L'obbedienza
1 - Fini dell'Obbedienza Evangelica
2 - Il Convegno Internazionale degli Istituti Secolari e la distinzione tra Consacrazione e voti
3 - Le modalità dell'atto: il voto ( l'atto ) e la virtù ( il modo )
4 - La formazione delle persone degli Istituti Secolari
5 - Componenti della consacrazione: voto d'obbedienza e virtù dell'obbedienza
6 - Lo Spirito di obbedienza
7 - Il voto di obbedienza
8 - La Secolarità dono dello Spirito e l'obbedienza secolare
Anche in questa riunione tratteremo e svilupperemo l'argomento della nostra obbedienza che, per essere vera, deve essere evangelica.
Essa partecipa all'obbedienza di Gesù, dal cui spirito è mossa, sostenuta, alimentata, finalizzata, determinata nei momenti, nei fini e negli obiettivi.
Obbedienza è nello spirito di Gesù
Tutta la vita cristiana, ed in particolare l'obbedienza, che ne è una singolare manifestazione, si svolge nello spirito di Gesù.
Non si tratta di una obbedienza servile, formale, ma filiale e nuziale, perché il suo fine è realizzare l'unione con Cristo.
Obbedienza nuziale
La qualificazione di filiale e di nuziale danno il senso della nostra obbedienza, segnandone il senso giusto e l'orientamento vero.
L'obbedienza evangelica è finalizzata a tre operazioni, che sono i tre aspetti di un'unica operazione:
1) glorificazione,
2) comunione,
3) salvazione.
Infatti lo stesso concetto di gloria non è comprensibile disgiunto dal concetto di comunione.
Glorificazione di Dio e dell'uomo in Dio, comunione con Dio, salvazione dell'uomo con il suo ritorno a Dio.
Oggi viviamo in un'epoca in cui è richiesta, più che in altri tempi, una mentalità di sintesi.
Purificazione dell'obbedienza
Predomina uno spirito critico e di contestazione che nella sua parte buona e positiva desidera riscoprire le forme autentiche, i modi autentici di vivere qualunque cosa, ed in questo caso l'obbedienza, purificandola da tutte le sovrastrutture, incostrazioni, deformazioni, formalità vane di cui si è venuta caricando nel tempo.
La riscoperta di una autenticità quale che sia, in questo caso dell'obbedienza, non è possibile se non ci si riferisce alla totalità.
Durante al Convegno Internazionale degli Istituti Secolari, si parlava distintamente di consacrazione e di voti.
Secondo me, questa distinzione è salutare; noi stessi infatti, per quello che ci riguarda come Unione, parlavamo spesso e volentieri dei voti, ma molto di rado della consacrazione.
Distinzione tra Consacrazione e voti
Il termine consacrazione, nelle nostre Regole, compare soltanto nella formula di professione, sulla quale forse non si medita abitualmente, mentre in primo piano ci sono i capitoli relativi alle virtù e ai voti di povertà, di obbedienza e di castità, voto, quest'ultimo, sul quale ci si sofferma abbondantemente.
Vi furono discussioni relative ai tre voti ed alla possibilità di sostituirli con la consacrazione ad un impegno di vivere le beatitudini.
Evidenziare la consacrazione
Discussioni che, pur presentando degli elementi sconcertanti soprattutto per noi, mettevano l'accento sulla necessità di evidenziare la consacrazione.
Noi, dal canto nostro, riflettendo su questa realtà, dicemmo che per consacrazione si doveva intendere un essere per Dio: consacrato è colui che decide di essere per Dio e, per amore di Lui, di essere per gli uomini.
L'essere per Dio comporta diverse esigenze:
1) di radicalità: dalla radice siamo per Dio;
2) di totalitarietà: tutto e ogni cosa, di noi e della nostra vita, è per Dio;
3) di assolutezza: è un imperativo che deve essere posto a fondamento, a sostegno, a coronamento di tutto il resto.
Consacrazione è l'appello di Dio
La consacrazione deve essere il segno dell'appello che Dio rivolge agli uomini: appello radicale, totalitario, assoluto, attraverso il quale si manifesta.
