Pensieri |
Antichità degli Ebrei.
Che differenza tra un libro e un altro!
Non mi meraviglio che i Greci abbiano fatto l'Iliade, e gli Egiziani o i Cinesi le loro storie.
Basta vedere come ciò sia nato.
Questi storici narratori non sono contemporanei delle cose di cui scrivono.
Omero fa un poema, che presenta come tale e che come tale viene accolto; perché nessuno credeva che Troia e Agamennone fossero esistiti, non più della mela d'oro.
Non pensava certo di fare storia, ma di dare svago.
Egli è il solo del suo tempo che scrive, l'opera è cosi bella che dura: tutti l'imparano e ne parlano, bisogna conoscerla a memoria.
Quattrocento anni dopo, i testimoni di quelle cose non sono più vivi, nessuno è più in grado di sapere se si tratta di storia o di un racconto, la si è semplicemente appresa dagli avi, e può anche passare per vera.
Qualsiasi storia non contemporanea è sospetta, così i libri delle Sibille e di Trimegisto, e tanti altri libri che godono di credito, sono falsi, e vengono riconosciuti falsi con il passare del tempo.
Non così degli autori contemporanei.
C'è una bella differenza tra il libro fatto da un individuo e da questi gettato al popolo, e un libro capace di generare un popolo.
Non è possibile dubitare che questo libro sia antico come il popolo.
Senza sensibilità non è possibile essere miserabili: una casa in rovina non lo è.
Solo l'uomo è miserabile.
« Ego vir videns ».
Se la misericordia di Dio è tanto grande che egli ci ammaestra sulla salvezza anche quando si nasconde, quale illuminazione non ce ne dobbiamo attendere quando si rivela!
Riconoscete dunque la verità della religione anche nella sua oscurità, in quel poco di luce che abbiamo, nell'indifferenza che manifestiamo verso la sua conoscenza.
All'essere eterno basta essere una volta per essere sempre.
Tutte le obiezioni degli uni e degli altri si ritorcono contro di loro, non toccano la religione.
Tutto quello che dicono gli empi …
412 Così l'universo intero insegna all'uomo o che è corrotto o che è riscattato.
Tutto gli ricorda o la sua grandezza o la sua miseria.
L'abbandono di Dio si manifesta nei pagani, la sua protezione negli Ebrei.
Tutti errano tanto più pericolosamente quanto ciascuno segue una verità, la loro colpa non consiste nel seguire qualcosa di falso, ma nel non seguire un'altra verità.
Dunque è vero che tutto ammaestra l'uomo sulla sua condizione, ma bisogna saperlo capire bene: perché non è vero che tutto rivela Dio, e non è vero che tutto lo nasconde.
Ma è vero al tempo stesso che egli si nasconde a coloro che lo tentano e si rivela a quelli che lo cercano, perché gli uomini sono sia indegni sia capaci di Dio: indegni per la loro corruzione, capaci per la loro prima natura.
Cosa possiamo dedurre da tutte le nostre oscurità se non che siamo indegni?
Senza oscurità l'uomo non avvertirebbe la propria corruzione, senza luce l'uomo non avrebbe speranza nel rimedio.
Per questo, non solo è giusto ma anche utile per noi che Dio sia in parte celato e in parte scoperto, dal momento che è ugualmente pericoloso per l'uomo conoscere Dio senza conoscere la propria miseria, o conoscere la propria miseria senza conoscere Dio.
La conversione dei pagani era affidata esclusivamente alla grazia del Messia.
Tanto a lungo gli Ebrei li hanno combattuti senza successo: tutto quello che ne hanno detto Salomone e i profeti è stato inutile.
Saggi come Platone e Socrate non hanno saputo convincerli.
Se Dio non si fosse mai manifestato per niente, questa eterna privazione sarebbe ambigua, e potrebbe alludere sia all'assenza di qualsiasi divinità, sia al fatto che gli uomini sono indegni di conoscerla, ma la circostanza che qualche volta si manifesta, non sempre, ciò toglie ogni equivoco.
Se appare una volta, egli è sempre; e dunque dobbiamo concludere che un Dio esiste e che gli uomini non ne sono degni.
Bestemmiano ciò che ignorano.
La religione cristiana consiste in due punti: per gli uomini è importante conoscerli, così come è pericoloso ignorarli.
E appartiene ugualmente alla misericordia di Dio l'aver dato segno di entrambi.
Ma tuttavia essi ne traggono spunto per concludere che uno di questi punti non esiste, il che dovrebbe portarli alla conclusione che esiste l'altro.
I saggi che hanno affermato che esiste un solo Dio, sono stati perseguitati, gli Ebrei odiati, i cristiani ancor di più.
Con la sola intelligenza naturale essi hanno capito che se c'è una sola religione vera sulla terra ogni comportamento deve tendervi come al suo centro.
Ogni comportamento deve avere come fine il consolidamento e la grandezza della religione; gli uomini devono avere in se stessi dei sentimenti conformi a ciò che essa ci insegna; e infine a tal punto essa deve essere lo scopo e il centro verso cui tutte le cose tendono, che chi ne conoscerà i principi possa spiegare tutta la natura umana in particolare e tutto il senso del mondo in generale.
