La vocazione catechistica
1 - La Vocazione comporta la nostra donazione a Dio
2 - Pericoli
3 - Motivi validi
4 - Collaborazione con la Chiesa
5 - Scoprire la nostra vocazione
6 - La vocazione è legata alla preghiera
7 - Impegno di portare i giovani a Gesù
Vorrei sottoporvi oggi il tema delle vocazioni, che si presta ad una profonda meditazione.
Non dimentichiamo che noi abbiamo promesso, con la formula della nostra consacrazione, di fare tutto il possibile per estendere il bene che l'Istituto compie.
In connessione con il nostro triplice impegno votale, di povertà, castità ed obbedienza, con cui noi abbiamo espresso la nostra donazione a Dio e alle anime, abbiamo parimenti espresso la nostra donazione all'Unione.
Affidandoci ad un rappresentante dell'Unione, ci siamo impegnati ad estendere il bene che essa compie.
La Vocazione comporta la ricerca di nuove vocazioni
L'Unione, nel bene che compie, si prefigge di ricercare nuove vocazioni, per le quali noi dobbiamo lavorare.
Desidero tuttavia premettere che non siamo noi a dare la vocazione.
Essa è una chiamata di Dio; noi dobbiamo solamente disporci ad essere strumenti attraverso cui Dio chiama; la nostra cura delle vocazioni è generale e specifica.
Generale perché dobbiamo aiutare gli uomini, i giovani soprattutto, a ritrovare la volontà di Dio, ad esprimere il loro consenso al Battesimo ricevuto; a vivere fino in fondo il Battesimo secondo il disegno di Dio.
Quindi in questa attività generale noi dobbiamo ricercare le vocazioni all'Unione.
Pericolo costituito da motivi umani
Nella ricerca di nuove vocazioni, si è a volte animati da motivi umani, che invece debbono restare in secondo piano.
Esaminiamo alcuni dei motivi che sviano dal fine a cui deve essere ordinata l'autentica ricerca delle vocazioni: vi è per esempio la soddisfazione di constatare che il nostro numero si accresce e si ingrandisce.
Pericolo costituito dal considerare il numero come garanzia del valore della vocazione
Fa piacere trovarsi in un gruppo sempre più numeroso; si ha infatti l'impressione di dare maggiore solidità alla nostra opera che altri continueranno; si ha la speranza di un aiuto e in prospettiva di una sostituzione, poiché l'impegno apostolico e la responsabilità sono faticosi e logoranti.
Le vocazioni possono essere da noi sospirate, attese, ricercate, per poter realizzare per esempio nuove opere; vi è però quasi sempre la tentazione di cercare, nel successo dato dal numero crescente, la garanzia che l'opera è voluta da Dio.
Dobbiamo perciò guardarci dal considerare il problema delle vocazioni secondo tale impostazione; ricordiamo che la nostra sicurezza è data da Dio e non da altri; che la garanzia è data dalla nostra risposta fedele alla chiamata personale di Dio.
Quand'anche fossimo soltanto in due, ma fedeli alla chiamata di Dio, nulla ci mancherebbe.
Pericolo del sentirci turbare dalle defezioni
Quante volte, a causa di una defezione o di un allontanamento, noi ci sentiamo turbati nel vedere che il numero diminuisce.
Il turbamento, l'incertezza, l'esitazione che ci colgono in quei momenti e che ci spingono a dubitare del valore delle nostre adesioni sono molto pericolosi.
Non dimentichiamo che Dio potrebbe volere da noi una vocazione solitaria.
Consideriamo come modello la figura di Giovanni il Battista, che era solo nel deserto a compiere la volontà di Dio, e questo gli bastava.
Eppure quale fecondità, quale grandezza umana e spirituale ha avuto Giovanni Battista!
E quali elogi ha ricevuto da Gesù!
È una figura enorme, gigantesca anche dal punto di vista umano.
L'obbedienza a Dio
Alla luce di queste considerazioni, esaminiamo i motivi validi che giustificano la ricerca delle vocazioni.
Primo: vi è l'obbedienza al mandato di Dio.
Dio ci fa espresso obbligo, e l'abbiamo anche promesso con la nostra professione, di dedicarci alla ricerca, alla cultura delle vocazioni in generale e, in particola, per l'Unione: tale ricerca è perciò motivata, non dall'egoismo e dall'interesse, ma dalla nostra docilità ad un preciso comando di Dio, compreso nella nostra vocazione catechistica.
Estensione del bene cristiano
Secondo: vi è il desiderio di estendere il bene cristiano, espresso dalla chiamata catechistica, agli altri; la chiamata è infatti un dono di Dio da condividersi con tutti.
Possiamo infatti dedurre, dai detti di Fra Leopoldo e dalla specifica funzione dell'Unione, che Dio ha pensato l'Unione numerosa; essa è un apostolato diffuso, importante, capillare, da compiersi accanto ai sacerdoti, come educatori cristiani del popolo di Dio; essa è certamente una vocazione, per quanto possiamo derivarne, che per sua natura richiederebbe molti beneficiati.