Attraverso la nostra consacrazione, si dovrebbe riuscire a capire di più chi è Dio, e cogliere la Sua trascendenza, la Sua assolutezza, la Sua bontà, la Sua provvidenza.
Consacrazione esprime l'uomo nuovo
La nostra consacrazione dovrebbe, attraverso l'uomo nuovo che è in noi, far conoscere Dio Salvatore, dare il senso della salvazione e della redenzione, essere manifestativa del tipo di risposta che gli uomini debbono all'appello di Dio.
Perciò, se la nostra consacrazione non riesce ad esprimere tutte queste cose per degli spiriti attenti, essa è veramente insufficiente e sbiadita.
Consacrazione come modo di essere
Noi usiamo il termine consacrazione per indicarne l'atto, più che non il suo modo d'essere.
Accentuando l'atto e mettendo in secondo piano il modo d'essere a cui dovrebbe condurre l'atto, trascuriamo i veri fini, la crescita, la piena realizzazione della nostra vita; ed anche i nostri voti si ridurranno semplicemente ad atti.
L'atto deve mirare al fine
Quindi, per essere capiti nella nostra forma di vita, la consacrazione deve esprimere il modo d'essere a cui ci siamo impegnati, la pienezza a cui vogliamo tendere, mentre l'atto di consacrazione, che per noi è la emissione dei voti, deve indicare il mezzo per giungere a tale pienezza, a tale compimento.
Naturalmente perché questi fini si manifestino all'esterno, essi devono essere vissuti all'interno di noi.
Rimanendo legati all'atto, non comprenderemo il concetto progressivo e totalitario della consacrazione culminante con la morte, che ci renderà più somiglianti al Consacrato per eccellenza: a Gesù che muore sulla croce.
L'ansia, la tensione, l'ardore per crescere in questo modo d'essere fino alla sua consumazione, ci conducono a determinati atti particolari, con i quali noi riteniamo di aver soddisfatto tali esigenze.
Ricordiamo però che l'atto, per essere responsabile, consapevole e libero, deve mirare al fine, che lo rende così valido e coerente con i nostri impegni.
La formazione delle persone che sono legate agli Istituti Secolari deriva, in genere, da Istituti Religiosi: quindi un adattamento alla vita secolare.
Nonostante la conclamata secolarità, una volontà di salvare il mondo, in unione con Cristo, mi pare che assai raramente emerga; c'è uno sforzo di adeguazione al mondo, ma non uno sforzo di salvezza del mondo.
Direi che l'estrazione sociale e la cultura di coloro che partecipano a questi Istituti Secolari, in genere, è borghese, con una mentalità che non ha permesso loro di pronunciarsi, se non in termini puramente di esecrazione oppure di supina accettazione, sui fenomeni più importanti della nostra vita moderna, come l'urbanesimo, la sessualizzazione, la secolarizzazione.
Non ho, ad esempio, avvertito contatti con un mondo di tipo marxista, rapporti che avrebbero potuto originare anche sofferenti maturazioni.
Consacrazione e alienazione
Anche al suddetto Convegno si era tuttavia presentato un tema di origine marxista: il tema della alienazione, l'opposizione fra consacrazione e alienazione.
L'obbedienza, ad esempio, darebbe luogo all'alienazione, cioè alla negazione di se stessi; l'obbedienza infatti è un'opera e le opere sarebbero ora da impugnarsi, in quanto esse rappresenterebbero la guida del superiore, che toglie la responsabilità al consacrato, alienandolo.
Quindi anche la consacrazione sarebbe alienante.
vorrei innanzitutto chiarire che non vi è soltanto alienazione quando si subisce qualcosa, rinunciando così ad essere ciò che si deve essere, ma anche quando ci si oppone ingiustamente, come dicono S. Pietro e S. Paolo, parlando degli schiavi.
La Consacrazione non è alienante
La consacrazione è invece possibile e non risulta alienante, se si ammette che lo spirito dell'uomo è fatto per ospitare la totalità dentro di sé, purificandola, approfondendola e dandole un volto nuovo, proiettando poi all'esterno un'azione che la modifichi.
Perciò non può esservi niente di veramente alienante nell'uomo laddove sia sempre vigile la sua apertura spirituale, la sua capacità di ricevere, di purificare e di crescere interiormente, anche attraverso la sofferenza e le avverse condizioni esterne.