Su questo fondamento essi ne approfittano per bestemmiare la religione cristiana, perché la conoscono male.
Essi si immaginano che essa consista semplicemente nell'adorazione di un Dio concepito come grande, potente ed eterno, che a ben vedere è la posizione del deismo, lontano dalla religione cristiana quasi quanto l'ateismo, che pure è del tutto contrario.
Da ciò concludono che questa religione non è veritiera, in quanto non vedono come ogni cosa concorre alla affermazione di questo punto: che Dio non si manifesta agli uomini con tutta l'evidenza che gli sarebbe possibile.
Dicano pure quello che vogliono contro il deismo, non approderanno a niente contro la religione cristiana, che si riduce al mistero del redentore, che unendo in sé le due nature, umana e divina, ha sottratto gli uomini alla corruzione e al peccato per riconciliarli a Dio nella sua persona divina.
Essa dunque insegna contemporaneamente agli uomini queste due verità: che esiste un Dio di cui gli uomini sono capaci, che di quel Dio la natura corrotta li rende indegni.
Per gli uomini è importante conoscere in egual misura i due punti.
È pericoloso per lui conoscere Dio senza conoscere la propria miseria, e conoscere la propria miseria senza conoscere il redentore che da quella li può guarire.
Da una sola di queste conoscenze deriva la superbia dei filosofi che hanno conosciuto Dio ma non la propria miseria, o la disperazione degli atei che riconoscono la propria miseria, ma non il redentore.
E così, come per l'uomo è necessario conoscere entrambi questi punti, è proprio della misericordia divina averceli fatti conoscere.
Questo è quello che fa la religione cristiana, e in questo essa consiste.
Si esamini su questo punto l'ordine del mondo, si veda se ogni cosa non tende a confermare questi due fondamenti della religione cristiana.
Gesù Cristo è lo scopo, il centro a cui tutto tende.
Chi lo conosce, conosce la ragione di tutte le cose.
Coloro che si perdono, si perdono perché non vedono una di queste due cose.
È dunque possibile conoscere Dio senza la propria miseria e la propria miseria senza Dio; ma non si può conoscere Gesù Cristo senza conoscere insieme Dio e la propria miseria.
Per questo motivo non è mia intenzione tentare qui di provare in forza di ragionamenti naturali, o l'esistenza di Dio, o la Trinità, o l'immortalità dell'anima, né alcuna delle cose di questo tipo, non solo perché non mi sentirei abbastanza forte da trovare in natura di che convincere gli atei incalliti, ma ancor di più perché questa conoscenza senza Gesù Cristo è inutile e sterile.
Anche se un uomo si persuadesse che le proporzioni numeriche sono immateriali, eterne e dipendenti da una prima verità da cui traggono l'esistenza, e che viene chiamata Dio, io non lo troverei molto avanti sulla via della salvezza.
Il Dio dei cristiani non consiste in un Dio semplice autore delle verità geometriche e dell'ordine degli elementi; questo è tipico dei pagani e degli epicurei.
Egli non è solo un Dio che esercita la sua provvidenza sulla vita e sui beni degli uomini per regalare un felice seguito di anni a quelli che lo adorano, questo è tipico degli Ebrei.
Il Dio di Abramo, di Isacco, di Giacobbe, il Dio dei cristiani, è un Dio d'amore e di consolazione.
È un Dio che colma l'anima e il cuore di coloro che possiede, è un Dio che fa loro sentire interiormente la loro miseria e la sua infinita misericordia, che si unisce nel fondo della loro anima, che la colma di umiltà, di gioia, di fiducia, di amore, che li rende incapaci di un altro fine che non sia lui stesso.
Tutti quelli che cercano Dio fuori da Gesù Cristo e che si fermano alla natura, o non trovano alcuna luce che li soddisfi, o arrivano a procurarsi un mezzo per conoscere Dio e servirlo senza un mediatore, e con questo cadono nell'ateismo o nel deismo, che sono due cose che la religione cristiana aborre in modo quasi uguale.
Senza Gesù Cristo il mondo non sopravviverebbe, perché sarebbe necessario che venisse distrutto, oppure che fosse come un inferno.
Se il mondo esistesse per educare l'uomo di Dio, la sua divinità vi rilucerebbe in ogni parte e in modo incontestabile; ma poiché non esiste che per mezzo di Gesù Cristo e per Gesù Cristo, e per istruire gli uomini sulla loro corruzione e sulla loro redenzione, tutto in esso risplende delle prove di queste due verità.
Ciò che in esso appare non rimanda né ad una esclusione totale, né ad una presenza manifesta della divinità, ma alla presenza di un Dio che si cela.
Tutto reca questo segno.
Il solo che conosce la natura, la conoscerà solo per essere miserabile?
Il solo che la conosce sarà dunque il solo infelice?
Non è necessario che non veda niente, e neppure che ne veda abbastanza per credere di possederla, ma che ne veda abbastanza per sapere di averla perduta; perché, per sapere che si è perduto, bisogna vedere e non vedere.
Ed è precisamente la condizione in cui si trova la natura.
Qualunque via scelga, non gli darò tregua.
La vera religione dovrebbe insegnare la grandezza, la miseria, dovrebbe portare alla stima e al disprezzo di sé, all'amore e all'odio.
Indice |