Supplica intorno ai cristiani |
Agli imperatori Marco Aurelio Antonino e Lucio Aurelio Commodo Armeniaci Sarmatici, e soprattutto Filosofi.
1. Nel vostro Impero, o grandi fra i re, vi sono vari popoli che si reggono con vari costumi e varie leggi, e nessuno di loro o da legge o da timore di giustizia è impedito di osservare i patri usi, anche se sono ridicoli; ma il Troiano dice che Ettore è un dio, e riconoscendo Elena per Adrasteia l'adora; il Lacedèmone venera Agamennone per Zeus e Filònoe, figlia di Tìndaro, come Enòdia; l'Ateniese fa sacrifici a Posidone Eretteo e cerimonie e misteri celebrano gli Ateniesi ad Agraulo e a Pàndroso, le quali si riputò oprassero empiamente per aver aperto il cofano; in una parola, gli uomini delle varie nazioni e popoli celebrano quei sacrifici e misteri che vogliono.
Gli Egiziani poi credono dei, gatti e coccodrilli e serpenti e aspidi e cani.
2. E a tutti costoro e voi e le leggi lo permettete, perché insomma da una parte stimate empio e non santo il non credere affatto in Dio, e dall'altra giudicate necessario che ognuno veneri per dei quelli che vuole, affinché per timore della divinità si astengano gli uomini dal commettere ingiustizia.
[ A noi invece - e non crucciatevi come il volgo nel solo udirlo - portate odio per il nome.
Poiché non già i nomi sono degni di odio, ma il delitto merita pena e supplizio.
E però ammirando la vostra mitezza e la mansuetudine e quell'animo pacato e benefico che mostrate verso tutti, i privati vivono in uguaglianza di diritti, e le città a proporzione del merito sono partecipi di uguale onore, e tutto quanto l'Impero per la vostra saggezza gode di pace profonda.
3. A noi invece, che siamo detti cristiani, non avete provveduto come agli altri, ma, al contrario, mentre non facciamo torto a nessuno, anzi, come sarà dimostrato nel séguito del discorso, abbiamo verso la divinità e verso il vostro Impero sentimenti di pietà e di giustizia come nessun altro, permettete che siamo vessati e spogliati, mentre solo a causa del nome il volgo ci combatte.
Per questo abbiamo preso l'ardire di esporvi cose nostre ( e imparerete da quanto dirò che ingiustamente e contro ogni legge e ragione siamo così trattati ) e vi supplichiamo di provvedere un po' anche per noi, affinché cessiamo una volta di venire scannati dai delatori.
4. Infatti il danno che ci viene dai persecutori non ha di mira solo le nostre sostanze, né l'onta ci colpisce solamente nei diritti civili, né il nocumento si riferisce a qualche altra cosa pur di rilievo ( questo noi lo disprezziamo, benché ai più sembrino cose di gran conto, poiché abbiamo appreso non solo a non renderle a chi ci percuote, anzi a non litigare con chi ci deruba e ci spoglia, ma quand'anche ci oltraggiassero percuotendoci in una guancia, a porgere, perché la colpiscano, anche l'altra parte della faccia e, se ci portassero via la tunica, a dare inoltre anche il mantello ) ma ci attentano, quando abbiamo finito di poter pagare, nel corpo e nella vita, diffondendo un cumulo d'accuse che nemmeno per sospetto ci toccano, mentre riguardano proprio questi ciarloni e la gente della loro risma.
1. Che se si ha modo di convincerci di qualche ingiustizia, o piccola o grande, noi non ricusiamo di venire puniti, vogliamo anzi sottostare al più acerbo e crudele castigo; ma se l'accusa non va oltre al nome e, almeno fino ad oggi, quanto si va blaterando di noi non è che il volgare e inconsulto rumore della gente, e nessun cristiano è stato convinto di operare contro giustizia, or tocca a voi, o grandissimi e umanissimi e dottissimi imperatori, togliere di mezzo con una legge le violenze che ci vengono fatte, affinché, come tutta la terra è partecipe della vostra beneficenza, tanto i privati quanto le città, anche noi vi siamo grati gloriandoci che siano cessate le calunnie contro di noi.
