Dialogo della Divina Provvidenza

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Capitolo CLXV

Come Dio non merita secondo la fadiga de l’obedienzia né secondo longhezza di tempo, ma secondo la grandezza de la caritá.

E de la prontitudine de’ veri obedienti, e de’ miracoli che Dio ha mostrati per questa virtú.

E de la discrezione nell’obedire, e dell’opere e del premio del vero obediente.

- Tucti v’ho messi nella vigna de l’obbedienzia a lavorare in diversi modi.

A ogniuno gli sará dato il prezzo secondo la misura de l’amore e non secondo l’operazione né misura del tempo; cioè che piú abbi colui che viene per tempo, che quello che viene tardi, sí come si contiene nel sancto Evangelio.

Ponendovi la mia Veritá l’exemplo di quelli che stavano oziosi e furono messi dal Signore a lavorare nella vigna sua: e tanto die’ a quelli che andarono all’aurora quanto a quelli della prima, e tanto a quelli della terza e a quegli che andâro a sexta, a nona e a vesparo quanto a’ primi; mostrandovi la mia Veritá che voi sète remunerati non secondo il tempo né opera, ma secondo la misura de l’amore.

Molti sonno messi nella puerizia loro a lavorare in questa vigna: chi v’entra piú tardi, e chi nella sua vecchiezza.

Questi anderá alcuna volta con tanto fuoco d’amore, perché si vedrá la brevitá del tempo, che ringiugne quegli che intrarono nella loro puerizia, perché sonno andati co’ passi lenti.

Adunque ne l’amore de l’obbedienzia riceve l’anima il merito suo: ine empie il suo vasello in me, mare pacifico.

Molti sonno che tanto hanno pronpta questa obbedienzia e tanto l’hanno incarnata dentro ne l’anima loro, che, non tanto che si pongano a volere vedere il perché è loro comandato da colui che lo’ comanda, ma a pena che essi aspectino tanto che la parola gli esca della bocca, col lume della fede intendono la intenzione del prelato loro.

Unde il vero obbediente obbedisce piú a la intenzione che a la parola, giudicando che la volontá del prelato sia nella volontá mia, e per mia dispensazione e volontá comandi a lui; e però ti dixi che obbediva piú alla intenzione che alla parola.

Però obbedisce egli alla parola, perché prima obbediva con l’affecto alla volontá sua, vedendo col lume della fede e giudicando la volontá sua in me.

Bene il mostrò quello di cui si legge in Vita Patrum, che prima obbediva con l’affecto; ché, essendoli comandato dal prelato suo una obbedienzia, avendo cominciato uno « O », che è cosí piccola cosa, non die’ tanto spazio a se medesimo che egli el volesse compire, ma subbito fu pronpto a l’obbedienzia.

Unde, per mostrare quanto m’era piacevole, vi feci il segno, e compí l’altra metá, scripto d’oro, la clemenzia mia.

Questa gloriosa virtú è tanto piacevole a me che in neuna virtú è in che tanti segni e testimoni di miracoli siano dati da me quanti a lei, perché ella procede dal lume della fede.

Per dimostrare quanto ella m’è piacevole, la terra è obbediente a questa virtú, gli animali le sonno obbedienti, l’acqua sostiene l’obbediente.

E se tu ti vòlli alla terra, a l’obbediente obbedisce, sí come vedesti, se bene ti ricorda d’avere lecto di quello discepolo, che, essendoli dato uno legno secco dal suo abbate, ponendoli per obbedienzia che ’l dovesse piantare nella terra e inaffiarlo ogni dí, egli, obbediente, col lume della fede, non si pose a dire: - Come sarebbe possibile? - ma, senza volere sapere la possibilitá, compiè l’obbedienzia sua, intantoché, in virtú de l’obbedienzia e della fede, il legno secco rinverdí e fece fructo, in segno che quella anima era levata dalla secchezza della disobbedienzia, e, rinverdita, germinava il fructo de l’obbedienzia.

Unde il pomo di quello legno era chiamato per li sancti padri « el fructo de l’obbedienzia ».

E se tu raguardi negli animali, medesimamente.

Unde quello discepolo, mandato da l’obbedienzia, per la puritá e obbedienzia sua prese uno dragone e menollo a l’abbate suo.

Ma l’abbate, come vero medico, perché egli non venisse ad vento di vanagloria e per provarlo nella pazienzia, il cacciò da sé con rimproverio, dicendo:- Tu, bestia, hai menata legata la bestia.

