Sermoni sul Cantico dei Cantici

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Sermone XIV

I. Il giudizio della Chiesa o della Sinagoga

1. Dio è conosciuto in Giuda, in Israele è grande il suo nome ( Sal 76,2 ).

Il popolo dei gentili che camminava nelle tenebre vide una grande luce che era in Giudea e in Israele, e volle avvicinarsi ed essere illuminato, affinché esso, che una volta non era popolo, ora fosse popolo, e l’unica pietra angolare riunisse in sé le due pareti convergenti dai due lati, e fosse così ormai nella pace il suo luogo.

Ora, gli conferiva fiducia la voce che invitava dicendo: Rallegratevi o nazioni con il suo popolo ( Rm 15,10 ).

Volle dunque accostarsi, ma la vecchia Sinagoga glielo vietò, chiamando immonda la Chiesa costituita da Gentili e rimproverandole l’immondezza dell’idolatria e la cieca ignoranza, e dicendo: « Con qual merito pretendi di entrare tu? Non toccarmi ».

« Perché? », dicevano i pagani.

« Forse che Dio è solo dei Giudei? non è forse anche dei Gentili?

E se è certo che a me manca il merito, non manca però a lui la misericordia.

È forse solamente giusto? È anche misericordioso …

O Signore, venga su di me la tua misericordia e avrò vita ( Sal 119,77 ); e di nuovo: Le tue misericordie sono grandi, Signore, secondo i tuoi giudizi fammi vivere ( Sal 119,156 ), perché essi sono temperati dalla misericordia ».

Che farà il Signore, giusto e misericordioso, mentre la Sinagoga, che si gloria nella legge, chiede per sé giustizia, né ha bisogno della misericordia, ma disprezza i gentili che ne hanno bisogno; questi, per contro, che conoscono i propri delitti, confessano la propria indegnità, non si appellano alla giustizia, e chiedono misericordia?

Che farà, dico, il Giudice, e quel Giudice, al quale è familiare sia applicare la giustizia come usare misericordia e nessuna delle due cose gli è più facile dell’altra?

Che cosa c’è di più conveniente che dare a ciascuna delle due parti ciò che domanda, vale a dire la giustizia alla Sinagoga e la misericordia alla Gentilità?

Il giudeo cerca giustizia, l’abbia.

E i Gentili lodino Dio per la sua misericordia.

Ed è per un giusto giudizio, che coloro disprezzano la misericordiosa giustizia di Dio, e vogliono imporre la loro, la quale davvero non giustifica, ma accusa, siano abbandonati a quella loro stessa giustizia, più per essere oppressi che giustificati.

2. Il giudeo è dalla legge, che non ha mai portato nessuno alla perfezione.

Essa è un giogo che neppure i suoi padri hanno mai potuto portare.

Ma la Sinagoga è forte, non si cura di un peso leggero, né di un giogo soave.

È sana, non sente bisogno del medico, né dell’unzione dello Spirito.

Ha confidato nella legge: la liberi se ne è capace.

Ma non è stata data una legge, tale che possa dare la vita; anzi, uccide: La lettera infatti uccide ( 2 Cor 3,6 ).

Perciò, prosegue, dico a voi: morirete nei vostri peccati ( Gv 8,24 ).

Questo, o Sinagoga, è il giudizio che tu invochi.

Sarai abbandonata al tuo errore, cieca e litigiosa, fino a che la pienezza dei Gentili, che tu superba disprezzi, e invidiosa discacci, entri a conoscere anch’essa quello stesso Dio che è conosciuto in Giuda e il cui nome è grande in Israele.

E questo è il giudizio che è venuto a fare nel mondo, che quelli che non vedono vedano, e quelli che vedono diventino ciechi.

In parte, tuttavia, perché il Signore non rigetterà totalmente il suo popolo, riservandosi come seme gli Apostoli e la moltitudine dei credenti, i quali formavano un cuore e un’anima sola.

Né lo rigetterà alla fine, quando salverà le reliquie.

Di nuovo, infatti, accoglierà il suo figlio Israele, e si ricorderà della sua misericordia, perché neanche là la misericordia cessi di accompagnare la giustizia dove non le era stato riservato alcun posto.

Altrimenti, a trattarla come si meritava, giustizia senza misericordia sarebbe toccata a colei che non aveva usato misericordia.