2. Non è infatti degno della vostra equità che, mentre gli altri accusati di delitti non vengono puniti se prima non ne sono convinti, contro di noi invece il nome abbia maggior valore delle prove in giudizio; ché non ricercano i giudici se l'imputato abbia qualche colpa, ma si scagliano contro il nome come se si trattasse di un delitto.
Ora un nome in sé e per sé non si reputa né cattivo né buono, ma è ritenuto o cattivo o buono a seconda delle azioni o cattive o buone che gli sottostanno.
3. E questo voi lo sapete più chiaramente degli altri, in quanto che siete versati nella filosofia e forniti d'ogni dottrina.
E però quelli che si presentano al vostro tribunale, sebbene accusati di gravissime colpe, pure sono pieni di fiducia, e ben sapendo che esaminerete la loro vita e non darete peso né ai nomi, ove siano vuoti nomi, né alle imputazioni degli accusatori, ove siano false, sono ugualmente disposti ad accogliere la sentenza che li condanna come quella che li assolve.
4. Pertanto anche noi imploriamo lo stesso trattamento che si usa per tutti, e cioè di non essere odiati e puniti perché siamo detti cristiani ( come può infatti il nome renderci malvagi? ) ma di venire giudicati su ciò per cui si è chiamati in tribunale, e, o di esser mandati assolti, se ci purgheremo delle accuse, o di essere puniti se convinti di colpe, e non per il nome ( ché nessun cristiano è malvagio, a meno che non simuli questa dottrina ), ma per il fallo commesso.
5. Così appunto vediamo giudicati i filosofi.
Nessuno di essi, prima della sentenza, viene ritenuto dal giudice per buono o per cattivo a motivo della sua scienza o arte, ma, ove appaia colpevole, viene punito senza attirare biasimo alcuno alla filosofia, poiché malvagio è chi non coltiva la filosofia come si deve, ma la scienza non ne ha colpa; che se poi riesce a purgarsi dalla calunnia, è rimandato assolto.
Ebbene, anche con noi si faccia lo stesso!
Si esamini la vita di chi è citato in giudizio, ma il nome sia esente da qualunque colpa.
6. E ora che sto per cominciare la difesa della nostra dottrina, mi è necessario pregarvi, o massimi imperatori, di volerci equanimemente ascoltare, e di non lasciarvi fuorviare e prevenire dalla volgare e inconsulta opinione, ma di concedere anche alla nostra dottrina quell'amore che avete per il sapere e per la verità.
E così né voi errerete per non conoscere, e noi, liberatici dalle inconsulte dicerie del volgo, cesseremo di essere combattuti.
1. Tre delitti ci vanno imputando: ateismo, cene tiestee e accoppiamenti edipodèi.
Ora, se queste accuse sono vere, non la risparmiate a nessun genere di persone, levatevi anzi a vendetta di questi delitti, e con le mogli e i figli uccideteci ed estirpateci fin dalle radici, se pur v'è tra gli uomini chi viva alla maniera delle bestie: benché neppure le bestie assaltano i loro congeneri, e secondo la legge di natura e nel solo tempo della procreazione e non già sfrenatamente si accoppiano, e riconoscono chi fa loro del bene.
Se dunque v'ha un uomo ancor più feroce delle belve, a qual pena per siffatti delitti dovrà costui sottostare, perché si giudichi punito secondo il merito?
2. Che se poi queste le sono ciance e accuse infondate, ché per una ragion naturale il vizio si oppone alla virtù, e per legge divina le cose contrarie si combattono a vicenda, e che noi non commettiamo nulla di tutto questo voi stessi siete testimoni, in quanto non volete che confessiamo, è dunque ufficio vostro ormai inquisire sul modo di vivere, sulle dottrine, sullo zelo e sull'obbedienza che abbiamo per la casa vostra e per l'Impero, e tosi concedere una volta a noi nulla più che ai nostri persecutori.
Poiché noi li vinceremo, noi che per la verità siamo pronti a dare anche la vita.
Ateo era Diagora, non noi, che distinguiamo fra Dio e la materia, riconoscendo un Dio unico, creatore di tutto.
