Fratel Teodoreto ( Prof. Giovanni Garberoglio ) |
Anche il santo ha da fare i conti con il proprio corpo, il quale, se è come lo ha fato l'ambiente ereditario, familiare, storico e geografico, è anche un poco quello che ognuno l'ha saputo rendere, attraverso un suo « modus » di vita: più o meno resistente, agile, elastico, dignitoso, soggetto allo spirito...
Il Fratel Teodoreto ebbe una robusta corporatura, uno scheletro solido non mai soverchiato da obesità, sebbene con muscolatura di proporzionato sviluppo.
La forma della scatola cranica denunciava apertamente l'origine contadina; la bocca aveva larga oltre l'ordinaria misura, così da sottrarsi ai canoni d'ogni classica bellezza.
Ma l'abitudine dei santi pensieri, la cordialità sincera, e più che tutto la contemplazione costante dell'Ospite divino in Lui presente avevano ingentilito il volto, rendendolo dolce, espressivo e presso che radioso.
Il suo portamento era pieno di dignità e di semplicità a un tempo.
Nessuna ricerca di effetto nel modo di portare l'abito, il mantello, il cappello regolare, che splendevano solo di nitidezza; nessuna affettazione nell'acconciatura dei capelli, sempre ordinati, piuttosto corti, non mai artificiosamente disposti, e meno che mai leccati o laccati, come oggi usa da non pochi religiosi, con evidente stonatura d'ordine estetico oltre che etico ed ascetico.
Il corpo egli considerava strumento dell'anima, più che nemico di essa; e ne aveva quindi la cura che ragione e fede prescrivono.
Non era di quei santi che a tavola scoraggiano l'appetito dei loro vicini.
Mangiava di buon gusto quello che gli era presentato, servendosi anzi con una certa abbondanza, date le esigenze della sua vantaggiosa corporatura e delle laboriose giornate; senza mancare mai di temperanza, ben inteso, specialmente nel bere, benché fosse dei paesi del vino buono e se ne intendesse...
da un foglietto sdrucito, che sfuggì alla generale dispersione delle sue note intime, sappiamo che per proposito faceva « una mortificazione di gola ad ogni pasto »; ma la sapeva dissimulare così bene, che non la indovinava nessuno ...
Altra mortificazione meritoria, per quanto involontaria, era l'accettazione scrupolosa del più stretto regime, impostogli per lunghi periodi dalle sue ricadute in grave malattie.
Quando doveva mangiare tutto senza sale, ad esempio, nessuno lo udì muovere il minimo lamento, né abbozzare l'ombra d'una smorfia di svogliatezza!
Fu sempre fedele alla passeggiata regolare di ogni settimana ...
Era anzi buon camminatore, in pianura, fino agli ultimi tempi; e ci fu chi notò che neppure negli anni più tardi, e dopo le ricadute in malattie debilitanti, strascicava i piedi ...
Le passeggiate in collina fino al Pino, alla Maddalena, a Superga lo trovavano facilmente ai posti d'avanguardia ...
In montagna aveva il passo costante e perseverante del montanaro.
Per fisico ristoro, oltre che per dovere di fratellanza e di superiorità, si univa, durante l'estate trascorsa a Pialpeta ( anno 1910 ) o a Pessinetto ( dal 1912 in poi ), ai gruppi dei Fratelli che facevano qualche scalata: salì anche lui fino alla Levanna ( m. 3619 ), montagna non altissima, d'accordo; ma nei fasti nostrani essa segnava per allora il record, poiché altre cime notevoli non si erano calcate, all'infuori di quella del Rocciamelone ( m. 3538 ), facilmente raggiungibile da Susa e quindi meta ambita per le Comunità non lontane da Torino.
Come allenamento, le Case di formazione a quei tempi non offrivano - oltre le scorribande sul Gerbido - che le ascensioni addomesticate della Sacra di s. Michele ( m. 952 ) e del « Musiné » ( m. 1150 ).
Prima di ridere, i lettori ben equipaggiati di oggi ricordino che allora era molto se si arrivava ad attrezzarsi con un alpenstock di fattura casalinga.