Siccome la consacrazione richiede apertura, lucidità, consapevolezza e libertà, non c'è nessun pericolo di alienarsi nel darsi a Dio e, in Dio, darsi agli uomini.
Come già ho accennato, quando parliamo di consacrazione, parliamo di preferenza di atto o di atti, ma quasi mai di modo d'essere, o di programma di vita da realizzarsi fino a compimento pieno.
Questo è il pericolo che si avverte per ciò che riguarda le componenti della consacrazione, che attualizzano il nostro modo d'essere consacrato: per esempio la virtù d'obbedienza e il voto d'obbedienza.
È facile che si parli di voto dimenticando la virtù, voto che si limita ad essere un atto fatto una volta e mai reso attuale da una richiesta precisa.
Non so immaginare le nostre reazioni qualora un responsabile ci ordinasse qualcosa, in virtù di santa obbedienza!
È un voto che ci ha dato l'ingresso in uno stato privilegiato, almeno sul piano spirituale, e ci stupiamo e ci sconcertiamo quando siamo sollecitati ad una conversione profonda.
Quindi, parliamo molto del voto che è un atto; poco della virtù che è un modo d'essere o una componente di un modo d'essere; mai dello spirito di obbedienza.
Senza spirito di obbedienza, non è possibile realizzare in pieno la nostra consacrazione.
L'obbedienza, più che una virtù, è uno spirito, cioè un atteggiamento diffuso, una motivazione di fondo, un sostegno per l'esercizio di tutte le virtù.
Le virtù sono abiti, sotto un certo aspetto, distinti per il loro oggetto ed hanno una interazione tra di loro; quando una virtù assume, nel confronto delle altre, un potere di sostegno, esempio di mozione, diventa spirito, spirito di obbedienza.
L'obbedienza e le virtù teologali
Non è possibile realizzare la fede, la speranza, la carità senza lo spirito di obbedienza che esse comportano in modo eminente.
L'obbedienza è una virtù che ci mette in rapporto con delle persone: infatti fare la volontà di un altro, suppone l'altro.
Il fine della virtù
Il fine della virtù è la persona, e questo in modo particolare per l'obbedienza.
A che cosa dunque si riduce la nostra fede se la nostra virtù di obbedienza non ha assunto un carattere di fondo tale da diventare spirito di obbedienza?
Forse che nella Sacra Scrittura ci sono manifestazioni in cui Dio chiede la fede che non si traduca in altrettanti atti di obbedienza?
Pensiamo ad Abramo!
L'obbedienza è la fede vissuta, la fede è l'obbedienza praticata.
Senza spirito di obbedienza i doni dello Spirito Santo sono pressoché inoperanti dentro di noi: infatti vivere secondo i doni, vivere veramente la vita dello spirito, vuol dire vivere in uno stato di docilità estremo e assecondare l'iniziativa dello Spirito dentro di noi.
Lo spirito di obbedienza non è possibile senza il predominio dei doni dello Spirito Santo dentro di noi o dell'azione dello Spirito attraverso i suoi doni.
Pensiamo a Gesù, pensiamo alla Madonna!
Lo spirito di obbedienza esige l'esercizio di tutte le altre virtù, comprese quelle intellettuali.
L'obbedienza è un grosso rischio e non toglie il carattere problematico e di tensione che è connesso alla nostra risposta a Dio.
L'obbedienza ci deve infondere della serenità, ma non per questo ci deve rendere meno impegnati, meno fertili di inventive per realizzare la nostra consacrazione a Dio, il nostro essere per Dio e in Dio il nostro essere per gli uomini.
Lo spirito di obbedienza è compreso nell'esercizio di fede, di speranza e di carità, come componente attiva e non passiva; nella misura in cui esso si muove e si finalizza secondo l'obbedienza di Gesù, esso richiede che noi ci assumiamo gli stessi incarichi che Dio si è assunto in Cristo Signore per la salvezza del mondo.
Esso dovrà suscitare un ardore, una tensione, una animazione interna che ci porterà alla consacrazione.
Il voto d'obbedienza, invece, è un atto concreto, situato nel tempo e nello spazio, un atto che ha un valore nella misura in cui si collega alla virtù e alla consacrazione, di cui la virtù è una componente.