II. La Chiesa ha in sorte il posto occupato dalla Sinagoga

La Giudea ha invero molto olio della divina conoscenza e, avara, lo tiene come rinchiuso in un vaso.

Lo chiedo e, senza compassione, non me ne dà.

Sola vuole possedere il culto di Dio, sola la conoscenza di lui e il suo grande nome, né lo fa perché è gelosa di sé, ma perché è invidiosa verso di me.

3. Perciò tu, o Signore, fammi giustizia, e il tuo nome grande sarà ancora maggiormente magnificato, e l’olio, che è molto, si moltiplicherà ancora.

Cresca, bollisca, si effonda, arrivi ai Gentili, e ogni uomo senta la salvezza di Dio.

Per quale ragione, come vuole il giudeo ingrato, l’unzione salutare deve rimanere tutta nella barba di Aronne?

Non conviene alla barba, ma al capo.

E il capo non è solo della barba, ma di tutto il corpo.

Lo riceva pure per prima, ma non essa sola.

Faccia rifluire nelle membra inferiori quello che essa ha ricevuto dall’alto.

Scenda, scenda anche sulle mammelle della Chiesa il liquore superno.

Avidissima come ne è, non fa caso che questo scenda a lei dalla barba e, tutta irrorata di grazia, dica, per non dimostrarsi ingrata: Olio sparso è il tuo nome ( Ct 1,2 ).

Ma, di grazia, trabocchi ancora, e scenda fino all’orlo della veste, fino a me ultimo di tutti e il più indegno, ma che appartengo al vestito, tuttavia, poiché io pure lo richiedo, per diritto di pietà, quale figliolino in Cristo dal seno materno.

Che se un uomo mormora, perché guarda con occhio cattivo che tu sei buono, rispondi per me, o Signore: Dal tuo volto venga la mia sentenza ( Sal 17,2 ), e non dal cipiglio d’Israele.

Anzi, rispondi per te, e di’ al calunniatore – dice infatti calunnia contro di te, per il fatto che dai a me gratis – digli dunque: Voglio dare anche a quest’ultimo come a te ( Mt 20,14 ).

Dispiace al Fariseo. Che cosa borbotti?

Il mio diritto è la volontà del giudice.

Che cosa più giusta per il merito, o più ricca per il premio?

E non può egli fare ciò che non vuole?

Con me si usa misericordia, ma a te non si fa torto.

Prendi quello che è tuo e vattene ( Mt 20,14 ).

Se ha deciso di salvare me, perché tu mi vuoi perduto?

4. Aumenta quanto vuoi i meriti, moltiplica i sudori: la misericordia del Signore vale più della vita.

Lo ammetto, non ho portato il peso del giorno e del caldo; ma per il beneplacito del padre di famiglia, porto un giogo soave e un peso leggero.

Il mio lavoro è appena di un’ora; e se è di più per l’amore non lo sento.

Il Giudeo eserciti le sue forze; a me piace sperimentare quale sia la volontà di Dio, buona, gradevole, perfetta.

Per essa mi risarcisco per quanto mi manca, riguardo al lavoro e al tempo.

Il Giudeo si appoggia al patto stipulato, io conto sulla benevolenza della volontà; credo, e non mi verrà imputato a insipienza, poiché nella sua volontà è la vita.

Essa mi riconcilia con il Padre, essa mi restituisce l’eredità, e con una grazia più abbondante, mi fa provare le ben note gioie della sinfonia, del canto e del banchetto, e dell’esultanza di tutta la famiglia.

Se ne rimane indignato quel mio fratello maggiore, che preferisce mangiare fuori il capretto con gli amici, piuttosto che il vitello grasso con me nella casa paterna, gli si risponderà: È giusto banchettare e far festa, perché questo mio figlio era morto ed è risuscitato; si era perduto, ed è stato ritrovato ( Lc 15,32 ).

La Sinagoga banchetta ancora fuori con i demoni suoi amici, ai quali piace assai che l’insipiente divori il capretto del peccato, trangugiandolo e riponendolo in qualche modo nascosto nel ventre della sua infingardaggine e insipienza, mentre disprezzando la giustizia di Dio, e volendo imporre la sua, dice di non avere peccato, né di aver bisogno dell’uccisione del vitello grasso, reputandosi monda e giustificata dalle opere della legge.

