Presbyteri Sacra
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I sacerdoti, in virtù dell'ordinazione sacra e della missione che ricevono dai vescovi, " sono promossi al servizio di Cristo maestro, sacerdote e re, partecipando al suo ministero, per il quale la chiesa qui in terra è incessantemente edificata in popolo di Dio, corpo di Cristo e tempio dello Spirito santo".1
Pertanto, poiché il ministero sacerdotale non può essere realizzato se non nella comunione gerarchica di tutta la chiesa,2 "nessun sacerdote può adempiere in pieno la sua missione se agisce da solo e per proprio conto, ma solo se unisce le proprie forze a quelle degli altri presbiteri, sotto la guida di coloro che governano la chiesa".3
I vescovi, infatti, ricevuta la missione canonica, " reggono le chiese particolari loro affidate, come vicari e legati di Cristo"4 e per poter rettamente svolgere il loro compito di pascere la porzione del popolo di Dio, assumono come loro necessari collaboratori i sacerdoti,5 i quali da essi dipendono nell'esercizio sacerdotale.6
I sacerdoti chiamati a servire il popolo di Dio costituiscono con il loro vescovo un presbiterio unico, sebbene destinato a diversi uffici.7
Pertanto in ogni diocesi tra il vescovo e tutti i sacerdoti esiste una comunione gerarchica8 che li unisce strettamente e li rende membri di un'unica famiglia, nella quale il vescovo è padre.9
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2. Il concilio ecumenico Vaticano II ha spiegato e illustrato in vari documenti questa intima comunione, rendendosi così interprete dei segni dei tempi.
Nelle presenti circostanze infatti, in cui le attività apostoliche esigono l'azione concorde e l'unità di tutti i fedeli e tanto gravi sono le preoccupazioni della chiesa, a nessuno può sfuggire quanto sia profondamente auspicabile l'unione dei sacri ministri.
Da questa unione, che ha un fondamento sacramentale, deve nascere l'unione dei cuori, basata sulla mutua carità.10
Soltanto così si può ottenere un'azione pastorale comune che riguardi la diocesi intera e tutti i suoi problemi.
Se e nella misura in cui tali cose saranno realizzate, è da sperare che i sacerdoti uniranno la propria volontà con la volontà del vescovo, rendendo più fruttuosa ed efficace l'azione.
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La legislazione canonica riguardante il governo delle chiese particolari assegnava sempre ai vescovi un qualche organo consultivo, costituito soprattutto da sacerdoti, che i vescovi dovevano sentire o del quale dovevano ottenere il consenso prima di decidere su questioni di particolare importanza.
Attualmente nel codice di diritto canonico per le varie necessità del governo della diocesi sono previsti diversi organi che hanno il compito di aiutare il vescovo, come, ad esempio, il sinodo diocesano, gli esaminatori sinodali, i parroci consultori, il capitolo cattedrale o il gruppo dei consultori, il consiglio amministrativo diocesano, ecc.
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Ciò che nei secoli passati sembrava un semplice postulato o requisito di retto e saggio governo, è stato ora anche teologicamente illustrato dal concilio Vaticano II, che più profondamente ha studiato la natura della chiesa.
Il concilio ecumenico, infatti, ci ha insegnato che nella chiesa particolare tra il vescovo e i suoi sacerdoti esiste una comunione gerarchica, in virtù della quale il vescovo e i sacerdoti partecipano di un medesimo sacerdozio e di un medesimo ministero, anche se in grado diverso, secondo l'ordine ricevuto e la missione canonica.11
Ciò premesso, lo stesso concilio ecumenico, nella sua natura pastorale, ha voluto che questa unità di missione venisse attuata per il bene della diocesi, per mezzo di un nuovo organo consultivo, con queste parole: "È bene che esista, nel modo più confacente alle circostanze e ai bisogni di oggi, nella forma e secondo norme giuridiche da stabilire, un corpo o senato di sacerdoti in rappresentanza del presbiterio, il quale con i suoi consigli possa aiutare efficacemente il vescovo nel governo della diocesi".12
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Al fine di attuare tale voto, il sommo pontefice Paolo VI, con la lettera apostolica Ecclesiae sanctae dispose che in ciascuna diocesi fosse istituito il gruppo sopra ricordato, denominato consiglio presbiterale.13
Questa legge esecutiva, emanata per la sperimentazione, ha determinato solo poche cose circa il modo di comporre il consiglio presbiterale, la sua competenza e la sua funzione, e ciò al fine di lasciare un doveroso margine per l'ulteriore sviluppo del nuovo organo consultivo.
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Mentre decorrerà il terzo anno della promulgazione della suddetta legge, la congregazione per il clero, che ha il compito di vigilare sui consigli presbiterali,14 il 15 gennaio 1969 inviò una circolare ai presidenti delle conferenze episcopali, nella quale, interpretando il pensiero della stessa legge,15 pregava i vescovi che si compiacessero di far conoscere le proprie osservazioni e note circa gli esperimenti riguardanti il nuovo organo.
