Sermoni sul Cantico dei Cantici |
1. Voi forse vi aspettate che andiamo avanti nel commento del testo, pensando che sia finito quello sul versetto di cui abbiamo ultimamente parlato.
Ma io penso ad altro; ho ancora da offrirvi dei frammenti del convito di ieri che avevo raccolto per me, affinché non andassero perduti.
E andranno perduti se non li offrirò a nessuno.
Perché, se vorrò tenerli per me solo, io perirò.
Non voglio pertanto privare di essi il vostro appetito, che ben conosco, specialmente perché vengono dall’alimento della carità, tanto più gustosi quanto più fini, tanto più saporiti quanto più minuti.
Diversamente sarebbe gravemente mancare alla carità il defraudare della stessa carità.
Dunque sono qui: Ha ordinato in me la carità.
2. C’è la carità effettiva e quella affettiva.
Circa la prima che consiste nelle opere penso sia stata data una legge agli uomini, e ci sia un preciso comandamento.
Riguardo quella che è nell’affetto, chi ne possiede tanta quanto è comandata?
La prima, dunque, è comandata per il merito, questa altra è data in premio.
Non neghiamo che con la grazia di Dio si possa sperimentare l’inizio e il progresso nella presente vita, ma riserviamo la sua perfezione alla felicità futura.
Come dunque potrebbe essere oggetto di comando quella che in nessun modo si può realizzare completamente?
O se a te piace che sia stato dato un precetto per la carità affettiva, io non discuto, purché anche tu ammetta che questa da nessun uomo può essere praticata in questa vita nella sua perfezione.
Chi infatti oserebbe arrogarsi quello che Paolo confessa di non aver raggiunto?
Non sfuggì al Maestro che il peso del precetto eccedeva le forze degli uomini, ma giudicò utile ammonirli con il fatto stesso della sua insufficienza, affinché sapessero bene a quale perfezione della giustizia fosse necessario tendere, secondo le forze.
Dunque, comandando cose impossibili non si rendono gli uomini prevaricatori, ma umili, perché sia chiusa ogni bocca e tutto il mondo sia soggetto a Dio, perché dalle opere della legge non sarà giustificato nessun uomo davanti a lui.
Ricevendo dunque il comando, e sentendo la nostra deficienza, grideremo verso il cielo e Dio avrà misericordia di noi, e sapremo in quel giorno che egli ci ha salvato non per le opere di giustizia che noi avremo fatto, ma secondo la sua misericordia.
3. E questo direi nel caso che ammettiamo che sia stata data una legge circa la carità affettiva.
Però questo sembra convenire piuttosto alla carità attiva, perché dopo aver detto: Amate i vostri nemici, il Signore ha aggiunto subito circa le opere: Fate del bene a quelli che vi odiano ( Lc 6,27 ).
E così la Scrittura: Se il tuo nemico avrà fame dagli da mangiare, se avrà sete dagli da bere ( Rm 12,20 ).
Qui si parla di atti, non, di affetto.
Ma senti anche il Signore che comanda circa l’amore di Lui: Se mi amate, osservate i miei comandi ( Gv 14,15 ).
Anche qui ci si rimanda alle opere con l’ingiunzione di osservare i comandamenti.
Ora sarebbe stato superfluo ammonire di compiere le opere, se già ci fosse stata la dilezione dell’affetto.
In questo senso devi pure prendere le parole con cui ti si comanda di amare il prossimo tuo come te stesso, sebbene non sia espresso così chiaramente.
Non ti è forse sufficiente per adempiere questo comandamento dell’amore del prossimo osservare alla perfezione quello che è prescritto a ogni uomo secondo la legge di natura: Non fare ad altri quello che non vuoi sia fatto a te ( Tb 4,16 ).
E così quell’altro: Fate agli altri tutte quelle cose che volete che gli uomini facciano a voi? ( Mt 7,12 ).
4. E non, dico questo perché siamo senza affezione, e con cuore arido muoviamo solo le mani per operare.
Ho letto tra gli altri grandi e gravi mali degli uomini, descritti dall’Apostolo, anche questo: senza affetto ( Rm 1,31 ).
Ma c’è un affetto che proviene dalla carne, e ve n’è uno che è guidato dalla ragione, e ce n’è uno che produce la sapienza.