Un atto concreto che esprime davanti a se stessi ed alla Chiesa un nostro impegno, una promessa, la volontà di essere per Dio.
Un atto a cui dovremo tornare sempre, rinnovandolo ogni giorno per essere stimolati, ricevere coraggio per affrontare tutte le difficoltà della vita.
Il voto è comprensibile, realizzabile ed autentico per rapporto ad un orizzonte e ad uno sviluppo di consacrazione.
Quindi ci vogliono anche degli atti solenni di cui i voti sono l'espressione puntuale, situata bene nel tempo e nello spazio, situata socialmente davanti a Dio, davanti agli uomini, davanti alla Chiesa e resa comprensibile dall'orizzonte più vasto della consacrazione.
Secondo me, la vita religiosa, così come si presenta, non dà più il senso delle cose e facilita enormemente gli equivoci.
Noi siamo perciò chiamati a fare tale tipo di riflessione, prima ancora che una analisi, se vogliamo concorrere a salvare il mondo.
Coloro che guardano a noi come a dei consacrati non sempre vi trovano una genuinità ed una autenticità tali da far nascere la domanda e il problema.
Che cosa possono essi pensare quando l'esercizio della nostra obbedienza in definitiva si limita ad essere una sorta di rassegnazione, oppure un semplice addossamento di responsabilità ad un altro oppure un duro tributo da pagare qualche volta per certe cose?
Nonostante vi sia in noi la fede di Dio, essi non vedono che la nostra risposta scarsa e ingenerosa.
Che cosa pensate che il Signore volesse chiedendo a fra Leopoldo di ripetere insistentemente questa giaculatoria: "Tu mi ami, io ti amo"? se non l'impegno ad una consacrazione realmente vissuta e sofferta?
Gli uomini capiranno queste cose solo nella misura in cui noi riusciremo a viverle.
Fr. Gustavo, ancora molto malato, raccontandomi del suo recente infarto, diceva: "quando mi è capitato, ho proprio sentito che stavo per abbandonare la vita e ho visto tutta la mia vita davanti, presentata in pochi istanti, tutta: grigia, rapidissima, una esperienza alquanto sconcertante…"
A questi problemi non sfuggiremo, né li potremo rimandare per il quieto vivere, per stare tranquilli, per continuare a ritenere che tutto va bene.
Solo nella misura in cui testimonieremo questi valori e vivremo l'entusiasmo della obbedienza evangelica e della consacrazione, saremo capiti ed i giovani verranno a noi.
Non dimentichiamo che la maggior parte di noi è stata attirata nell'Unione dall'esempio di fr. Teodoreto, la cui vita ci ha conquistato.
La nostra obbedienza è secolare.
Che cosa è la secolarità? Essa non è un frutto del nostro orientamento, ma un dono dello Spirito, una vocazione, un carisma, una mozione, una missione dello Spirito verso il mondo.
La secolarità richiede docilità e obbedienza allo Spirito, affinché si possa essere per Dio nel mondo che è stato ed è di Cristo.
Quindi è in Lui, per Lui, con Lui che noi dobbiamo essere per gli uomini, per il mondo, nella condizione secolare.
Si tratta perciò di un carisma, non del frutto di un arzigogolamento umano: infatti, ringraziando il buon Dio, la " Provida Mater Ecclesia" è frutto non tanto della elaborazione dei teologi, quanto dell'opera dello Spirito Santo che attraverso la Chiesa ha convalidato e riconosciuto come autenticamente cristiane iniziative già esistenti, di cui essa ha fissato i caratteri.
L'azione dello Spirito ha suscitato e ha preceduto il magistero della Chiesa che ha approvato e confermato.
Perciò non ci sarà mai superamento della "Provida Mater Ecclesia", anche se vi saranno delle modificazioni per ulteriori sviluppi e consapevolezze che la Chiesa viene ad avere rispetto all'azione dello Spirito.
Secolarità e Apostolicità
L'apostolicità, ad esempio, è la ragion d'essere della secolarità, che non è da intendersi come un camuffamento: la secolarità ci offre forse la opportunità di raggiungere certi ambienti, ma ben altra ne costituisce la motivazione profonda.