Molte persone già nate, già esistenti, che non conosciamo, attendono che noi ci impegniamo, secondo il pensiero di Dio, per poter ricevere quanto Dio ha loro assegnato, attraverso di noi.
Nella misura in cui noi non ci adoperiamo per portare a conoscenza le vocazioni e per renderle feconde, noi sottraiamo alle persone il dono più prezioso che possano ricevere da Dio, cioè la loro vocazione.
Poiché il Signore chiama gli uomini attraverso gli uomini, noi le priviamo di questa chiamata.
Se in noi vi è il convincimento che la vocazione è veramente il giorno felice di Dio, per poter rispondere fino in fondo al nostra Battesimo, viverlo in coerenza e consumare la nostra offerta al Signore, desidereremo anche comunicare ed estendere agli altri questo bene prezioso!
Terzo: vi è il desiderio di provvedere, di collaborare all'azione di Dio in favore della Chiesa.
Se il Signore ha suscitato l'Istituto dei Catechisti, evidentemente è per il bene della Chiesa e, attraverso di essa, per il bene del mondo.
C'è una missione di fecondità, una particolare missione di salvezza che si esprime attraverso i membri che aderiranno all'Unione; questa funzione non sarà compiuta se non aumenterà il numero dei catechisti.
La Chiesa sarà privata di questo apporto che il Signore vuole dare attraverso la numerosa e generosa corrispondenza alla vocazione catechistica.
Aspirazione a fare convergere tutti in Cristo
Quarto: vi è l'aspirazione che tutto il mondo adori Cristo Crocifisso; che tutti ritornino a Lui; che tutti attingano dal Suo amore, dalla Sua salvezza; che tutti Lo conoscano e ne ricambino l'amore.
Occorre perciò cercare coloro che Gesù invita alla vocazione, affinché essi siano altrettanti echi di Lui nel mondo.
Collaborazione con Dio nell'opera di redenzione
Quinto: siccome il Signore redime il mondo facendoci corredentori con Lui, associandoci alla Sua opera redentrice con questa vocazione estesa, aumenta il numero dei corredentori, aumenta l'applicazione al mondo della redenzione del Signore.
Pur non avendo esaurito i motivi giustificanti la ricerca delle vocazioni, quelli ora esaminati dovrebbero essere a fondamento del nostro apostolato, al fine di aiutare il nostro prossimo a ritrovare la sua vocazione.
Nella nostra opera di ricerca dobbiamo nutrire la convinzione che molte delle persone che avvicineremo saranno chiamate a servire Dio in pienezza, in perfezione, in profondità, nella forma che oggi presenta tre articolazioni: catechista congregato, associato e in prospettiva sacerdote catechista.
Alla luce di queste considerazioni, noi dobbiamo chiederci in che modo possiamo veramente essere strumenti nelle mani di Gesù perché gli uomini possano riconoscere attraverso di noi la loro vocazione e corrispondervi?
Innanzi tutto non dobbiamo nascondere il dono di Dio, dono che deve rivelarsi agli altri attraverso l'azione, la coerenza, l'esempio.
Nella misura in cui permetteremo a tale dono di fruttificare dentro di noi, esso si paleserà agli altri, che si accorgeranno che noi abbiamo ricevuto un invito a cui noi ci sforziamo di essere fedeli; in noi vi è infatti "Qualcuno" che non si vede, che non si tocca, ma che è bene presente al nostro spirito, "Qualcuno" a cui aneliamo, a cui ci siamo promessi in una forma particolare.
Questo naturalmente richiede una fedeltà incessante al dono di Dio, alla nostra vocazione, sempre e dovunque.
Non preoccupiamoci di essere notati: se noi agiamo infatti in conformità alla chiamata del Signore, da catechisti di Gesù Crocifisso e di Maria Immacolata, visibilmente o invisibilmente qualche luce scaturirà.
Facciamoci perciò trasparenti all'azione di Dio.
Vorrei ora correggere un nostro atteggiamento che comporta quasi una timidezza di dedizione nei confronti di Fratel Teodoreto e di Fra Leopoldo; infatti, pur conservando di essi un buon ricordo e considerandoli dei santi, manca in noi la volontà di scoprire attraverso la loro vita e la loro opera la nostra vocazione, allo scopo di poterla vivere sempre più in profondità.
La nostra timidezza, la nostra azione così generica senza un serio lavorio, senza un rispetto profondo, è quanto di peggiore possiamo mettere in opera per nascondere il dono di Dio.
La nostra azione, troppo tiepida, è peggiore di un'azione decisamente contraria allo spirito di Dio poiché quest'ultima si renderebbe subito manifesta, mentre la nostra annebbia veramente in noi stessi la chiamata di Dio e confonde i nostri confratelli che non si orientano più davanti ai fatti, agli avvenimenti; essa ci condanna inoltre alla sterilità.
Se non avremo discendenza, sarà perché non l'avremo meritata.
La nostra vocazione richiede fedeltà ai nostri padri spirituali
Noi stessi rischiamo di essere figli degeneri; non sempre abbiamo il rispetto dovuto verso coloro che ci curano, padri nella vita dello spirito, né ci sforziamo di mantenere il vincolo con coloro di cui il Signore si è servito per darci vita agli effetti della vocazione.