Ricevute, insieme agli statuti dei consigli presbiterali, le risposte di quasi tutte le province ecclesiastiche di diritto comune, la sacra congregazione per il clero, uditi i suoi consultori, il 10 ottobre 1969, tenne una congregazione plenaria per esaminare le principali questioni relative ai consigli presbiterali, le cui conclusioni vengono qui brevemente riferite.
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Il fine e il compito del consiglio presbiterale provengono necessariamente dalla comunione gerarchica tra il vescovo e i sacerdoti e in qualche modo la esprimono istituzionalmente.
Perciò l'istituzione di tale consiglio, viene prescritta dal motu proprio "Ecclesiae sanctae" come obbligatoria in ciascuna diocesi.
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Questo obbligo inoltre è del tutto consono ai tempi.
Oggi infatti è sommamente opportuno e utile che tra il vescovo e i sacerdoti sia istituito un organo di comune colloquio o dialogo.
L'utilità dei consigli presbiterali già appare da numerosissime risposte inviate dai vescovi alla sacra congregazione.
Infatti per mezzo di tali consigli diviene più facile il contatto con i sacerdoti;
si conoscono meglio i loro pareri e i loro desideri;
si possono ottenere più accurate informazioni sullo stato della diocesi;
si possono scambiare più facilmente le varie esperienze;
le necessità dei pastori e del popolo di Dio vengono più evidenziate;
le iniziative di apostolato adattate alle odierne contingenze vengono prese con coerenza;
infine, attraverso un comune lavoro, le difficoltà possono essere adeguatamente risolte o almeno meglio studiate.
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È necessario che il consiglio presbiterale sia espressione di tutto il presbiterio diocesano.
Questo requisito, secondo l'opinione dei vescovi e dei padri della plenaria, tanto più si ottiene quanto maggiormente si mettono a confronto le opinioni e le esperienze dei presbiteri.
Perciò l'indole rappresentativa del consiglio si verifica quando esso, per quanto possibile, rappresenta:
a) i vari ministeri ( parroci, cooperatori, cappellani, ecc. );
b) le regioni e zone pastorali della diocesi;
c) le differenti età e generazioni dei sacerdoti.
Nel caso in cui a una tale composizione si opponessero delle difficoltà sembra da preferirsi una rappresentanza proporzionata dei principali ministeri dei sacerdoti.
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Anche i religiosi che esercitano la cura d'anime o si dedicano alle opere di apostolato in diocesi, sotto la giurisdizione del vescovo, potranno essere cooptati tra i membri del consiglio.16
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7. Il criterio per la designazione dei membri del consiglio è rimesso ai vescovi.17
Essi però, come appare dalle loro risposte, hanno quasi unanimemente stabilito che una notevole parte dei membri fosse eletta mediante il libero suffragio dei sacerdoti.
Piacque così ai padri della plenaria di proporre che la maggior parte dei membri sia scelta attraverso il suffragio di tutti i sacerdoti.18
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Gli altri membri o sono designati direttamente dal vescovo o diventano tali ipso facto per rappresentare nel consiglio l'ufficio che esercitano ( ad es.: il vicario generale, il rettore del seminario, ecc. ).
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Tale composizione, risultante di membri eletti dai sacerdoti, nominati dai vescovi, e di membri nati o designati a motivo del loro incarico, mentre da una parte alimenta la fiducia dei sacerdoti che si sentono così presenti nel consiglio, dall'altra offre al vescovo un modo sicuro per conservare l'equilibrio e la possibilità di meglio esprimere, in alcuni casi, l'indole rappresentativa del consiglio stesso.
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Il consiglio presbiterale è competente ad assistere il vescovo nel regime della diocesi.
Per cui vengono trattate dal consiglio le questioni più importanti che si riferiscono alla santificazione dei fedeli, alla dottrina e, in genere, al governo della diocesi sempreché il vescovo ne proponga o almeno ne ammetta la trattazione.
Nel proporre o nell'ammettere una questione il vescovo curerà che siano rispettate le leggi universali della chiesa.
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Il consiglio, in quanto rappresenta tutto il presbiterio della diocesi, è istituito per promuovere il bene della diocesi stessa.
Possono perciò essere trattate dal consiglio tutte le questioni, e non solo quelle che riguardano la vita dei sacerdoti, in quanto si riferiscono al ministero sacerdotale che i sacerdoti stessi svolgono in favore della comunità ecclesiastica.
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È in genere compito del consiglio suggerire le norme eventualmente da emanare e proporre le questioni di principio; non quello di trattare le questioni che per loro natura esigono discrezione nel modo di procedere, come avviene nella designazione degli offici.