- E se tu raguardi il fuoco, medesimamente.

Unde tu hai nella sancta Scriptura che molti, per non trapassare l’obbedienzia mia o per obbedire a me promptamente, essendo messi nel fuoco, el fuoco non lo’ noceva, sí come quelli tre fanciulli che stavano nella fornace, e di molti altri e’ quali si potrebbe contiare.

L’acqua sostenne Mauro, essendo mandato da l’obbedienzia a campare quello discepolo che se n’andava giú per l’acqua.

Egli non pensò di sé; ma pensò, col lume della fede, di compire l’obbedienzia del prelato suo.

Vassene su per l’acqua come andasse su per la terra, e campa il discepolo.

In tucte quante le cose, se tu apri l’occhio de l’intellecto, trovarrai che t’è mostrata l’excellenzia di questa virtú.

Ogni altra cosa si debba lassare per l’obbedienzia.

Se fussi levata in tanta contemplazione e unione di mente in me, che ’l corpo tuo fusse sospeso dalla terra, essendoti inposta l’obbedienzia ( parlandoti generalmente e non cosa particulare, che non pone legge ), potendo, tu ti debbi sforzare di levarti per compire l’obbedienzia imposta.

Pensa che da l’orazione tu non ti debbi levare, quando egli è l’ora, se non per necessitá o per caritá e obbedienzia.

Questo ti dico, perché tu vegga quanto Io voglio che la sia prompta ne’ servi miei e quanto ella m’è piacevole.

Ciò che fa, l’obbediente si merita: se egli mangia, mangia l’obbedienzia; se dorme, l’obbedienzia; se va, se sta, se digiuna e se veghia, tucto fa l’obbedienzia; se egli serve il proximo, l’obbedienzia; se egli è in coro o in refectorio o sta in cella, chi vel guida o fa stare?

L’obbedienzia, col lume della sanctissima fede, col quale lume si gittò, morto a ogni sua propria volontá, umiliato e con odio, nelle braccia de l’ordine e del prelato suo.

Con questa obbedienzia, riposandosi nella nave, lassatosi guidare al prelato suo, ha navigato nel mare tempestoso di questa vita con grande bonaccia, con mente serena e tranquilitá di cuore, perché l’obbedienzia, con la fede, ne trasse ogni tenebre.

Egli sta forte e sicuro, perché s’ha tolta la debilezza e timore tollendosi la propria volontá, dalla quale viene ogni debilezza e disordenato timore.

E che mangia e beie questa sposa de l’obbedienzia? Mangia cognoscimento di sé e di me, cognoscendo sé non essere, e il difecto suo, e me che so’ Colui che so’, in cui gusta e mangia la mia veritá, cognosciutala nella mia Veritá, Verbo incarnato.

E che beie? Sangue: nel quale Sangue el Verbo gli ha mostrata la veritá mia e l’amore ineffabile che Io gli ho.

In esso Sangue mostra la obbedienzia sua posta a lui, per voi, da me, suo Padre etterno, e però si innebria; e poi che è ebbra del Sangue e de l’obbedienzia del Verbo, perde sé e ogni suo parere e sapere, e possiede me per grazia, gustandomi per affecto d’amore col lume della fede nella sancta obbedienzia.

Tucta la vita sua grida pace; e nella morte riceve quello che nella professione gli fu promesso dal prelato suo, cioè vita etterna, visione di pace e di somma ed etterna tranquilitá e riposo: uno bene inextimabile, che neuno è che ’l possa stimare né comprendere quanto egli è.

Perché egli è infinito, da cosa minore non può essere compreso questo bene infinito, se non come il vasello che è messo nel mare, che non comprende tucto il mare, ma quella quantitá che egli ha in se medesimo.

El mare è quello che si comprende; e cosí Io, mare pacifico, so’ solo Colui che mi comprendo e mi stimo, e del mio stimare e comprendare godo in me medesimo.

Il quale godere e bene, che Io ho in me, participo a voi, a ogniuno secondo la misura sua.

Io l’empio e non la tengo vòta.

Dandole perfecta beatitudine, comprende e cognosce dalla mia bontá tanto quanto ne l’è dato a cognoscere da me.

L’obbediente, dunque, col lume della fede nella veritá, arso nella fornace della caritá, unto d’umilitá, inebriato di Sangue, con la sorella della pazienzia, e con la viltá avilendo se medesimo, con fortezza e longa perseveranzia e con tucte l’altre virtú, cioè col fructo delle virtú, ha ricevuto il fine suo da me, suo Creatore.

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