1. Pertanto, che noi non siamo atei ( risponderò alle singole accuse ) ho paura che non sia persino ridicolo confutare chi lo afferma!
Giustamente infatti gli Ateniesi incolparono Diagora di ateismo, non solo perché metteva in piazza il culto orfico e propalava i misteri di Eleusi e quelli dei Cabiri, e perché spaccò la statua d'Eracle per cuocersi le rape, ma perché senz'altro a chiara voce affermava che Dio non c'è affatto.
A noi invece, che distinguiamo Dio dalla materia e mostriamo che altro è materia e altro è Dio e che v'è una gran differenza tra loro poiché la divinità è increata ed eterna, e soltanto con la mente e con la ragione si può contemplare, mentre la materia è creata e corruttibile - a noi, dico, non è irragionevole che si affibbi la taccia di ateismo?
2. Ché, se la pensassimo come Diagora, mentre abbiamo tanti pegni che ci obbligano a venerare Dio, e cioè il bell'ordine, la perfetta armonia, la grandezza, il colore, la figura e la disposizione del mondo, meritatamente ci verrebbe apposta la taccia di non essere pii, e ci sarebbe motivo di essere perseguitati.
Ma poiché la nostra dottrina ammette per unico Dio il fattore di quest'universo, il quale non è stato fatto ( poiché quello che è non si fa, bensì quello che non è ), ma tutte le cose ha fatto per mezzo del Verbo che procede da lui, due cose ci capitano entrambe irragionevoli, di essere cioè diffamati e perseguitati.
1. E poeti e filosofi non furono tenuti per atei, perché investigavano su Dio.
Euripide, incerto su quelli che secondo il comune pregiudizio per ignoranza sono nominati dei, diceva: Non doveva Zeus, se pur in cielo esiste, il medesimo ridurre a triste sorte; quando poi sentenziava su quello che é concepibile per mezzo della scienza, così egli: Vedi tu questo eccelso etra infinito che nell'umide braccia il mondo accoglie?
Zeus riconosci in lui, lui Dio tu stima.
2. Di quelli infatti non vedeva né che sussistessero le essenze alle quali accade che si dia il nome: Ché Zeus, chiunque sia Zeus, non so se non per detto, né che i nomi fossero predicati di realtà sussistenti ( che hanno infatti di più dei nomi le cose di cui non sussistono le essenze? ); ma Dio lo intuiva dalle opere, considerando i fenomeni dell'acqua, dell'etere e della terra come manifestazione delle cose occulte.
3. Quegli pertanto di cui sono le cose create, e dal cui spirito sono guidate, questi comprendeva essere Dio, concordando con lui anche Sofocle quando cantava: Unico in verità, unico é Dio che il ciel costrusse e l'ampia terra insegnando così, a proposito della natura piena della bellezza di lui, queste due cose: e dove dev'essere Dio e che dev'essere uno.
I Pitagorici, con la dottrina dei numeri; Platone, che parla d'un Fattore dell'universo e poi di altri dei generati; Aristotele e gli Stoici, con la teoria circa l'anima del mondo.
1. E anche Filolao, col dire che Dio come da un posto di guardia abbraccia tutte le cose, dimostra che egli è uno e al di sopra della materia.
Liside poi e Opsimo, l'uno definisce Dio come numero ineffabile, l'altro come l'eccedenza del massimo dei numeri su quello che gli è più vicino.
E se numero massimo, secondo i Pitagorici, è il dieci, che è la quaderna e che contiene tutte le progressioni aritmetiche e armoniche, e se vicino a questo sta il nove, Dio è la monade, cioè l'uno, poiché di uno il numero massimo supera quello che gli è più vicino, che gli viene subito dopo per grandezza.
2. Platone poi e Aristotele ( e non già con la pretesa di esporre per filo e per segno i placiti dei filosofi io passo così in rassegna le cose che hanno detto di Dio, poiché io so che quanto per intelligenza e per potenza d'impero superate tutti, altrettanto tutti vincete anche per il pieno possesso d'ogni disciplina, mentre in ogni ramo dello scibile riportate tal vanto quale non riporta neppure chi si è dato tutto a una sola parte di esso.
