Dialogo della Divina Provvidenza

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Capitolo LXXVIII

Del quarto stato, el quale non è però separato dal terzo; e de le operazioni de l'anima che è gionta a questo stato; e come Dio non si parte mai da essa per continuo sentimento.

- Ora t'ho decto come dimostrano d'essere gionti a la perfeczione de l'amore de l'amico e filiale.

Ora non ti voglio tacere in quanto dilecto gustano me, essendo ancora nel corpo mortale.

Perché, gionti al terzo stato, in esso stato, sí com'Io ti dixi, acquistano el quarto stato.

Non che sia stato separato dal terzo, ma unito insieme con esso, e l'uno non può essere senza l'altro se non come la caritá mia e quella del proximo, sí com'Io ti dixi.

Ma è uno fructo che esce di questo terzo stato d'una perfecta unione che l'anima fa in me, dove riceve fortezza sopra fortezza, intanto che non che porti con pazienzia, ma esso desidera, con ansietato desiderio, di potere sostenere pene per gloria e loda del nome mio.

Questi si gloriano negli obrobri de l'unigenito mio Figliuolo, sí come diceva el glorioso di Pavolo mio banditore: « Io mi glorio nelle tribulazioni e negli obrobri di Cristo crocifixo ».

E in un altro luogo: « Io non reputo di dovere gloriarmi altro che in Cristo crocifixo ».

Unde in un altro luogo dice: « Io porto le stímate di Cristo crocifixo nel corpo mio ».

Cosí questi cotali, come inamorati de l'onore mio e come affamati del cibo de l'anime, corrono a la mensa della sanctissima croce, volendo, con pena e con molto sostenere, fare utilitá al proximo, conservare e acquistare le virtú, portando le stímate di Cristo ne' corpi loro.

Cioè che 'l crociato amore, il quale hanno, riluce nel corpo, mostrandolo con dispregiare se medesimi e con dilectarsi d'obrobri, sostenendo molestie e pene da qualunque lato e in qualunque modo Io le concedo.

A questi cotali carissimi figliuoli la pena l'è dilecto, el dilecto l'è fadiga e ogni consolazione e dilecto che 'l mondo alcuna volta lo' volesse dare.

E non solamente quelle che 'l mondo lo' dá per mia dispensazione ( cioè ch'e' servi del mondo alcuna volta sonno costrecti da la mia bontá ad averli in reverenzia e sovenirli ne' loro bisogni e necessitá corporali ), ma la consolazione che ricevono da me, Padre etterno, nella mente loro, la spregiano per umilitá e odio di loro medesimi.

Non che spregino la consolazione e 'l dono e la grazia mia, ma el dilecto che truova el desiderio de l'anima in essa consolazione.

Questo è per la virtú della vera umilitá acquistata da l'odio sancto, la quale umilitá è baglia e nutrice della caritá acquistata con vero cognoscimento di sé e di me.

Sí che vedi che la virtú riluce, e le stímate di Cristo crocifixo, ne' corpi e nelle menti loro.

A questi cotali l'è tolto di non separarmi da loro per sentimento, sí come degli altri ti dixi che Io andavo e tornavo a loro, partendomi non per grazia ma per sentimento.

Non fo cosí a questi perfectissimi che sonno gionti alla grande perfeczione, in tucto morti a ogni loro volontá, ma continuamente mi riposo per grazia e per sentimento ne l'anima loro; cioè che ogni otta che vogliono unirsi in me la mente per affecto d'amore, possono, perché 'l desiderio loro è venuto a tanta unione per affecto d'amore che per veruna cosa se ne può separare, ma ogni luogo l'è luogo e ogni tempo l'è tempo d'orazione; perché la loro conversazione è levata da la terra e salita in cèlo, cioè che ogni affecto terreno e amore proprio sensitivo di loro medesimi hanno tolto da sé.

Levati si sonno sopra di loro ne l'altezza del cielo con la scala delle virtú, saliti e' tre scaloni che Io ti figurai nel corpo del mio Figliuolo.

Nel primo spogliâro e' piei de l'affecto de l'amore del vizio; nel secondo gustâro el secreto e l'affecto del cuore, unde concepettero amore nelle virtú; nel terzo ( cioè della pace e quiete della mente ) provarono in sé le virtú e, levandosi da l'amore imperfecto, gionsero a la grande perfeczione.

Unde hanno trovato el riposo nella doctrina della mia Veritá; hanno trovata la mensa, el cibo e il servidore.

El quale cibo gustano col mezzo della doctrina di Cristo crocifixo, unigenito mio Figliuolo; Io lo' so' letto e mensa.