La prima affezione quella che l’Apostolo dice che non è soggetta alla legge di Dio, né lo può essere; la seconda all’opposto è quella che descrive consenziente alla legge di Dio, perché è buona; e non c’è dubbio che c’è di stanza tra l’essere consenziente e l’essere opposta.
La terza è molto distante dall’una e dall’altra, e questa gusta e sperimenta quanto è dolce il Signore che elimina la prima e rimunera la seconda.
La prima infatti è dolce, ma turpe; la seconda è secca, ma forte; l’ultima è pingue e soave.
Per la seconda, pertanto, si compiono le opere, e in essa la carità siede: non quella carità affettiva la quale, crescendo con il condimento del sale della sapienza porta alla mente la grande moltitudine delle dolcezze del Signore; ma piuttosto una certa carità attiva, la quale, anche se non ristora ancora soavemente con quel dolce amore, accende tuttavia fortemente dell’amore di lui.
Non vogliate, dice, amare con le parole e con la lingua, ma con opere e verità ( 1 Gv 3,18 ).
5. Vedi come passa cautamente tra l’amore vizioso e l’affettuoso, distinguendo dall’uno e dall’altro questa carità fattiva e salutare.
Né in questa dilezione riceve la finzione della lingua bugiarda, né esige il gusto che sperimenta la sapienza.
Con le opere, dice, amiamo e con verità ( 1 Gv 3,18 ): dobbiamo cioè muoverci a operare il bene più per impulso della viva verità che per affetto di quella saporosa carità.
Ha ordinato in me la carità.
Quale delle due? L’una e l’altra, ma con ordine opposto.
Poiché l’attiva preferisce le cose inferiori, l’affettiva quelle superiori.
Infatti: nella mente ben affezionata non vi è dubbio che l’amore di Dio sia da anteporre all’amore dell’uomo, e fra gli uomini i più perfetti siano da preferire ai più deboli, il cielo alla terra, l’eternità al tempo, l’anima al corpo.
Tuttavia in una attività ben ordinata spesso, o anche sempre, si trova un ordine opposto.
Così riguardo alla cura del prossimo, più ci sta vicino e più ce ne occupiamo, assistiamo con più diligente premura i fratelli più infermi; lavoriamo più per la pace in terra che per la gloria del cielo, per diritto di umanità e spinti dalla stessa necessità; la preoccupazione delle cure temporali a stento ci permette di pensare alle cose eterne; e ci occupiamo quasi di continuo delle infermità del nostro corpo, posponendo la cura dell’anima; e le stesse nostre membra più inferme, come dice l’Apostolo, circondiamo di più grande onore e rispetto, mettendo in atto con ciò in un certo modo il detto del Signore: Gli ultimi saranno i primi e i primi gli ultimi ( Mt 20,16 ).
Infine, chi dubita che parli con Dio un uomo che prega?
E tuttavia quante volte da quel colloquio siamo distolti e strappati per ordine della carità, per andare da quelli che hanno bisogno della nostra opera o della nostra parola!
Quante volte la pia quiete piamente cede ai tumulti degli affari!
Quante volte con buona coscienza si mette da parte un libro per andare a faticare in un lavoro manuale!
Quante volte per amministrare cose terrene, giustissimamente sospendiamo le stesse celebrazioni della S. Messa!
Ordine a rovescio; ma la necessità non ha legge.
La carità attiva dispone dunque il suo ordine secondo il comando del padre di famiglia, cominciando dagli ultimi, pia certamente e giusta, senza accettazione di persone, né considerando il valore delle cose, ma le necessità degli uomini.
6. Ma non così la canta affettiva: questa stabilisce il suo ordine cominciando dalle cose prime.
È infatti sapienza, per la quale le cose hanno sapore secondo che sono, sicché per esempio quelle cose che la natura ha di più grandi anche la: stessa affezione sente maggiormente, di meno le minori, le minime minimamente.
Nella carità attiva l’ordine è fatto dalla verità della carità; qui invece è riservato alla carità della verità.
Infatti in questo sta la vera carità, che quelli che sono più bisognosi ricevano per primi; e di nuovo in questo appare rara la verità, se teniamo con l’affetto l’ordine che quella tiene con la ragione.
