Diario di Cesone |
Noviziato dei Catechisti
Conferenza del Fratel Teodoreto
L'umiltà è il senso pratico del divino: lo trova nel prossimo e si abbassa ovunque abita Iddio.
Ha per l'autorità una sommisione perfetta, un omaggio, un rispetto, una specie di culto.
La fede trapassa l'umano e fa vedere la realtà divina.
La certezza della fede forma il motivo e la santità del nostro abbassamento e ne costituisce pure la grandezza: non abbiamo altro padrone all'infuori di Dio.
L'umiltà si abbassa davanti all'uomo battezzato.
Non scorge le mancanze, ma cerca e scopre il divino in tutte le persone, le onora internamente ed esternamente, pur deplorando il male.
L'umile riconosce i propri doni, però considera negli altri piuttosto le virtù e in sé piuttosto i difetti.
Per ritenersi inferiore agli altri basta confrontare il divino altrui con i difetti propri.
Questa è un'abnegazione dolorosa, ma molto benefica a sé e agli altri.
É un principio di unità e di autonomia.
Non disprezziamo mai nessuno; rileviamone il lato buono.
Se dobbiamo richiamare qualcuno all'ordine facciamogli umilmente sentire che per molti lati ci confessiamo inferiori a lui.
Mettiamoci in spirito al disotto di tutti, considerando il profitto che forse avrebbero fatto gli altri se avessero ricevute tante grazie come noi a imitiamo S. Paolo che si diceva minimo fra i santi.
É la cura di acquistare, conservare, perfezionare l'umiltà
Dice S. Tommaso d'Aquino che l'umiltà è una specie di primo principio nell'ordine della vita morale.
Nell'ordine delle virtù essa occupa il primo posto perché scaccia l'orgoglio e rende l'uomo interamente disposto alle effusioni della grazia ( S. T. ).
Giustamente è detta fondamentale perché non vi è nulla di stabile senza la sua influenza: essa è base e cemento della vita spirituale.
Mezzi per acquistarla: Consideriamo noi stessi con serietà, come ci guarda Iddio - senza timidezza e debolezza o adulazione o illusione o indulgenza -
Consideriamoci nel presente e nel passato e se sentiamo orrore è buon segno, perché è il grido di una coscienza ben formata.
Poiché l'albero si giudica dai frutti, non dimentichiamo troppo facilmente chi siamo, senza il ricordo delle nostre colpe.
Il passato influisce ancora sul presente e non abbiamo alcuna certezza di perdono.
La coscienza della nostra miseria sia sempre presente.
Però siamo discreti e consideriamo più Dio che noi stessi, più i benefici ricevuti che il mal fatto.
Quando siamo biasimati stiamo in silenzio: Jesum autem tacebat.
Parliamo poco di noi stessi ed in ogni caso parliamone con fine retto.
( O per la gloria di Dio, o per utilità o sollievo del prossimo o nostro ).
Parlando di noi diciamo piuttosto il bene che il male.
La vera umiltà non si fa scorgere.
Fuggiamo le lodi; se fossimo conosciuti meglio non saremmo lodati.
Non diamo alcuna importanza alle lodi, anzi non protestiamo neppure.
Non dimentichiamo di rivolgere a Dio tutta la gloria.
Amiamo la vita nascosta ( nescire et pro nihilo reputare ).
Dio è nascosto nel mondo; G. C. visse nascosto ed è tutt'ora nascosto nell'Eucaristia.
Nascondiamo tutte le virtù, specialmente l'umiltà, salvi sempre i diritt della carità e della semplicità.
Perdiamoci nella massa; facciamo le cose comuni, ma non in modo comune.
Autore della nostra santità è Dio, perciò siamo pazienti nelle tribolazioni che ci manda.
Egli solo conosce le nostre necessità
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