Questo dolce e amoroso Verbo l'è cibo, sí perché gustano el cibo de l'anime in questo glorioso Verbo, e sí perché egli è cibo dato da me a voi: la carne e 'l sangue suo, tucto Dio e tucto uomo, el quale ricevete nel Sacramento de l'altare, posto e dato a voi da la mia bontá, mentre che sète peregrini e viandanti, acciò che non veniate meno, ne l'andare, per debilezza, e perché non perdiate la memoria del benefizio del Sangue sparto per voi con tanto fuoco d'amore, ma perché sempre vi confortiate e dilectiate nel vostro andare.

Lo Spirito sancto gli serve, cioè l'affecto della mia caritá, la quale caritá lo' ministra e' doni e le grazie.

Questo dolce servidore porta e arreca: arreca a me i penosi e dolci ed amorosi desidèri, e porta a loro el fructo della divina caritá delle loro fadighe ne l'anime loro, gustando e notricandosi della dolcezza della mia caritá.

Sí che vedi che Io lo' so' mensa, el Figliuolo mio l'è cibo, e lo Spirito sancto gli serve, che procede da me Padre e dal Figliuolo.

Vedi dunque che sempre, per sentimento, mi sentono nella loro mente.

E quanto piú hanno spregiato el dilecto e voluta la pena, piú hanno perduta la pena e acquistato el dilecto.

Perché? perché sonno arsi e affocati nella mia caritá, dove è consumata la volontá loro.

Unde el dimonio teme il bastone della caritá loro, e però gicta le saecte sue da longa e non s'ardisce d'acostare.

El mondo percuote nella corteccia de' corpi loro credendo offendere, ed egli è offeso, perché la saecta, che non truova dove intrare, ritorna a colui che la gitta.

Cosí el mondo con le saecte delle ingiurie e persecuzioni e mormorazioni sue, gictandole ne' perfectissimi servi miei, non v'è luogo da veruna parte dove possa intrare, perché l'orto de l'anima loro è chiuso; e però ritorna la saecta a colui che la gicta, avelenata col veleno della colpa.

Vedi che da veruno lato la può percuotere, però che, percotendo el corpo, non percuote l'anima.

Ma sta beata e dolorosa: dolorosa sta de l'offesa del proximo suo, e beata per l'unione e affecto della caritá che ha ricevuta in sé.

Questi seguitano lo immaculato Agnello, unigenito mio Figliuolo, el quale stando in croce era beato e doloroso: doloroso era, portando la croce del corpo, sostenendo pena, e la croce del desiderio per satisfare la colpa de l'umana generazione; e beato era, perché la natura divina, unita con la natura umana, non poteva sostenere pena, e sempre faceva l'anima sua beata mostrandosi a lei senza velame.

E però era beato e doloroso, perché la carne sosteneva, e la deitá pena non poteva patire; neanco l'anima quanto a la parte di sopra de l'intellecto.

Cosí questi dilecti figliuoli, gionti al terzo e al quarto stato, sonno dolorosi portando la croce actuale e mentale: cioè actualmente, sostenendo pene ne' corpi loro, secondo che Io permecto, e la croce del desiderio del crociato dolore de l'offesa mia e danno del proximo.

Dico che sonno beati, però che 'l dilecto della caritá, la quale gli fa beati, non lo' può essere tolto, unde eglino ricevono allegrezza e beatitudine.

Unde si chiama questo dolore, non « dolore affliggitivo » che disecca l'anima, ma « ingrassativo », che ingrassa l'anima ne l'affecto della caritá, perché le pene aumentano la virtú e fortificano e crescono e pruovano la virtú.

Sí che è pena ingrassativa e non affliggitiva, perché veruno dolore né pena la può trare del fuoco, se non come il tizzone, che è tucto consumato nella fornace, che veruno è che 'l possa pigliare per spegnere, perché gli è facto fuoco.

Cosí queste anime, gictate nella fornace della mia caritá, non rimanendo veruna cosa fuore di me, cioè veruna loro volontá, ma tucti affocati in me, veruno è che le possa pigliare né trarle fuore di me per grazia, perché sonno facte una cosa con meco ed Io con loro.

E mai da loro non mi sottraggo per sentimento che la mente loro non mi senta in sé, sí come degli altri ti dixi che Io andavo e tornavo, partendomi per sentimento e non per grazia; e questo facevo per farli venire a la perfeczione.

Gionti a la perfeczione, lo' tolgo el giuoco de l'amore d'andare e di tornare, el quale si chiama « giuoco d'amore », ché per amore mi parto e per amore torno: non propriamente Io ( ché Io so' lo Idio vostro immobile che non mi muovo ), ma el sentimento che dá la mia caritá ne l'anima è quello che va e torna.

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