Dobbiamo disporci a mantenere con essi un rapporto non superstizioso, ma fondato sulla "pietas", sulla venerazione, sul rispetto, per ricercare veramente dentro di loro l'azione di Dio, azione feconda che ci ha generati.
Per essere veramente fedeli ai nostri fondatori, dobbiamo essere fedeli all'appello del momento, all'appello del nostro tempo cominciando dalle persone che ci sono attorno.
La nostra presenza nel mondo, come quella dei nostri fondatori, deve fondarsi nel cuore e nella mente di Cristo.
Sfogliando gli scritti di Fra Leopoldo ci rendiamo conto come i fatti salienti della sua epoca, dal modernismo al socialismo, dal disorientamento che c'era nei preti, agli scandali di cui veniva fatta oggetto la gioventù, al problema del lavoro, fossero tutti presenti in Cristo, secondo le possibilità della sua cultura e della sua informazione.
Egli vedeva tutto dentro il Cuore di Gesù, esprimendosi col linguaggio che gli era abituale.
Non usava certo il linguaggio di un professore di università o di un sociologo o di un politico, ma il linguaggio di un cuoco diventato frate, il quale aveva una vibrazione, per tutto quello che era il presente, davanti a Dio.
Lo stesso accadeva per Fratel Teodoreto, che io ho sempre trovato disposto ad ascoltare con un interesse che non era curiosità.
Anche noi, seguendo il loro esempio, dobbiamo coltivare questi mezzi dentro di noi.
Vorrei ancora sottolineare il valore della preghiera e invitare tutti a chiedersi se si preghi veramente perché, attraverso di noi, il Signore illumini le persone che ci stanno accanto.
È presente in noi la domanda: pregate il padrone della messe?
Vocazione legata al sacrificio
Ricordo poi il valore del sacrificio esortando tutti a formarsi la mentalità del padre di famiglia; ciascuno di noi è infatti un padre.
Stiamo attenti a non vivere una vita che, esteriormente, fisicamente, ha la parabola della maturità, ma che dal punto di vista dello spirito rimane immatura.
Abbiamo rinunciato a formarci una famiglia, ad avere dei figli, per una paternità più ampia, meno sostenuta dall'affetto umano e dal conforto sensibile, ma più sorretta dall'unione col Signore.
Con amore paterno noi consideriamo infatti i giovani che ci vengono affidati o per i quali direttamente o indirettamente lavoriamo, e per loro ci disponiamo a fare, nel campo della vita dello spirito, quello che un padre fa nella vita del corpo.
Poi ci occupiamo anche del corpo attraverso il tempo libero, l'insegnamento del mestiere, la formazione culturale.
Durante gli esercizi spirituali, ci siamo soffermati sull'invito che Gesù ci fa di amarlo attraverso gli scritti di Fra Leopoldo; se noi amiamo veramente Gesù di un amore che unisce, che ne fa condividere i sentimenti, non possiamo non condividerne anche la paternità feconda verso il mondo in generale, e verso i giovani in particolare.
Se noi ci dedicheremo veramente a crescere i giovani a Cristo, amandoli in Lui, per Lui e con Lui, non potremo ignorare il problema della vocazione e dovremo, nei modi e nelle forme possibili, adoprarci perché essi siano illuminati e corrispondano a Gesù.
Le Vocazioni come risultato del nostro apostolato
Le nuove vocazioni dovrebbero rappresentare non un fatto occasionale, ma il migliore frutto e il risultato ultimo delle nostre fatiche apostoliche, la migliore espressione della nostra paternità spirituale.
Le vocazioni nuove, devono costituire in Cristo il nostro gaudio e la nostra corona.
Può darsi che la nostra vita sia feconda senza che ci sia concesso di vederne il risultato; tuttavia non accontentiamoci di questa considerazione per confermarci in un certo grigiore di front al problema delle vocazioni.
La scrittura dice: "altro è seminare ed altro è raccogliere"; non equivochiamo però tale espressione pensando che sia inutile seminare poiché non se ne vedrà probabilmente il raccolto.
C'è stato chi ha ritrovato la sua paternità profonda, offrendo la sua vita per la diffusione dell'Unione: uno è Fr. Jeronimo, giovane di 30 anni, morto di cancro, l'altro è Fr. Ruggero di Napoli, morto al mese di settembre.
Se amiamo il Signore non possiamo non volere che sia riamato da altri, che moltiplichino così la possibilità di farlo amare.
Sono questi i pensieri che, venutimi alla mente, ho voluto sottoporre alla vostra e alla mia meditazione, invitando tutti ad approfondirli, a completarli e a dare tutte le suggestioni che essi possono aver suscitato.
Prima di incominciare la discussione, fatti pensosi da queste meditazioni, per assecondare quel rinnovato desiderio di amare Gesù più fedelmente e di farlo amare quanto più possibile, io vi invito a recitare l'Adorazione a Gesù Crocifisso.