Supplemento alla III parte

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Articolo 2 - Se l'uomo che risorgerà sarà numericamente lo stesso

Pare che l'uomo mutevole non sarà numericamente lo stesso.

Infatti:

1. « Tutto ciò che ha una natura corruttibile e mutevole », dice Aristotele [ De gen. et corr. 2,11 ], « non ritorna numericamente identico ».

Ma tale è appunto la sostanza dell'uomo nello stato presente.

Quindi dopo la morte egli non sarà numericamente identico a quello di prima.

2. Se abbiamo delle umanità distinte, non possiamo avere lo stesso uomo: per cui Socrate e Platone sono due uomini e non uno solo, essendo l'umanità dell'uno distinta da quella dell'altro.

Ora, l'umanità dell'uomo risorto sarà distinta da quella che egli ha attualmente.

Quindi si avrà un altro uomo.

Possiamo provare la minore del sillogismo con due ragioni.

Primo, per il fatto che l'umanità, essendo la forma di tutto il composto, non è come l'anima forma e sostanza, ma soltanto forma.

Ora, le forme di questo genere cadono assolutamente nel nulla, e quindi non possono tornare a esistere.

Secondo, per il fatto che l'umanità risulta dall'unione delle parti.

Ora, un'unione non può tornare a essere quella di prima, poiché la ripetizione si oppone all'identità: infatti la ripetizione implica una pluralità, mentre l'identità implica l'unità.

Perciò si escludono a vicenda.

Ora, nella risurrezione l'unione si ripete.

Quindi non può essere identica.

E così non vi sarà l'identica l'umanità, e neppure l'identico uomo.

3. Perché l'uomo sia lo stesso, bisogna che l'animale che è in lui sia lo stesso.

Ma se non c'è identità nel senso non c'è neppure identità nell'animale, poiché l'animale viene definito in base al senso principale, cioè in base al tatto, come spiega Aristotele [ De anima 2,2 ].

Ora nell'anima separata, secondo alcuni, i sensi non rimangono, per cui nella loro ricostituzione non possono essere numericamente identici.

Quindi nella risurrezione non avremo numericamente lo stesso animale, e di conseguenza neppure lo stesso uomo.

4. La materia ha un'importanza maggiore in una statua che nell'uomo, poiché gli esseri artificiali sono nel genere della sostanza in forza della loro materia, mentre quelli naturali lo sono in forza della loro forma, come spiegano Aristotele [ Phys. 2,1 ] e Averroè [ De anima 2,8 ].

Ma se una statua viene rifusa con lo stesso metallo, non è più numericamente quella di prima.

Molto meno dunque lo sarà un uomo ricostituito dalle stesse ceneri.

In contrario:

Giobbe [ Gb 19,27 ] afferma a proposito della visione [ del Redentore ] dopo la risurrezione: « Lo vedrò io stesso, e non un altro ».

Quindi risorgerà lo stesso uomo di prima.

2. Dice inoltre S. Agostino [ De Trin. 8,5.8 ] che « risuscitare non è altro che rivivere ».

Ma non si potrebbe parlare di reviviscenza se l'uomo che torna a vivere fosse diverso da quello che è morto.

Perciò non vi sarebbe nemmeno risurrezione.

Il che è incompatibile con la nostra fede.

Dimostrazione:

La necessità di ammettere la risurrezione nasce dal fatto che l'uomo ne ha bisogno per conseguire il fine ultimo della sua esistenza, che egli non può raggiungere nella vita attuale, e neppure con la sola anima separata: altrimenti egli sarebbe stato costituito invano, se non potesse raggiungere il fine per cui è stato creato.

Essendo però necessario che il fine ultimo sia raggiunto dallo stesso identico essere che è stato creato per quel fine, affinché la sua creazione non risulti inutile, bisogna che risorga lo stesso uomo di prima.

E ciò avviene quando l'identica anima si ricongiunge allo stesso identico corpo.

Altrimenti, a rigore di termini, non avremmo una risurrezione vera e propria.

Perciò negare che a risorgere sarà un uomo numericamente identico a quello di prima è un'eresia, poiché si oppone alla verità della Sacra Scrittura, che insegna la risurrezione [ Gv 5,25.28; 1 Cor 15,51 ].

Analisi delle obiezioni:

1. Aristotele parla di un ritorno all'essere dipendente da un movimento o da una trasmutazione naturali.

Infatti egli dimostra la differenza esistente fra il movimento di traslazione che riporta al suo punto di partenza il cielo, che è una sostanza incorruttibile, e il movimento di generazione che negli esseri corruttibili riproduce la medesima specie, ma con individui diversi.

Dall'uomo, ad es., si genera il seme, da questo il sangue e così di seguito finché si arriva nuovamente all'uomo, che nella specie, ma non nel numero, sarà identico al generante.

Parimenti dal fuoco si sviluppa l'aria, o vapore, da questa l'acqua, dall'acqua la terra, dalla terra di nuovo il fuoco che è specificamente, ma non numericamente, identico a quello di prima.

È chiaro dunque che l'argomento non è a proposito.

