunque, « è la logica: svuotarsi, annientarsi ».
E « non perché tu cerchi questo, ma l'atteggiamento di mediatore ti porta a questo ».
È lo stile della « vicinanza: Dio che si è fatto vicino al suo popolo, nell'Antico testamento, e poi inviando il suo Figlio, quella synkatàbasis di Dio che si è avvicinato a noi ».
Ecco perché « il sacerdote è un mediatore molto vicino al suo popolo, molto vicino ».
L'intermediario invece, ha precisato il Papa, « è quello che è un funzionario: fa il suo mestiere, fa le cose più o meno bene e poi finisce quel lavoro e ne prende un altro, un altro, un altro, ma sempre come funzionario ».
L'intermediario « non sa cosa significhi sporcarsi le mani; il mediatore vive sporcandosi perché è in mezzo, lì nella realtà, come Gesù: sporcato dai nostri peccati ».
Ecco perché, ha confidato Francesco, « io non conosco alcun uomo, alcuna donna che lavori da intermediario e che soltanto con quello sia felice.
No, quello non ti fa felice ».
Per questo motivo, « quando il sacerdote cambia da mediatore a intermediario non è felice, è triste ».
Finendo così per cercare « un po' la felicità nel farsi vedere, nel far sentire l'autorità ».
Il brano evangelico della liturgia, ha fatto notare il Pontefice, rivela che « agli intermediari del suo tempo Gesù diceva che piaceva loro passeggiare per le piazze perché la gente li vedesse e li onorasse: è così ».
Ma « per rendersi importanti, i sacerdoti intermediari prendono la via della rigidità: tante volte, staccati dalla gente, non sanno che cos'è il dolore umano; perdono quello che avevano imparato a casa loro, col lavoro del papà, della mamma, del nonno, della nonna, dei fratelli ».
Perdendo « queste cose, sono rigidi, quei rigidi che caricano sui fedeli tante cose che loro non portano, come diceva Gesù agli intermediari del suo tempo ».
« La rigidità », insomma, significa « frusta in mano col popolo di Dio: "questo non si può, questo non si può" ».
E « tanta gente che si avvicina cercando un po' di consolazione, un po' di comprensione, viene allontanata con questa rigidità ».
Ma « la rigidità non si può mantenere tanto tempo, totalmente ».
Oltretutto « fondamentalmente è schizoide: finirai per apparire rigido ma dentro sarai un disastro ».
E « con la rigidità » c'è pure « la mondanità ».
Così « un sacerdote mondano, rigido, è uno insoddisfatto perché ha preso la strada sbagliata ».
Proprio « a proposito di rigidità e mondanità », Francesco ha voluto far riferimento a un episodio, « successo tempo fa: è venuto da me un anziano monsignore della curia, che lavora, un uomo normale, un uomo buono, innamorato di Gesù, e mi ha raccontato che era andato all'Euroclero a comprarsi un paio di camicie e ha visto davanti allo specchio un ragazzo - lui pensa non avesse più di venticinque anni, o prete giovane o che stava per diventare prete - davanti allo specchio, con un mantello, grande, largo, col velluto, la catena d'argento, e si guardava.
E poi ha preso il "saturno", l'ha messo e si guardava: un rigido mondano ».
E « quel sacerdote - è saggio quel monsignore, molto saggio - è riuscito a superare il dolore con una battuta di sano umorismo e ha aggiunto: "e poi si dice che la Chiesa non permette il sacerdozio alle donne!" ».
È così « che il mestiere che fa il sacerdote quando diventa funzionario finisce nel ridicolo, sempre ».
« Nell'esame di coscienza - ha detto Francesco rivolgendosi direttamente alla comunità seminaristica - considerate questo: oggi sono stato funzionario o mediatore?
Ho custodito me stesso, ho cercato me stesso, la mia comodità, il mio ordine o ho lasciato che la giornata andasse al servizio degli altri? ».