Ma poiché non mi è possibile, senza allineare dei nomi, dimostrare che noi non siamo i soli a ridurre Dio all'unità, così mi sono rivolto alle sentenze ).
Dice dunque Platone: « Il fattore pertanto ed il padre di questo universo è difficile saperlo trovare, e chi lo abbia trovato è impossibile che lo indichi a tutti », poiché, egli pensa, uno è il Dio non genito ed eterno.
Che se ne ammette anche altri, come il sole e la luna e gli astri , però li ammette come generati: « Dei figli di dei, dei quali io sono creatore e padre di opere che sono indissolubili senza la mia volontà; tutto ciò invero che è legato può sciogliersi ».
Se dunque non è ateo Platone, che concepisce come unico e ingenito Dio il fattore dell'universo, neppur noi siamo atei, noi che riconosciamo e teniamo per Dio colui dal quale, per mezzo del Verbo, l'universo fu fatto e per mezzo dello Spirito suo viene conservato.
3. Aristotele poi e i suoi seguaci, affermando un solo Dio simile a un animale composto, dicono Dio risultante di anima e di corpo, ritenendo corpo di lui quello etereo e i pianeti e la sfera delle stelle fisse, le quali cose tutte si muovono circolarmente, e anima la ragione che presiede al movimento del corpo, e questa non già mossa, ma causa del movimento del corpo.
4. E gli Stoici, benché con le denominazioni secondo le mutazioni della materia ( attraverso la quale, dicono, penetra lo spirito di Dio ) moltiplichino la divinità quanto ai nomi, nel fatto poi concepiscono un Dio unico.
Che se Dio è fuoco artista che procede con metodo alla generazione del mondo contenendo in sé tutte quante le ragioni seminali, per cui ogni cosa è prodotta secondo il fato, e se, d'altra parte, lo spirito di lui pervade tutto il mondo, uno solo è Dio, secondo essi, che è nominato Zeus a motivo della parte fervida della materia, Era a motivo dell'aria, ed è chiamato con altri nomi secondo ciascuna parte della materia che esso pervade.
Perché una legge é sancita contro di noi che professiamo una tal fede, e non, come i vostri poeti e filosofi, congetturando ciascuno a suo talento, ma seguendo i profeti divinamente ispirati?
1. Quando dunque tutti, arrivando ai principi di tutte le cose, s'accordano in massima a dire, anche se non lo vogliono, che una sola è la divinità, e noi dal canto nostro sosteniamo che chi ha sì bellamente ordinato questo universo, questi è Dio, per qual ragione sarà lecito a costoro e dire e scrivere impunemente ciò che vogliono di Dio, mentre invece è in vigore una legge contro di noi, i quali ciò che pensiamo e rettamente teniamo per fede, esservi un unico Dio, ben lo possiamo dimostrare con motivi di fatto e con ragioni?
2. Poeti e filosofi, infatti, in questo come negli altri campi, non fecero che congetturare, mosso ciascuno dalla propria anima per una certa conformità dell'ispirazione divina a ricercare se mai fosse possibile trovare e intendere la verità, ma riuscirono soltanto a girarvi attorno, non già a trovare la realtà, non avendo voluto apprendere da Dio ciò che riguarda Dio, ma ciascuno da se stesso.
3. Noi invece di ciò che pensiamo e teniamo per fede abbiamo a testimoni i profeti, i quali con lo spirito pieno di Dio alto hanno parlato e di Dio e delle cose di Dio.
Ora potreste dire anche voi, che per intelligenza e per pietà verso la divinità vera superate gli altri, come sia irragionevole trascurare di credere allo spirito di Dio, che ha mosso, come strumento, la bocca dei profeti, per badare alle opinioni umane.
Se vi fossero più dei, dovrebbero o costituire una certa unità o esistere separatamente: nel primo caso, dovrebbero essere del tutto simili, mentre l'increato non ha simile, oppure essere parti integranti d'un tutto, e questo sarebbe fatto, corruttibile, composto, divisibile, mentre Dio é tutto l'opposto.
Se poi esistessero separatamente, dato che il creatore del mondo sta intorno al mondo, intorno al mondo o nel mondo essi non avrebbero più posto; se poi stessero fuori di questo mondo, sarebbero circoscritti e la loro provvidenza non si estenderebbe a noi.