Ma tu se ami il Signore Dio tuo con tutto il cuore, con tutta l’anima, con tutte le tue forze, e con affetto più fervente sorpassi quell’amore di cui si contenta la carità attiva, e ti senti tutto acceso di quel divino amore, al quale questo fa da gradino, per aver ricevuto in pienezza lo Spirito, allora tu gusti veramente Dio, sebbene non del tutto come Egli è, il che è impossibile a ogni creatura, ma certamente per quanta è la tua capacità di gustarlo.
In seguito gusterai anche tu stesso come sei, quando sentirai di non aver nulla in te che ti renda degno di amarti se non in quanto sei di Dio: in quanto tutto quello per cui tu ami lo hai effuso in lui.
Ti gusterai come sei quando per la stessa esperienza dell’amore tuo e dell’affetto che avrai verso di te, troverai che tu non sei nulla che sia degno di essere amato da te se non per colui senza del quale tu sei niente.
7. E ora il prossimo che tu devi amare come te stesso, perché abbia per te sapore secondo quello che è, non avrà certo altro sapore che quello che tu senti per te.
Se dunque tu non ti ami se non perché ami Dio, di conseguenza tutti quelli che similmente lo amano tu li ami, come te stesso.
Pertanto un uomo nemico, che non è nulla per il fatto che non ama Dio, non puoi amarlo come te stesso che ami Dio.
Non è la stessa cosa amare perché ami e amare perché ama.
Pertanto affinché tu lo senta come è, lo gusterai non secondo quello che è, perché di fatto non è nulla, ma secondo quello che forse sarà in futuro, il che è vicino al nulla, in quanto è sospeso al dubbio.
Che se fosse certo che non tornerà in seguito all’amore di Dio, allora necessariamente non ti saprà quasi di niente, ma niente affatto, perché in eterno non sarà nulla.
Eccettuato questo che non solo non è più da amare, ma per di più è da odiare, secondo quel detto: Non odio forse, o Signore, quelli che ti odiano, e detesto i tuoi nemici ( Sal 139,21 )?
Per il resto a nessun uomo, anche se inimicissimo, la carità ambiziosa permette che venga negato un qualche affetto.
Chi è sapiente e comprenderà queste cose?
8. Dammi un uomo che con tutto se stesso ami Dio sopra tutte le cose; e ami se stesso e il prossimo in quanto amano Dio; ami il nemico in quanto forse un giorno lo amerà anche lui; che ami i consanguinei con pii familiarità, secondo la natura; i suo maestri spirituali con più profusione per la grazia, e in questa maniera ami con un amore ordinato tutte le altre cose di Dio, disprezzando la terra, sospirando il cielo, usando di questo mondo come se non ne usasse, e che fra le cose di cui si serve e di cui fruisce discerne con un certo intimo sapore della mente le transitorie dalle eterne, e alle transitorie dà relativa importanza, e cura solamente ciò che è necessario e in quanto è tale, abbracciando con eterno desiderio le cose eterne, dammi un tale uomo, dico, e io ardisco di dichiararlo sapiente in quanto per lui tutte le cose hanno veramente sapore secondo quello che sono, e in verità e con sicurezza egli può gloriarsi e dire: Ha ordinato in me la carità.
Ma dov’è quest’uomo, o quando si trovano queste cose? Lo dico piangendo: fino a quando odoriamo e non gustiamo, vedendo davanti a noi la patria senza raggiungerla, sospirando e salutandola da lontano?
O Verità, patria degli esuli, fine dell’esilio!
Ti vedo ma non mi si lascia entrare, trattenuto dalla carne, ma neanche degno di esservi ammesso, lordo Come sono di peccati.
O Sapienza che ti estendi da un confine all’altro forte nel costituire e contenere le cose, e disponi tutte le cose con soavità nel suscitare e ordinare gli affetti!
Dirigi i nostri atti come lo richiede la nostra temporale necessità, e disponi i nostri affetti come richiede la tua eterna verità, perché ognuno di noi possa con sicurezza gloriarsi in te e dire: Ha ordinato in me la carità.
Tu sei infatti la forza di Dio e la sapienza di Dio, o Cristo Sposo della Chiesa e Signore nostro, Dio benedetto nei secoli.
Amen.
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