Messaggio per la quaresima 2006
29 settembre 2005
Carissimi fratelli e sorelle!
La Quaresima è il tempo privilegiato del pellegrinaggio interiore verso Colui che è la fonte della misericordia.
È un pellegrinaggio in cui Lui stesso ci accompagna attraverso il deserto della nostra povertà, sostenendoci nel cammino verso la gioia intensa della Pasqua.
Anche nella "valle oscura" di cui parla il Salmista ( Sal 23,4 ), mentre il tentatore ci suggerisce di disperarci o di riporre una speranza illusoria nell'opera delle nostre mani, Dio ci custodisce e ci sostiene.
Sì, anche oggi il Signore ascolta il grido delle moltitudini affamate di gioia, di pace, di amore.
Come in ogni epoca, esse si sentono abbandonate.
Eppure, anche nella desolazione della miseria, della solitudine, della violenza e della fame, che colpiscono senza distinzione anziani, adulti e bambini, Dio non permette che il buio dell'orrore spadroneggi.
Come infatti ha scritto il mio amato Predecessore Giovanni Paolo II, c'è un "limite divino imposto al male", ed è la misericordia ( Memoria e identità, 29ss ).
È in questa prospettiva che ho voluto porre all'inizio di questo Messaggio l'annotazione evangelica secondo cui "Gesù, vedendo le folle, ne sentì compassione" ( Mt 9,36 ).
In questa luce vorrei soffermarmi a riflettere su di una questione molto dibattuta tra i nostri contemporanei: la questione dello sviluppo.
Anche oggi lo "sguardo" commosso di Cristo non cessa di posarsi sugli uomini e sui popoli.
Egli li guarda sapendo che il "progetto" divino ne prevede la chiamata alla salvezza.
Gesù conosce le insidie che si oppongono a tale progetto e si commuove per le folle: decide di difenderle dai lupi anche a prezzo della sua vita.
Con quello sguardo Gesù abbraccia i singoli e le moltitudini e tutti consegna al Padre, offrendo se stesso in sacrificio di espiazione.
Illuminata da questa verità pasquale, la Chiesa sa che, per promuovere un pieno sviluppo, è necessario che il nostro "sguardo" sull'uomo si misuri su quello di Cristo.
Infatti, in nessun modo è possibile separare la risposta ai bisogni materiali e sociali degli uomini dal soddisfacimento delle profonde necessità del loro cuore.
Questo si deve sottolineare tanto maggiormente in questa nostra epoca di grandi trasformazioni, nella quale percepiamo in maniera sempre più viva e urgente la nostra responsabilità verso i poveri del mondo.
Già il mio venerato Predecessore, il Papa Paolo VI, identificava con precisione i guasti del sottosviluppo come una sottrazione di umanità.
In questo senso nell'Enciclica Populorum progressio egli denunciava "le carenze materiali di coloro che sono privati del minimo vitale, e le carenze morali di coloro che sono mutilati dall'egoismo … le strutture oppressive, sia che provengano dagli abusi del possesso che da quelli del potere, sia dallo sfruttamento dei lavoratori che dall'ingiustizia delle transazioni" ( n. 21 ).
Come antidoto a tali mali Paolo VI suggeriva non soltanto "l'accresciuta considerazione della dignità degli altri, l'orientarsi verso lo spirito di povertà, la cooperazione al bene comune, la volontà di pace", ma anche "il riconoscimento da parte dell'uomo dei valori supremi e di Dio, che ne è la sorgente e il termine" ( ibid. ).
In questa linea il Papa non esitava a proporre "soprattutto la fede, dono di Dio accolto dalla buona volontà dell'uomo, e l'unità nella carità di Cristo" ( ibid. ).
Dunque, lo "sguardo" di Cristo sulla folla, ci impone di affermare i veri contenuti di quell'« umanesimo plenario » che, ancora secondo Paolo VI, consiste nello "sviluppo di tutto l'uomo e di tutti gli uomini" ( ibid., n. 42 ).
Per questo il primo contributo che la Chiesa offre allo sviluppo dell'uomo e dei popoli non si sostanzia in mezzi materiali o in soluzioni tecniche, ma nell'annuncio della verità di Cristo che educa le coscienze e insegna l'autentica dignità della persona e del lavoro, promuovendo la formazione di una cultura che risponda veramente a tutte le domande dell'uomo.
Dinanzi alle terribili sfide della povertà di tanta parte dell'umanità, l'indifferenza e la chiusura nel proprio egoismo si pongono in un contrasto intollerabile con lo "sguardo" di Cristo.
Il digiuno e l'elemosina, che, insieme con la preghiera, la Chiesa propone in modo speciale nel periodo della Quaresima, sono occasione propizia per conformarci a quello "sguardo".
