Ritiro del 14/9/1997
1 - Esaltazione della Croce del Signore
2 - Abitudinarietà nella pratica della fede
3 - Atteggiamento di autosufficienza
4 - La mia fede viene provata da Dio
5 - Le croci sono una grazia
6 - La metànoia
7 - L'immagine usata da Gesù
8 - Gesù prende su di sé il peccato del mondo
9 - Lo Spirito è effuso in maniere diverse
10 - Novità nella Chiesa
11 - Il Concilio dello Spirito Santo
12 - Quando Gesù ha fondato la Chiesa
13 - I discepoli sono quelli che raccolgono dove non hanno seminato
14 - È bene per voi che io vada al Padre
15 - L'amore si è fatto presente nelle creature
16 - Lo Spirito abita nella Chiesa
L'Esaltazione della Croce del Signore dà inizio al ciclo di incontri che avremo durante questo tempo e che costituiscono il nostro anelito a una crescita spirituale seria, in verità.
Ed è proprio in occasione di questa festa che troviamo nella liturgia alcune parole importanti da cui partiremo per introdurci nel grande tema dell'effusione dello Spirito sul cristiano e sulla Chiesa.
Innanzi tutto nel brano del Vangelo di Giovanni troviamo una ripetizione: "Chiunque crede in lui abbia la vita eterna".
Dunque il primo progetto della redenzione è che gli uomini abbiano la vita eterna e questo è anche il primo anelito del catechista dell'Unione: che tutti abbiano la vita eterna.
Per questo è necessario che io diventi un canale attraverso cui passa quella grazia che attira; è necessario che io diventi una sorgente che disseta.
Vi ricordate quelle parole: "Ho sete"; Gesù dall'alto della croce proclama la sua sete, la stessa sete di ogni cristiano, ma specialmente di ogni catechista unito al SS. Crocifisso: la sete di anime, la sete che "chiunque crede in lui abbia la vita eterna".
Come avviene questo credere in lui?
"Come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così bisogna che sia innalzato il Figlio dell'uomo".
Ritorniamo alla prima lettura, dove troviamo il popolo ebraico che è uscito dal paese d'Egitto e ormai si è "abituato" a Dio.
È cosa che può succedere anche a noi: la continua frequentazione della religione ci può condurre ad una certa abitudinarietà nella pratica della fede e questo è un rischio a cui dobbiamo stare molto attenti.
Il popolo ebraico si era abituato alla presenza di Dio, che di notte era una colonna di fuoco e di giorno una colonna di nube, che in ogni occasione aveva manifestato la sua presenza con predilezioni particolari, addirittura dividendo il Mar Rosso, mandando le quaglie, difendendoli dai nemici, facendo scaturire l'acqua dalla roccia.
Ma il popolo cosa dice? "Perché ci avete fatti uscire dall'Egitto?
Volete farci morire qui in questo deserto?
Non c'è né pane né acqua e siamo nauseati di questo cibo così leggero", che era nient'altro che la manna, cioè il miracolo quotidiano che Dio compiva in favore del suo popolo.
Era dunque un segno efficace della presenza di Dio in mezzo al suo popolo, un segno di Dio provvidente e questa presenza di Dio non era più interpretata dal popolo come una protezione, ma come un giogo; si era di nuovo fatta strada l'antica tentazione del serpente: "Sarai come Dio" ( Gen 3 ).
E non è un caso dunque che l'accampamento conosca l'invasione dei serpenti - che sono immagine del tentatore, immagine di Satana e di tutti i suoi satelliti -, visto che il popolo non si difendeva dal Serpente.
Essi avevano già all'interno questo veleno: coltivavano insoddisfazione, non cercavano più l'unione con Dio, ma semplicemente ciò che li avrebbe resi tranquilli; non cercavano la pace in Dio, ma la quiete: avere come in Egitto la pentola della carne, il ripostiglio delle cipolle, lo stomaco pieno senza preoccuparsi se il prezzo di tutto questo era la schiavitù.
Primo aspetto dunque: questo atteggiamento di autosufficienza, di non dipendere da Dio, li ha di nuovo resi schiavi, li ha già resi preda dei serpenti e dunque la manifestazione di questi rettili non doveva stupirli più di tanto, perché essi avevano già abbassato la guardia.