Invece la Chiesa, strappatosi il velo della lettera che uccide alla morte del Verbo crocifisso arditamente irrompe, guidata dallo spirito di libertà, nei suoi penetrali, è riconosciuta, amata, prende il posto dell’emula, diviene sposa, gode dei bramati amplessi, e, stringendosi al Cristo Signore nell’ardore dello spirito, aderisce a lui che stilla ed effonde da ogni parte l’olio di esultanza a preferenza dei suoi eguali ed esclama: Olio effuso è il tuo nome ( Ct 1,2 ). Che c’è da meravigliarsi se si unge lei che abbraccia l’unto?

III. La distinzione fra la sposa e le vergini, anche le più vicine

5. La Chiesa dunque riposa dentro, ma la Chiesa, per il momento, dei perfetti.

C’è tuttavia una speranza anche per noi.

Vegliamo alle porte, noi che siamo meno perfetti, godendo nella speranza.

Intanto lo Sposo e la sposa stiano dentro soli, godano dei mutui intimi amplessi, senza alcuno strepito di desideri carnali, senza essere turbati dal tumulto di corporei fantasmi.

La turba invece delle giovinette, che non possono ancora essere esenti da tali disturbi, aspetti fuori.

E aspettino sicure, ben sapendo che è loro riservato quello che è scritto: A te saranno condotte con lei le vergini e le compagne ( Sal 45,15 ).

E perché ciascuna sappia di che spirito sia, chiamo vergini quelle che datesi a Cristo prima di essere macchiate da contatti con il mondo, sono restate a lui fedeli, tanto più felici quanto più per tempo si votarono a lui; compagne invece chiamo quelle che, vissute per qualche tempo in conformità alle massime del mondo, dopo essersi prostituite turpemente ai principi di esso, cioè agli spiriti immondi in ogni specie di carnale concupiscenza, un bel giorno finalmente, vergognandosi della propria deformità, se ne spogliano, e, quanto più tardi, tanto più sinceramente, si affrettano a ripristinare in sé la forma dell’uomo nuovo.

Le une e le altre cerchino di progredire effettivamente, non vengano meno, né si stanchino, anche se non si sentono ancora pienamente di dire anch’esse: Olio sparso è il tuo nome.

Non osano infatti le giovanette rivolgere direttamente la parola allo Sposo.

Tuttavia, se si studieranno di seguire più da vicino le orme della maestra saranno rallegrate almeno dall’odore dell’olio effuso, e saranno incitati anche dall’odore a desiderare e a cercare cose più alte.

IV. Il suo amore quale è agli inizi e come ciò avvenga in noi

6. Spesso anch’io non mi vergogno di confessarlo, specialmente all’inizio della mia conversione, duro e freddo di cuore, cercando colui che voleva amare l’anima mia – né poteva infatti amare colui che non aveva ancora trovato, o per lo meno, lo amava meno di quanto volesse, e perciò chiedeva di poter amare maggiormente colui che non avrebbe affatto cercato, se già non lo avesse in qualche modo amato – mentre dunque cercavo lui, nel quale si riscaldasse e trovasse riposo il mio spirito, intorpidito e languido, e non c’era da nessuna parte chi mi venisse incontro e mi aiutasse, per il quale, cioè, si risolvesse la rigida bruma che mi intirizziva i sensi interni, e tornasse il tepore primaverile e la dolcezza dello spirito, l’anima mia languiva sempre più e si annoiava, e sonnecchiava per tedio, triste e quasi disperata, mormorando tra sé quelle parole: Davanti a questo freddo chi potrà resistere? ( Sal 147,17 ).

Ed ecco all’improvviso, a una parola, o alla sola presenza di un qualche uomo spirituale o perfetto, o al solo ricordo di un defunto o di una persona assente, soffiare lo spirito e scorrere le acque, e quelle lacrime erano per me come pane di giorno e di notte.

Che era questo se non l’ardore che esalava l’unzione di cui quello era perfuso?

Non era un’unzione quella che a me non giungeva se non tramite un altro uomo.

E per questo, anche se godevo del dono, mi confondevo e umiliavo, perché giungesse a me la leggera esalazione e non un’abbondante aspersione.

Soddisfatto, invero, nell’odorato, ma non nel tatto, mi riconoscevo perciò indegno che Dio mi facesse sentire direttamente la sua dolcezza.