L'atteggiamento giusto, ha suggerito, è quello di tenere sempre « la porta aperta » e sorridere: « pur con tante difficoltà, il mediatore sorride, è tenero, il mediatore ha tenerezza, sa accarezzare un bambino ».
Tanto che, ha aggiunto il Papa, « una volta uno mi diceva che lui riconosceva i sacerdoti dall'atteggiamento con i bambini: se sanno accarezzare un bambino, sorridere a un bambino, giocare con un bambino ».
Ed è un fatto « interessante, perché significa che sanno abbassarsi, avvicinarsi alle piccole cose », come è appunto « il bambino ».
Invece, ha avvertito il Pontefice, « l'intermediario è triste, sempre con quella faccia triste o troppo seria, scura; l'intermediario ha lo sguardo scuro, molto scuro ».
Al contrario « il mediatore è aperto: il sorriso, l'accoglienza, la comprensione, le carezze e in mezzo alle difficoltà ha la gioia ».
Perché « il mediatore è uno gioioso anche sulla croce ».
A questo proposito Francesco ha indicato la testimonianza di sant'Alberto Hurtado « che, con tante difficoltà e persecuzioni che aveva, pregava solamente così, contento: "Signore!" ».
Era « contento, contento, felice di essere un mediatore, in quella situazione ».
Ai seminaristi il Papa ha confidato il suo desiderio di consegnare loro, proprio « guardando questi insoddisfatti » descritti nel vangelo di Matteo, « questa riflessione sui sacerdoti insoddisfatti ».
E « voi pensateci », ha raccomandato.
In questa prospettiva il Pontefice ha voluto indicare, prendendole « dalla storia della Chiesa, tre icone che ci aiuteranno: tre icone di sacerdoti mediatori e non intermediari ».
La prima icona è quella del « grande Policarpo, la versione neotestamentaria di Eleazaro: anziano, degno, signore di sé stesso, che non negozia la sua vocazione e va coraggioso alla pira, e quando il fuoco viene intorno a lui, i fedeli che erano lì hanno sentito l'odore del pane ».
Infatti davvero « lui era come un pane, fino alla fine ha dato sé stesso ».
E « così finisce un mediatore: come un pezzo di pane per i suoi fedeli ».
E se nella prima icona è raffigurato « un vecchio », nella seconda ecco « un giovane: san Francesco Saverio », che « muore sulla spiaggia di San-cian, guardando la Cina, a quarantasei anni ».
Così giovane, appunto, che si potrebbe persino dire « uno spreco », fino a domandarci perché « il Signore non lo ha lasciato ancora lì ».
Ma l'atteggiamento di san Francesco Saverio è quello di dire: « Si faccia la tua volontà, Signore ».
Egli « sa dirgli soltanto: "Ho confessato il tuo nome fino alla fine; mai, Signore, ho nascosto la lampada sotto il letto; mi hai dato cinque talenti, te ne ridò altri cinque" ».
E in questo modo « in pace, nella gioia, se ne va ».
Così « finisce anche un giovane mediatore che mai ha conosciuto queste insoddisfazioni ».
Come terza icona, « pure tanto bella e che fa piangere », il Papa ha indicato quella dell'« anziano Paolo alle Tre Fontane: quella mattina, presto, i soldati sono andati da lui, l'hanno preso, e lui camminava incurvato, come con un peso sulle spalle ».
Paolo, ha spiegato Francesco, « sapeva benissimo che questo accadeva per il tradimento di alcuni all'interno della comunità cristiana: ma lui ha lottato tanto nella sua vita che si offre al Signore come un sacrificio ».
E « finisce così ».
Il Papa ha confidato di provare « tanta tenerezza » nel « guardare Paolo da dietro, come va camminando fino al momento della decapitazione ».
Sono « tre icone che possono aiutarci » ha concluso il Pontefice, invitando a guardarle e a pensare a « come voglio finire la mia vita di sacerdote: come funzionario, come intermediario o come mediatore, cioè in croce ».