Oppure si può rispondere che la forma degli altri esseri soggetti a generazione e corruzione non è per sé sussistente, in modo da poter rimanere dopo la corruzione del composto come l'anima razionale; la quale conserva l'essere acquisito nel corpo anche senza il corpo, che poi viene ricondotto, mediante la risurrezione, a partecipare di nuovo tale essere.

Poiché nell'uomo l'essere del corpo non è distinto dall'essere dell'anima, altrimenti la loro unione sarebbe accidentale.

Perciò nell'essere sostanziale dell'uomo non è mai avvenuta un'interruzione che impedisca all'uomo di tornare a essere numericamente quello di prima, come invece accade nelle altre cose che si corrompono e che cessano totalmente di esistere, venendo a mancare la forma e restando la sola materia, ma con un essere diverso.

Tuttavia neppure l'uomo con la generazione naturale viene reiterato numericamente identico.

Infatti il corpo di chi nasce per generazione non viene prodotto da tutta la materia di colui che lo genera.

Per cui si tratta di un corpo numericamente distinto, e di conseguenza sono distinti anche l'anima e tutto l'uomo.

2. Circa l'umanità, come circa la forma di un tutto qualsiasi, ci sono due opinioni.

Alcuni dicono che la forma del tutto è identica realmente a quella della parte: sarebbe infatti forma della parte in quanto perfeziona la materia, e forma del tutto in quanto da essa deriva la specie di quella data realtà.

Secondo questa opinione, dunque, l'umanità non sarebbe in realtà nient'altro che l'anima razionale.

Di conseguenza, siccome l'anima razionale è numericamente la stessa, sarà identica anche l'umanità.

E anche dopo la morte, sebbene non in quanto umanità: poiché il composto non riceve da essa la natura specifica.

La seconda opinione è quella di Avicenna [ Met. 5,5 ], che sembra più vera: secondo lui la forma del tutto non è soltanto la forma della parte, e neppure una qualche altra forma diversa da quella della parte, ma è l'insieme che risulta dalla composizione della materia e della forma e che le abbraccia ambedue; e questa forma della parte viene denominata essenza o quiddità del tutto.

Dato quindi che alla risurrezione si avranno un corpo e un'anima numericamente identici, avremo necessariamente un'identica umanità.

L'argomento dell'obiezione invece partiva dal presupposto che l'umanità fosse una forma aggiunta alla forma e alla materia.

Il che è falso.

E neppure la seconda dimostrazione vale a distruggere l'identità suddetta.

L'unione infatti può essere considerata come attiva o come passiva.

E sebbene sotto i due aspetti essa sia diversa, tuttavia non può impedire l'identità dell'umanità: poichè l'azione e la passione da cui risulta l'umanità non appartengono alla sua essenza, e quindi la loro diversità non produce due diverse umanità.

È chiaro infatti che la generazione e la risurrezione non sono numericamente lo stesso moto; ma non per questo viene compromessa l'identità del risorto.

- E così pure non si impedisce che l'umanità sia identica se col termine « unione » intendiamo la relazione stessa tra il corpo e l'anima.

Poiché tale relazione non è un elemento costitutivo dell'umanità, ma ne è solo un dato concomitante: infatti l'umanità non è una di quelle forme artificiali che consistono in una certa composizione e in un certo ordine, come dice Aristotele [ Phys. 2,1 ], per cui una ricomposizione numericamente distinta fa sì, ad es., che la forma di una casa non sia più identica a quella di prima.

3. L'argomento è validissimo contro coloro che pongono nell'uomo due anime distinte, una sensitiva e l'altra razionale, poiché in tal caso l'anima sensitiva non sarebbe incorruttibile nell'uomo, come non lo è neppure negli altri animali.

Per cui nella risurrezione non avremmo la stessa anima sensitiva, e per conseguenza nemmeno lo stesso animale e lo stesso uomo.

Se invece riteniamo che nell'uomo esiste sostanzialmente una sola e identica anima, insieme razionale e sensibile, non incontriamo in ciò alcuna obiezioni.

L'animale infatti è definito in base al senso inteso quale anima sensitiva come attraverso la sua forma essenziale, mentre in base al senso in quanto potenza sensitiva noi otteniamo la sua definizione come attraverso una forma accidentale, la quale, come dice Aristotele [ De anima 1,1 ], « è di primaria importanza per far conoscere l'essenza ».

Perciò dopo la morte l'anima sensitiva rimane sostanzialmente, come rimane anche l'anima razionale.

Invece le potenze sensitive secondo alcuni non rimangono.

Trattandosi però di proprietà accidentali, la loro variazione non può annullare l'identità di tutto l'animale, e neppure delle sue parti.

Infatti le potenze sono perfezioni o atti degli organi rispettivi solo come princìpi di operazione, come il calore nel fuoco.

4. La statua può essere considerata come sostanza o come artefatto.

Ora, essendo essa una sostanza in forza della sua materia, sarà sostanzialmente identica quando è ricostituita o rifusa con la stessa materia.

Ma essa è un'opera d'arte in forza della sua forma.

E questa è un certo accidente, il quale finisce quando la statua viene distrutta.

Sotto tale aspetto quindi essa non è e non può più essere numericamente identica a quella di prima.

Ma la forma dell'uomo, che è l'anima, rimane anche dopo la corruzione del corpo.

Perciò il paragone non regge.

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