Summa Teologica - II-II |
I-II, q. 94, a. 5, ad 2; q. 100, a. 8, ad 3; De Pot., q. 1, a. 6, ad 4; In Heb., c. 11, lect. 4
Pare che in qualche caso sia lecito uccidere un innocente.
1. Il timore di Dio non si manifesta con il peccato, ma piuttosto « il timore di Dio allontana il peccato » [ Sir 1,27 Vg ].
Ora, Abramo viene lodato per aver temuto Dio con la sua decisione di uccidere il figlio innocente.
Quindi uno può uccidere un innocente senza commettere peccato.
2. Nei peccati contro il prossimo una colpa è tanto più grave quanto maggiore è il danno che si commette.
Ma l'uccisione arreca più danno al colpevole che all'innocente, il quale con la morte passa dalla miseria di questa vita alla gloria celeste.
Siccome dunque in certi casi è lecito uccidere un colpevole, sarà molto più lecito uccidere un giusto o un innocente.
3. Ciò che viene compiuto secondo l'ordine della giustizia non è peccato.
Ma talora secondo l'ordine della giustizia uno è costretto a uccidere un innocente: p. es. quando il giudice, che è tenuto a giudicare secondo le deposizioni, è costretto a condannare a morte una persona accusata da falsi testimoni che egli invece conosce essere innocente; e lo stesso si dica del carnefice che uccide chi è condannato ingiustamente, obbedendo al giudice.
Quindi uno può uccidere un innocente senza commettere peccato.
Sta scritto [ Es 23,7 ]: « Non far morire l'innocente e il giusto ».
Un uomo può essere considerato sotto due aspetti: in se stesso e in rapporto agli altri.
Considerato in se stesso nessun uomo può essere ucciso lecitamente: poiché in ciascuno, anche se peccatore, dobbiamo amare la natura, che è stata creata da Dio e che viene distrutta dall'uccisione.
Invece l'uccisione del colpevole diviene lecita, come sopra [ a. 2 ] si è detto, in vista del bene comune, che il peccato compromette.
Ora, la vita dei giusti serve a conservare e a promuovere il bene comune: poiché essi costituiscono la parte più nobile della società.
Perciò in nessun modo è lecito uccidere un innocente.
1. Dio è padrone della vita e della morte: quindi per suo ordine muoiono sia i peccatori che i giusti.
E così chi uccidesse un innocente per comando di Dio non peccherebbe, come non pecca Dio, di cui egli esegue la volontà; e mostrerebbe di temere Dio, obbedendo ai suoi comandi.
2. Nel misurare la gravità di un peccato si devono considerare più gli elementi essenziali che quelli accidentali.
E così chi uccide un giusto pecca più gravemente di chi uccide un peccatore.
Primo, perché nuoce a una persona che è tenuto ad amare di più, e quindi il suo agire è più in contrasto con la carità.
Secondo, perché fa un torto a chi meno lo merita, e quindi offende maggiormente la giustizia.
Terzo, perché priva la società di un bene maggiore.
Quarto, perché disprezza maggiormente Dio, come risulta dalle parole [ Lc 10,16 ]: « Chi disprezza voi disprezza me ».
- Il fatto poi che il giusto ucciso venga da Dio accolto nella gloria è accidentale all'uccisione.
3. Il giudice, quando fosse persuaso che un accusato, convinto dalle false testimonianze, è innocente, deve controllare le deposizioni con maggiore diligenza, per trovare il modo di liberarlo, come fece Daniele [ Dn 13,51ss ].
E se non può far questo deve rimandare l'accusato a un giudice superiore.
E se anche ciò è impossibile, allora non pecca dando la sentenza in base alle deposizioni: non è infatti lui che uccide l'innocente, ma gli accusatori.
Il carnefice poi che è alle dipendenze di un giudice che condanna un innocente, se la sentenza implica un errore patente non deve ubbidire: altrimenti andrebbero scusati i carnefici che uccisero i martiri.
Se invece non c'è un'ingiustizia patente, allora egli non pecca eseguendo la condanna: poiché non è in grado di discutere la sentenza del suo superiore; e non è lui a uccidere l'innocente, ma il giudice, di cui egli è l'esecutore materiale.
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