Esperienze programmatiche d'una Scuola Professionale |
Ed ora una parola circa gli orientamenti e i metodi didattici ritenuti sin qui più efficaci in una scuola che deve essere « casa ».
Un tipico pericolo che insidia la moralità e l'economia interiore di chi esercita un mestiere, una professione « esecutiva » per di più in un quadro di vita modesto e senza imprevisti di rilievo, è costituito dal senso di « routine » che fiacca e dissolve ogni idealità, tutto banalizzando, con la conseguenza di deprimere gli animi, di suscitare un diffuso scetticismo, malumori costituzionali, e fin'anche sensi di umiliante inferiorità.
Contro questo complesso di sentimenti nefasti, che corrodono il senso della sacralità della vita e distruggono ogni sano entusiasmo per la realtà concreta, di solito si reagisce con tentativi di evasione, con la ricerca di surrogati che soddisfino in qualche modo l'insopprimibile spinta all'affermazione di se stessi, alla giustificazione della propria esistenza, alla felicità che è vita in pienezza, e non mera sopravvivenza sia pure tra gli agi.
Ma come tutte le evasioni, questo modo di procedere si costituisce come travisamento e tradimento degli autentici valori che soli si conseguono appieno trascendendo sì la propria situazione ma dall'intimo, come sviluppo e affermazione di ciò che di positivo vi si contiene, come trasfigurazione di ciò che si è di fatto, verso ciò che si è chiamali ad essere, perciò sempre dal quadro della presente realtà, che è dono di Dio.
Dovendosi dunque coadiuvare in ogni cosa la formazione umana e cristiana dei giovani lavoratori, è sembrato si dovessero preferire quali metodi d'insegnamento, quelli più atti a plasmare negli allievi in primo luogo un « atteggiamento » che fosse di « apertura » comprensiva e cordiale verso la realtà quotidiana, e che in secondo luogo si dimostrassero i più efficienti a sviluppare con l'accettazione del presente, la tendenza fondamentale a « rispondere » con tempestività e intierezza, con tutto lo slancio di una personalità armonicamente costituita, ai precisi appelli della realtà.
In altri termini, è sembrato indispensabile adottare quei metodi che meglio consentono di tradurre in alimento interiore quanto la vita porge, affinché si consegua la maturità che è capacità di donare quanto la vita richiede.
Dati questi presupposti il primo metodo adottato consiste nel presentare il lavoro e tutto ciò che compone il mondo presente - e presumibilmente futuro - del giovane lavoratore, guidando l'allievo a scoprire via, via i significati che vi si contengono, dai più immediati ai più profondi, da quelli tecnici ed economici a quelli sociali e religiosi.
Il secondo metodo consiste nello sviluppare e nel far convergere le tendenze e gli abiti morali e operativi in modo che l'agire quanto il fare si producano con sicurezza e razionalità, come « risposte » ispirate dalla carità, organiche e pertinenti a tutte le esigenze della realtà, a tutti i compiti effettivi assegnati a ciascuno dalla vita.
Entrambi i metodi richiedono da parte dell'educatore la capacità di « agganciare » lezioni ed esercitazioni agli interessi attuali o possibili dei giovani, in modo che il « nuovo » emerga dall'« antico », l'« ignoto » dal « noto » come sviluppo o integrazione o inveramento di esso.
Per quanto riguarda l'educazione degli aspetti dinamici della personalità che più sensibilmente incidono nella pratica professionale, durante le esercitazioni pratiche, si è puntato a sviluppare da un lato l'inventiva, l'iniziativa, la costruttività, dall'altro l'uso conveniente dei mezzi, la razionalità dei procedimenti, il ritmo di lavoro che è proprio di ogni professione.
Il risultato - insomma - che si cerca di conseguire mediante i metodi impiegati è quello di una « redenzione » dall'intimo della condizione e della vita del giovane lavoratore.
Redenzione che è a suo modo riscatto e trasfigurazione:
dalla mera necessità di fatto del lavoro, al lavoro come compito liberamente accettato;
dal gregarismo alla solidarietà;
dalla soggezione di chi dipende come « oggetto », alla collaborazione di chi è « soggetto » delle proprie scelte;
dal divertimento alla ricreazione;
dall'evasione all'elevazione;
dall'acquiescenza all'impegno come accettazione cosciente e libera.
Redenzione del resto non pienamente comprensibile e tanto meno attuabile se non nell'ambito di quella totale che passa per il Calvario.
È a questo punto che si impernia l'esperienza del bisogno che abbiamo di Gesù e nel medesimo tempo del Suo amore e della Sua misericordia.
L'ispirazione proveniente dall'insegna programmatica non si è limitata ai soli scopi dell'opera, ai soli metodi didattici, bensì ha rischiarato di nuova luce lo stesso ideale dell'insegnante.
Come - infatti - insegnare in una « Casa di Carità » senza sentirsi in dovere di intonarvisi intimamente e di qualificare in senso educativo e cristiano il proprio insegnamento?
Nell'ambito dell'insegnante-educatore, si sono così tentati - più o meno istintivamente - un po' tutte le prospettive di azione ispirate alla « casa » ed alla « famiglia »:
l'educatore-amico,
l'educatore-fratello,
l'educatore-padre,
in quanto l'educatore insegnando dona, condivide, forma.
Il pericolo delle degenerazioni corrispondenti dell'intimismo, del cameratismo, e del paternalismo, ha contribuito a dimostrare come proprio l'educatore - come del resto nessun altro uomo - non sia che per derivazione amico, fratello, padre e maestro.
Tutte queste determinazioni che specificano la portata della missione educatrice, l'insegnante le deve considerare alla luce di Dio, dal quale « prende nome ogni paternità », come ogni amicizia, ogni fraternità, ogni magistero.
Anzi, l'insegnante le deve cogliere ed attuare in Colui che è il Redentore.
Così riappare come la « Casa di Carità » debba essere casa di Dio e scuola di Cristo, dove insegnanti ed allievi nella loro distinta funzione e mediante i loro vicendevoli rapporti ascendano con Cristo al Padre, « facendo » la verità nella carità.
La nuova scuola professionale - l'abbiamo visto - dev'essere « Casa di Carità » per gli insegnanti affinché possa dimostrarsi ed essere ritenuta tale dagli allievi, i quali ne sono la promessa e l'irraggiamento.
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