E qui ci può essere un punto di riflessione, una domanda a cui forse molti di voi dovranno rispondere perché la gente chiede queste cose: come mai Dio ha mandato i serpenti?
Da cui scaturisce: perché Dio manda le croci? State attenti, perché non è teologicamente esatto dire così: non è Dio che manda le croci, egli le permette e c'è una grande differenza anche se sembra la stessa cosa.
Qui però viene detto esplicitamente che Dio mandò i serpenti, perché?
Perché erano ciò che essi volevano, erano già aperti ai serpenti.
Secondo: non si difendevano contro il pericolo di questa invasione, erano pronti ad accogliere tutto senza fare un minimo di discernimento, senza capire se le cose che facevano, che pensavano, che dicevano erano veramente in sintonia con Dio o no.
Terzo aspetto, più teologico: Dio proverà sempre la fede dei suoi figli; questo significa che tutti i giorni la mia fede viene provata da Dio.
Perché? Perché Dio è sadico? è cattivo? Perché vuole vedere se ci fidiamo di lui?
Dio ha forse bisogno di provare se la nostra fede in lui è salda o no?
Nei salmi e nei profeti si dice chiaramente che Dio ci conosce fin da quando eravamo nel seno di nostra madre.
Allora perché? Lo fa per un atto di misericordia; mettere alla prova la nostra fede non è per lui, è per noi, perché noi possiamo aprire gli occhi e vedere in che situazione siamo nei suoi confronti.
È un atto di misericordia lasciare che noi "camminiamo in una valle oscura" ( Sal 22 ); non perché lui goda nel lasciarci soli, tanto è vero che il salmo continua dicendo: "Se anche camminassi in una valle oscura non temerei alcun male perché tu sei con me; il tuo bastone e il tuo vincastro mi danno sicurezza".
Questo personaggio ipotetico che troviamo nel salmo 22 sono io: posso camminare in una valle oscura e diventare consapevole che non ho paura, se mi ricordo che lui è con me.
Le prove della vita, quelle che nel parlare comune vengono chiamate "le croci", sono una grazia, anche se sono difficili da portare, perché ti mettono davanti alla misura del tuo abbandono in Dio, di quanto tu hai deciso di appartenergli.
È una luce che Dio ti dà per vedere quando e quanto e come ti sei abbandonato a lui, ti sei fidato di lui.
Se non avessimo queste croci da portare, probabilmente ci faremmo un'idea sbagliata di noi stessi: o troppo alta o troppo bassa; o l'esaltazione o l'umiliazione e in entrambi i casi non saremmo nella relazione giusta con Dio.
Quando Dio e l'uomo erano in comunione nel giardino dell'Eden, tra loro c'era una relazione chiara: Dio era Dio e l'uomo era uomo e fin quando questa relazione è stata chiara c'era unità e accordo; ma da quando l'uomo ha assimilato il veleno e questa relazione non è più stata chiara, vedete cosa è accaduto.
Le croci, le difficoltà che affrontiamo sono una grazia per la conversione: c'è stata la difficoltà, hai avuto il tempo di riflettere su te stesso, hai capito ciò che andava bene e ciò che non era in sintonia con Dio.
Il tempo del deserto, il tempo dell'invasione dei serpenti è il tempo che serve per la metànoia, per il cambiamento di mentalità.
Questo è fondamentale: alcune persone che hanno bisogno del vostro annuncio per cambiare mentalità, non potranno farlo se voi non date la vostra testimonianza, se nessuno avrà il coraggio di essere vicino a quel fratello come il primo Consolatore.
Ora Mosè prega per il popolo e il Signore dice: "Fatti un serpente, issalo su un bastone e chiunque si rivolgerà ad esso sarà salvo".
E nel Vangelo di oggi troviamo la stessa immagine: "Come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così bisogna che sia innalzato il Figlio dell'uomo, perché chiunque crede in lui abbia la vita eterna".
Che significa questo innalzamento del serpente? È forse l'esaltazione del serpente o della sua vittoria?