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Il consiglio presbiterale è un organo consultivo di natura particolare.
È detto consultivo perché non possiede voto deliberativo; per cui non può emettere decisioni che obblighino il vescovo, a meno che il diritto universale della chiesa abbia provveduto in modo diverso o il vescovo, in casi singoli, abbia ritenuto opportuno attribuire al consiglio voce deliberativa.
Si chiama poi organo consultivo di natura peculiare perché per sua natura e per il modo di procedere occupa un posto eminente tra gli organi dello stesso genere.
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Infatti detto consiglio, segno della comunione gerarchica, esige, per natura sua propria, che le deliberazioni, per il bene della diocesi, siano prese assieme al vescovo e mai senza lui, attraverso cioè il comune lavoro del vescovo e dei membri.
Questo stile è richiesto dal Vaticano II19 e richiamato dal motu proprio "Ecclesia sanctae" con le parole: " In questo consiglio il vescovo ascolti i suoi sacerdoti, li consulti e discuta con essi di quanto si riferisce alla necessità del lavoro pastorale e al bene della diocesi ".20
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Questo studio comune, attraverso il quale si comunicano notizie ed opinioni sulle questioni, si espongono le necessità pastorali, si pesano gli argomenti e si propongono soluzioni esige che da ambo le parti gli animi siano preparati e ornati, attraverso una intima conversione, di umiltà e pazienza.
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Dopo svolto questo lavoro in comune, la decisione spetta al vescovo, che è personalmente responsabile nei confronti della porzione del popolo di Dio a lui affidata.21
L'opera del consiglio infatti aiuta, ma in nessun modo sostituisce la responsabilità del vescovo.
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10. Spinti da tali considerazioni, i padri della plenaria espressero l'opinione che il titolo e la funzione di " senato del vescovo nel governo della diocesi " spetti unicamente al consiglio presbiterale.
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Quanto invece all'antico senato del vescovo, cioè al capitolo cattedrale e al gruppo dei consultori, dove essi esistono, i medesimi padri si sono attenuti alla norma del motu proprio Ecclesiae sanctae, dove è prescritta l'opportunità che tali istituti conservino la propria competenza, fino a che non siano stati riformati.22
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Siccome, peraltro, le circostanze che riguardano la evoluzione storica dei capitoli cattedrali sono diverse a seconda delle varie regioni della chiesa, toccherà alle conferenze episcopali esprimere il loro pensiero circa l'aggiornamento del capitolo cattedrale e la riforma o la conferma del gruppo dei consultori.
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Nel frattempo, fino a che il CIC non sia stato riformato, il consiglio presbiterale cessa con la vacanza della sede vescovile.23
Pertanto il capitolo cattedrale o il gruppo dei consultori, a meno che la santa sede provveda diversamente, elegge il vicario capitolare a norma dei canoni 429-444 e 427 del CIC che rimangono in vigore.
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I. Tutto questo considerato, questa sacra congregazione per il clero vivamente prega e insiste:
a) dove ancora non è stato fatto, si istituisca quanto prima il consiglio presbiterale, al quale compete il titolo e la funzione di senato del vescovo;
b) ogni consiglio presbiterale prepari i propri statuti da sottoporre alla approvazione del vescovo, tenendo conto di quanto è indicato nella presente lettera circolare.
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II. Poiché è opportuno che in ordine ai consigli presbiterali, i vescovi prendano decisioni in comune in seno alle conferenze episcopali,24 questa sacra congregazione per il clero chiede rispettosamente:
a) le conferenze episcopali suggeriscano le questioni più importanti che devono essere trattate nel consigli presbiterali;
b) le stesse conferenze propongano anche le norme che devono regolare il modo di procedere, la periodicità delle riunioni, la cooperazione con gli altri organismi consultivi, e favorire i rapporti del consiglio con tutti i sacerdoti della diocesi.
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III. Insiste infine questa sacra congregazione affinché ogni conferenza episcopale, entro il 31 dicembre del 1970, favorisca inviare il suo voto circa il capitolo cattedrale e il gruppo dei consultori, di cui al n. 10.
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Con la presente lettera questo sacro dicastero intende indicare i principi e i criteri più generali che sono emersi dalla consultazione delle conferenze episcopali e dalla discussione del padri allo scopo di offrire un aiuto ai vescovi nell'adempimento del grave compito che ad essi spetta in ordine alla istituzione e al funzionamento dei consigli presbiterali.
Si confida che le conferenze episcopali vorranno informare questa sacra congregazione sulle esperienze da esse fatte in materia, in modo che se ne possa tener conto in una eventuale seconda assemblea plenaria che si ritenesse di celebrare prima della promulgazione del Codice di diritto canonico.
Dato a Roma, l'11 aprile 1970, festa di s. Leone Magno, papa e dottore della chiesa.
Giovanni card. Wright, prefetto
Pietro Palazzini, segretario.