Oggi, si capisce, il Rosa e il Bianco furono calcati da ben chiodate scarpe lasalliane, e non è quindi la stupirsi troppo se alcuni deplorino che l'Everest e il Ruvenzori non siano a facile portate di ... piede per chi vive abitualmente in Italia.
Del resto, quelle varie passeggiate all'Uja di Mondrone ( m. 2965 ), alla Rocca Moross ( m. 2135 ), al Rifugio Gastaldi ( 2600 ), erano tali da poter offrire già anche qualche pericolo o guaio ...
se coglieva la nebbia o la pioggia, come avvenne una volta ai laghi di Viano ( oltre i 2000 m. ), la cosa era poco divertente.
Allora Fratel Teodoreto correva ai ripari contro l'avverso tempo, mandando a letto i Fratelli fradici appena tornati in casa e facendoli ristorare con vin caldo, di quello generoso, a prevenire deplorevoli malanni.
Si ricorda anche qualche gita che minacciò di volgere a tragedia vera e propria: e se invece tutto finì con solo un poco di spavento, neppure uno dubitò di dovere la lieta soluzione alle preghiere di Fratel Teodoreto, fosse e non fosse Egli della comitiva, poiché con lo spirito si trovava sempre dov'erano i suoi Fratelli.
Nei periodi trascorsi da Fratel Teodoreto in Casa di formazione, per sostituire il Fratello Direttore del Noviziato o dello Scolasticato, si metteva in testa al gruppo per belle passeggiate sulle colline di Rivoli ...
Aveva premura che di ritorno i giovani trovassero l'acqua calda per un pediluvio ristoratore, la casa non offrendo allora maggiori possibilità.
Una volta che non si fece a tempo, per essere giunti giusto giusto al margine degli Esercizi spirituali, se ne mostrò desolato.
Ai giovani Fratelli dava anche sagge norme per lo sviluppo dei polmoni, per l'igiene della bocca, e aggiungeva al precetto l'esempio.
In un'epoca in cui avveniva persino che qualcuno potesse menar vanto di non avere mai usato il dentifricio, Fratel Teodoreto si nettava i denti dopo ogni pasto...
Mai non si presentava in pubblico, soprattutto se dovesse presiedere qualche adunanza, senza essere raso di fresco, aver cambiato le facciole e messo l'abito migliore ...
Piccole cose in sé, che dicono peraltro quanto Egli avesse fede pratica nell'unità del composto umano, del quale troppo sovente accade che gli uni non curino se non quel corpo che altri sembrano invece tenere in sommo disprezzo, volti solamente alle alte esigenze dello spirito: e rappresentando il duplice contrastante deplorevole eccesso dell'animalità da una parte e dell'angelismo dall'altra.
Si ebbe occasione di nominare Pialpetta e Pessinetto, due nomi che fanno epoca nella storia della Provincia lasalliana torinese, poiché rammentano i primi soggiorni mantanini offerti ai Fratelli per il periodo estivo, a ristoro delle fatiche scolastiche.
La scelta di Pialpetta venne fatta nel 1910, mentre era Direttore il Fratello Ippolito; ma fu proprio Fratel Teodoreto, dopo la parentesi di S. Genesio presso Chivasso nel 1911, ad assicurare alla povera Comunità di Santa Pelagia il possesso della villa San Giuseppe di Pessinetto in val di Lanzo, all'altezza di 600 metri, che offriva facilità di salire a ben maggiori quote con un poco di buon volere ...
Egli ottenne il prestito grazioso d'una parte della somma occorrente dall'Avv. Emilio Mottura; il compianto Can. Giuganino sollecitò una generosa offerta dal barone Romano Gianotti, e vi contribuì anche l'Ing. Rodolfo Sella; nomi di Scomparsi, che qui ci piace ricordare come atto di gratitudine a coloro che furono i ministri della Provvidenza, affinché Fratel Teodoreto potesse realizzare questo sogno d'umana sollecitudine per la salute fisica e morale dei suoi Fratelli.
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