1. Che pertanto uno solo fin da principio sia il Dio creatore di questo universo, considerate a questo modo, affinché abbiate anche là dimostrazione della nostra fede.
Se da principio due o più dei vi fossero stati, o sarebbero esistiti in una certa unità e identità o separatamente ciascuno da sé.
2. Ora, essere in tale unità e identità non potevano; infatti, se sono dei, non sono simili, e non sono simili perché appunto increati; ché gli esseri creati sono simili agli esemplari, mentre gl'increati non hanno simile, non essendo fatti da alcuno né ad immagine di alcuno.
3. Se poi si dicesse che Dio è uno a quel modo che mano e occhio e piede riguardo a un medesimo corpo ne sono parti integranti, in quanto fra tutti fanno uno solo completo, bisognerebbe osservare: veramente sì Socrate, in quanto è fatto e corruttibile, è composto e divisibile in parti, ma Dio è increato e impassibile e indivisibile; dunque non consta di parti.
4. Se poi ciascuno di essi sta da sé, mentre quello che ha creato il mondo se ne sta al di sopra delle cose create e al di là di ciò che fece e dispose in ordine, deve starà l'altro o gli altri?
Ché se il mondo, formato a mo' di sfera, è racchiuso dai cerchi del cielo, e il fattore del mondo è al di sopra delle cose create e lo governa con la provvidenza che ha di esse cose, qual sarà mai il luogo dell'altro o degli altri dei?
Poiché non è nel mondo, che è di un altro, né intorno al mondo, ché al di sopra di esso c'è il Dio creatore del mondo.
5. E se non è nel mondo né intorno al mondo ( poiché tutto ciò che è intorno ad esso è occupato da quello ) dove è egli?
Al di sopra del mondo e di Dio, dentro e intorno a un altro mondo?
Ma se è dentro e intorno a un altro mondo, non è più intorno a noi, poiché più non signoreggia in questo mondo, né per potenza è grande, poiché si trova in un luogo circoscritto.
6. Se poi non è né in un altro mondo ( ché tutto è riempito da questo ), né intorno a un altro ( ché tutto da questo è contenuto ), neppur esiste, non essendovi luogo nel quale egli sia.
Oppure che cosa fa egli, essendovi un altro dov'è il mondo ed essendo egli ai di sopra del fattore del mondo, senza essere poi né nel mondo né intorno al mondo?
7. Ma vi è una qualche altra cosa dove in qualche modo possa stare.
Ma sopra di lui vi è Dio e le cose di Dio.
E qual sarà il luogo, se questi riempie ciò che vi è al di sopra del mondo?
8. Di più, è egli provvido? No, che non è provvido, se non l'ha fatto.
Ma se non fa, né è provvido, né v'ha altro luogo in cui stia, quell'unico che è da principio e solo facitore del mondo egli è Dio.
1. Per altro, se noi ci accontentassimo di siffatte considerazioni, potrebbe alcuno pensare che sia umana la nostra dottrina; ma poiché le voci dei profeti danno fede ai nostri ragionamenti, ( e io penso che anche voi, amantissimi come siete del sapere e dottissimi, non siate ignari né di quelle di Mosè, né di quelle d'Isaia e di Geremia e degli altri profeti, i quali nell'estasi dei loro pensieri, quando lo Spirito divino li muoveva, proclamarono ciò che dentro li eccitava, di loro servendosi lo Spirito come un flautista soffierebbe nel flauto ) che dunque dissero costoro?
2. Il Signore Iddio nostro; nessun altro sarà paragonato a lui.
E di nuovo: Io Dio primo e ultimo, e all'infuori di me non v'è Dio.
Similmente: Prima di me non vi fu altro Dio e non sarà dopo di me; io sono Dio, e fuori di me non ve n'è altro.
E intorno alla sua grandezza: Il cielo é mio trono, e la terra sgabello dei miei piedi.
Quale casa mi edificherete voi, o quale sarà il luogo del mio riposo?
E lascio a voi di esaminare, applicandovi a questi stessi libri, le loro profezie, affinché con retto giudizio diate fine ai soprusi che ci fanno.
Indice |