Dialogo della Divina Provvidenza |
- Egli è facto giustiziere mio dalla mia giustizia per tormentare l'anime che miserabilmente hanno offeso me.
E in questa vita gli ho posti a temptare molestando le mie creature; non perché le mie creature siano vente, ma perché esse vencano e ricevano da me la gloria della victoria, provando in loro le virtú.
E neuno in questo debba temere per veruna bactaglia né temptazione di dimonio che lo' venga, però che Io gli ho facti forti, e dato lo' la fortezza della volontá, fortificata nel sangue del mio Figliuolo.
La quale volontá né dimonio né creatura ve la può mutare, però che ella è vostra e data da me.
Voi dunque col libero arbitrio la potete tenere e lassare, secondo che vi piace.
Ella è l'arme la quale voi ponete nelle mani del dimonio, e drictamente è uno coltello col quale egli vi percuote e con esso v'ucide.
Ma se l'uomo non dá questo coltello della volontá sua nelle mani del dimonio, cioè che egli consenta a le temptazioni e molestie sue, giamai non sará offeso di colpa di peccato per veruna temptazione.
Anco el fortifica colá dove egli apra l'occhio de l'intellecto a vedere la caritá mia.
La quale caritá permecte che siate temptati solo per farvi venire a virtú e a provare la virtú.
A virtú non si viene se non per lo cognoscimento di se medesimo e per cognoscimento di me.
El quale cognoscimento piú perfectamente s'acquista nel tempo della temptazione: perché alora cognosce sé non essere, non potendosi levare le pene e le molestie le quali vorrebbe fuggire; e me cognosce nella volontá ( la quale è fortificata per la bontá mia ) che non consente a esse cogitazioni: e perché ha veduto che la mia caritá le concede perché 'l dimonio è infermo e per sé non può cavelle se non quanto Io gli do; e Io el permecto per amore e non per odio, perché venciate e non siate venti, e perché veniate ad perfecto cognoscimento di voi e di me, e acciò che la virtú sia provata, però che ella non si pruova se non per lo suo contrario.
Dunque vedi che sonno miei ministri a crociare i dannati ne l'inferno, e in questa vita ad exercitare e provare la virtú ne l'anima.
Non che la intenzione del dimonio sia per farli provare in virtú, perché egli non ha caritá, ma per privarli de la virtú, e questo non può fare se voi non volete.
Or vedi quanta è la stoltizia de l'uomo, che si fa debile colá dove Io l'ho facto forte, ed esso medesimo si mecte nelle mani delle dimonia.
Unde Io voglio che tu sappi che nel punto della morte, essendo entrati nella vita loro socto la signoria del dimonio ( none sforzati, però che non possono essere sforzati come decto t'ho, ma volontariamente si sonno messi nelle mani loro), giognendo poi a l'extremitá della morte con questa perversa signoria, essi non aspectano altro giudicio, ma essi medesimi ne sonno giudici con la coscienzia loro e come disperati giongono a l'etterna dannazione.
Con l'odio strengono l'inferno in su la extremitá della morte; e prima che egli l'abbino, essi medesimi co' loro signori dimoni pigliano per prezzo loro l'inferno.
Sí come e' giusti vissuti in caritá morendo in dileczione, quando viene l'extremitá della morte, se egli è vissuto perfectamente in virtú illuminato del lume della fede, con l'occhio della fede, con perfecta speranza del sangue de l'Agnello, vegono el bene il quale Io l'ho aparecchiato e con le braccia de l'amore l'abracciano, stregnendo con estrecte d'amore me, sommo e etterno Bene, ne l'ultima extremitá della morte.
E cosí gustano vita etterna prima che abbino lassato el corpo mortale, cioè prima che sia separato dal corpo.
Altri che fussero passati nella vita loro con una caritá comune, che non fussero in quella grande perfeczione e giognessero a l'extremitá, costoro abracciano la misericordia mia con quello lume medesimo della fede e della speranza che ebbero quelli perfecti; ma hannola imperfecta.
Ma perché costoro erano imperfecti, strinsero la misericordia mia, ponendo maggiore la misericordia mia che le colpe loro.
Gl'iniqui peccatori fanno el contrario, vedendo con la disperazione el luogo loro, e con l'odio l'abracciano, come decto t'ho.
Sí che non aspectano d'essere giudicati né l'uno né l'altro; ma partonsi di questa vita, e riceve ogniuno el luogo suo, come decto t'ho.
Gustanlo e possegonlo prima che si partano dal corpo nella extremitá della morte: e' dannati co' l'odio e disperazione, e i perfecti con l'amore e col lume della fede e con la speranza del Sangue.
E gl'inperfecti con la misericordia e con quella medesima fede giongono al luogo del purgatorio.
Indice |