Anche adesso, se mi succede questo, ricevo sì con avidità il dono concesso, e ne sono grato, ma mi dolgo grandemente per non averlo meritato da me stesso, e non averlo ricevuto, come si dice, da mano a mano quando lo chiedevo con tanta insistenza.

Mi vergogno perché abbia più effetto in me il pensiero di un uomo che non quello di Dio.

E allora grido gemendo: Quando verrò e vedrò il volto di Dio? ( Sal 42,3 ).

Penso che alcuni di voi abbiano sperimentato la medesima cosa e che la sperimentino ancora ogni tanto.

Riguardo a questo, che cosa pensare se non che questo succeda per convincere la nostra superbia, o per mantenerci nell’umiltà, o per nutrire la fraterna carità, o per accendere maggiormente il desiderio?

Un medesimo cibo è medicina per i malati, e dieta per i cagionevoli; rinforza pertanto i deboli e diletta i sani.

Un medesimo identico cibo risana la languidezza e conserva la salute, nutre il corpo e dà salute al palato.

V. La Sinagoga ha il profumo ma non effuso. Perché il nome dello Sposo è paragonato al profumo

7. Ma ritorniamo alle parole della sposa, e cerchiamo di ascoltare le cose che dice, onde sperimentare quello che essa sente.

La sposa, come ho detto, è la Chiesa.

Essa è colei alla quale è stato più perdonato e che più ama.

Ciò che la sua emula le rimprovera ingiuriandola, essa lo fa servire a suo vantaggio.

Ne consegue che è più mansueta nel correggere, più paziente nei travagli; ne profitta per essere più ardente nell’amore, più sagace nel mostrarsi cauta, più umile a causa della sua coscienza, e più accetta per la sua verecondia; da qui impara anche a essere più pronta nell’obbedienza, più devota e sollecita nel rendere grazie; infine, mentre la sua emula brontola e mette avanti i suoi meriti, le sue fatiche, il peso del giorno e del calore, la Chiesa ricorda il beneficio dicendo: Olio sparso il tuo nome ( Mt 20,12 ).

8. Questa è davvero la testimonianza di Israele per lodare il nome del Signore: non tuttavia dell’Israele secondo la carne, ma di quello che è secondo lo Spirito.

Ma come potrebbe dire questo il carnale Israele?

Non che non abbia l’olio, ma non lo ha sparso.

Lo ha, ma nascosto, lo ha nei codici, non nei cuori.

Aderisce fuori alla lettera, palpa con le mani un vaso pieno e chiuso, e non apre per ungersi.

Dentro vi è l’unzione dello Spirito: apri e ungiti, e non sarai più una casa ribelle.

Che fa l’olio nei vasi, se non lo senti anche nelle membra?

Che ti giova leggere qua e là nei libri il pio nome del Salvatore, e non avere poi la pietà dei costumi?

È un olio: spandilo e sentirai la sua virtù, che è triplice.

Ma al Giudeo queste cose danno fastidio; sentite voi.

Voglio dire perché il nome dello Sposo è paragonato all’olio, quel che non avevo ancora detto.

E di questo mi si presentano tre ragioni.

Ma, poiché viene chiamato con diversi nomi, per il fatto che nessuno lo esprima propriamente – è infatti ineffabile – dobbiamo prima invocare lo Spirito Santo perché si degni, con la sua ispirazione, giacché non lo ha fatto per mezzo della Scrittura, di indicarcene uno fra i tanti, quello che egli vuole intendere in questo luogo.

Ma anche di questo parleremo in altro tempo.

Poiché, anche se avessimo tutto pronto, e voi non foste già pieni e io stanco, l’ora ci dice che è tempo di finire.

Tenete a mente quello che vi ho raccomandato, perché non ci sia bisogno di ripeterlo domani.

Ora dobbiamo affrontare questo argomento che già ci si è delineato, sapere cioè perché il nome dello Sposo sia paragonato all’olio, e quello che riguarda i nomi.

E poiché da me non posso spiegare nessuna cosa, vi invito a pregare perché, per mezzo del suo Spirito, ci illumini il medesimo Sposo, Gesù Cristo Nostro Signore, al quale è onore e gloria nei secoli dei secoli.

Amen.

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