Il Motu proprio "Primo Feliciter" dice a tale proposito:"L'apostolicità è la caratteristica fondamentale che si realizza nel mondo e come per mezzo del mondo, apostolicità e santificazione". ( Pio XII, Primo feliciter 6 )
La secolarità e il mondo
Che cosa è il mondo? esso non è una semplice totalità naturale, ma è formato da uomini che esprimono e realizzano la società civile, la cultura umana, l'economia, il progresso, la civiltà.
Obbedienza secolare
Perciò cosa vuol dire obbedienza secolare? Se il nostro essere per il mondo e il nostro santificarci per mezzo del mondo è separato da Gesù, si origina una contrapposizione: dicendo che il mondo è Gesù, che il mondo è Dio, dimentichiamo Dio come fondamento e Gesù.
Né troviamo Dio, né Gesù nel mondo se non li avremo trovati prima; cioè Dio si dissolve nel mondo, nell'uomo e rimangono solo gli uomini; poi si dissolvono anche gli uomini e rimangono solo le cose degli uomini, infine si dissolvono anche le cose degli uomini e tutto si sgretola e diventa senza senso.
Il nostro approssimarsi al mondo ha valore solo se fatto in Dio e per Dio, in Gesù e per Gesù, partecipando della stessa azione con cui Lui sempre e storicamente si è avvicinato al mondo per salvarlo.
Infatti il mondo, gli uomini, non si rivelano che dentro di noi, e noi non riusciamo a dare voce a noi stessi e al mondo se non siamo dentro di Dio.
Il nostro compito
Solo nella misura in cui ci muoviamo in Dio, è possibile un autentico rivolgimento del mondo che non sia rigetto di Dio e dissoluzione.
Noi dobbiamo andare verso il mondo come Gesù, con lo stesso interesse, con la stessa cura, con lo stesso amore, con la stessa puntualizzazione.
Il nostro essere per il mondo, in quanto partecipazione dell'essere per il mondo di Cristo, si deve svolgere nello Spirito di Gesù ed è carisma ed obbedienza e richiede consacrazione, in qualche modo, al mondo.
Non è cosa che si improvvisa: sappiamo le difficoltà, tanto più in questi momenti di crisi che ci spingono a chiuderci in noi stessi amareggiati non tanto perché il mondo non riceve l'amore di Dio, ma perché esso non va più secondo i nostri desideri; e non sappiamo neanche più vedere che, nonostante tutto, il fondo delle cose è ancora sempre in Dio e il mondo è sotto l'azione di Dio, anche se in qualche modo il Maligno, come dice la Scrittura, lo controlla.
Se non siamo vigili, aperti, della stessa apertura di Gesù al mondo, corriamo il rischio o di essere trascinati, sconnessi, coinvolti, portati via, oppure di ritirarci in opposizioni e in un isolamento più o meno virtuoso.
Ma se abbiamo veramente coltivato quel senso della nostra vita come modo d'essere, come consacrazione, come fine da realizzare, come pienezza, come programma di vita e se ci siamo abituati a considerare che una delle componenti più importanti per la realizzazione di questo modo d'essere è lo spirito d'obbedienza, allora avremo l'orecchio all'ascolto della voce di Dio: e di conseguenza l'impulso ad una risposta, la facilità di una scelta e di una decisione.
L'avvenire del mondo non lo si gioca nelle piazze e nei conflitti o nelle guerre; l'avvenire del mondo lo si determina dentro il cuore, dentro lo spirito dell'uomo.
Dobbiamo prepararci per l'Assemblea del 1972 soprattutto con una conversione di vita, prima che con una conversione di regole.
Facile è infatti scrivere determinate cose, più difficile viverle.
Dio agisce dentro e fuori di noi attraverso gli uomini di cui ci circonda, a cui assegna un ruolo.
Prendere seriamente la vita cristiana vuol dire non lasciare cadere nulla nella banalità: qualunque rapporto, qualunque incontro hanno infatti un preciso significato voluto da Dio.
Tenendo presenti queste considerazioni e cercando di vivere la nostra consacrazione, diventeremo veramente il sale della terra ed il lievito che la fermenta.