Gli esempi dei santi e le molte esperienze missionarie che caratterizzano la storia della Chiesa costituiscono indicazioni preziose sul modo migliore di sostenere lo sviluppo.
Anche oggi, nel tempo della interdipendenza globale, si può constatare che nessun progetto economico, sociale o politico sostituisce quel dono di sé all'altro nel quale si esprime la carità.
Chi opera secondo questa logica evangelica vive la fede come amicizia con il Dio incarnato e, come Lui, si fa carico dei bisogni materiali e spirituali del prossimo.
Lo guarda come incommensurabile mistero, degno di infinita cura ed attenzione.
Sa che chi non dà Dio dà troppo poco, come diceva la beata Teresa di Calcutta: "La prima povertà dei popoli è di non conoscere Cristo".
Perciò occorre far trovare Dio nel volto misericordioso di Cristo: senza questa prospettiva, una civiltà non si costruisce su basi solide.
Grazie a uomini e donne obbedienti allo Spirito Santo, nella Chiesa sono sorte molte opere di carità, volte a promuovere lo sviluppo: ospedali, università, scuole di formazione professionale, micro-imprese.
Sono iniziative che, molto prima di altre espressioni della società civile, hanno dato prova della sincera preoccupazione per l'uomo da parte di persone mosse dal messaggio evangelico.
Queste opere indicano una strada per guidare ancora oggi il mondo verso una globalizzazione che abbia al suo centro il vero bene dell'uomo e così conduca alla pace autentica.
Con la stessa compassione di Gesù per le folle, la Chiesa sente anche oggi come proprio compito quello di chiedere a chi ha responsabilità politiche ed ha tra le mani le leve del potere economico e finanziario di promuovere uno sviluppo basato sul rispetto della dignità di ogni uomo.
Un'importante verifica di questo sforzo sarà l'effettiva libertà religiosa, non intesa semplicemente come possibilità di annunciare e celebrare Cristo, ma anche di contribuire alla edificazione di un mondo animato dalla carità.
In questo sforzo si iscrive pure l'effettiva considerazione del ruolo centrale che gli autentici valori religiosi svolgono nella vita dell'uomo, quale risposta ai suoi più profondi interrogativi e quale motivazione etica rispetto alle sue responsabilità personali e sociali.
Sono questi i criteri in base ai quali i cristiani dovranno imparare anche a valutare con sapienza i programmi di chi li governa.
Non possiamo nasconderci che errori sono stati compiuti nel corso della storia da molti che si professavano discepoli di Gesù.
Non di rado, di fronte all'incombenza di problemi gravi, essi hanno pensato che si dovesse prima migliorare la terra e poi pensare al cielo.
La tentazione è stata di ritenere che dinanzi ad urgenze pressanti si dovesse in primo luogo provvedere a cambiare le strutture esterne.
Questo ebbe per alcuni come conseguenza la trasformazione del cristianesimo in un moralismo, la sostituzione del credere con il fare.
A ragione, perciò, il mio Predecessore di venerata memoria, Giovanni Paolo II, osservava: "La tentazione oggi è di ridurre il cristianesimo ad una sapienza meramente umana, quasi a una scienza del buon vivere.
In un mondo fortemente secolarizzato è avvenuta una graduale secolarizzazione della salvezza, per cui ci si batte sì per l'uomo, ma per un uomo dimezzato.
Noi invece sappiamo che Gesù è venuto a portare la salvezza integrale" ( Enc. Redemptoris missio, 11 ).
È proprio a questa salvezza integrale che la Quaresima ci vuole condurre in vista della vittoria di Cristo su ogni male che opprime l'uomo.
Nel volgerci al divino Maestro, nel convertirci a Lui, nello sperimentare la sua misericordia grazie al sacramento della Riconciliazione, scopriremo uno "sguardo" che ci scruta nel profondo e può rianimare le folle e ciascuno di noi.
Esso restituisce la fiducia a quanti non si chiudono nello scetticismo, aprendo di fronte a loro la prospettiva dell'eternità beata.
Già nella storia, dunque, il Signore, anche quando l'odio sembra dominare, non fa mai mancare la testimonianza luminosa del suo amore.
A Maria, "di speranza fontana vivace" ( Dante Alighieri, Paradiso, XXXIII, 12 ) affido il nostro cammino quaresimale, perché ci conduca al suo Figlio.
A Lei affido in particolare le moltitudini che ancora oggi, provate dalla povertà, invocano aiuto, sostegno, comprensione.
Con questi sentimenti a tutti imparto di cuore una speciale Benedizione Apostolica.
Benedictus PP. XVI