No, tutt'altro; come facevano i guerrieri antichi che, vinti i loro nemici, innalzavano in qualche modo alla vista di tutti le loro spoglie, qui abbiamo la stessa cosa: il serpente sull'asta mostra a tutti il destino del male, ciò a cui è destinato.
Il serpente viene esposto non all'adorazione, ma al pubblico ludibrio; è come dire: noi prendiamo le distanze da te, serpente, e perciò chiunque ti guarderà così, sarà salvo.
Ma tutto questo cosa c'entra con l'immagine usata da Gesù: quando sarò innalzato come il serpente? È evidente!
Ricordate le parole di Giovanni il Battista: "Ecco l'agnello di Dio, colui che ha preso su di sé il peccato del mondo": e cosa ne ha fatto di questo peccato?
Lo ha inchiodato, lo ha esposto al pubblico ludibrio, si è fatto lui peccato, perché il potere del serpente fosse distrutto.
E si è fatto tale con l'ubbidienza ( 2a lettura ): "Pur essendo di natura divina, umiliò se stesso… si fece obbediente fino alla morte e alla morte di croce".
Cosa vuol dire obbedienza? Non abbassare il capo e basta, ma totale adesione, identità di vedute tra il Padre e Gesù; quindi questo "farsi obbediente" non significa "subisco", ma "condivido", accetto.
Amen, è proprio così lo voglio anch'io con tutte le mie forze, anche se mi fa paura.
Gesù prende su di sé il peccato del mondo e lo inchioda alla croce.
Sulla croce i chiodi rimanevano anche dopo la deposizione del condannato e il peccato è rimasto inchiodato lì; Gesù no, ed è risorto conservando i segni della passione e tuttora siede alla destra del Padre con queste piaghe gloriose, per le quali, come dice il profeta Isaia, "noi siamo guariti".
Le sua piaghe resteranno aperte fino alla consumazione dei secoli, affinché tutte le generazioni passino per esse e possano giungere alla salvezza.
Da queste piaghe esce non solo il sangue della redenzione, ma anche l'acqua della purificazione.
Il profeta Ezechiele, al c. 47, ( Ez 47 ) dice che l'acqua che esce dal tempio dove giunge risana e gli alberi che crescono lungo quest'acqua producono frutti dodici volte l'anno, cioè sempre, in contrapposto con il fico maledetto da Gesù perché non produceva frutti.
L'acqua che esce dal costato di Gesù Cristo è questa immagine profetica che abbraccia tutta la storia della salvezza fin dall'inizio, quando lo Spirito di Dio aleggiava sopra le acque.
Questo Spirito è effuso in maniere diverse e gli stessi evangelisti non sono univoci.
Per esempio, Giovanni dice che quando Gesù spirò "emisit spiritum", mandò lo Spirito, mentre Luca colloca alla Pentecoste il momento dell'effusione dello Spirito.
Ci si potrebbe chiedere chi ha ragione: la ragione è sempre di Dio, nel senso che da queste diversità scritturali ed esegetiche si può trarre un insegnamento teologico e cioè che non vi è un momento unico in cui si effonde lo Spirito, ma ve ne sono diversi; non c'è un tempo di effusione dello Spirito, ma vi sono molti momenti in cui lo Spirito si effonde ed è una sua azione libera che non possiamo determinare o decidere noi: "Lo Spirito è come il vento; nessuno sa di dove viene e dove va" ( Gv 3 ).
In nostro potere è l'accoglienza.
Maria aveva già ricevuto il dono dello Spirito nel giorno dell'Annunciazione, ma lo ricevette di nuovo a Pentecoste; era sotto la croce e quando Gesù "emisit spiritum" e lo ricevette anche lì.
Quando si parla di effusione dello Spirito vengono subito in mente le manifestazioni carismatiche, ma attenzione: non possiamo fermarci a questa che è una conseguenza e non l'essenza dell'effusione, che è invece lo Spirito stesso, concretizzazione di una volontà esplicita di Gesù e non per qualche privilegiato, ma per il suo corpo che è la Chiesa.
E quando parlo di Chiesa a questo livello, parlo di Chiesa cattolica, cioè universale, la Chiesa indivisa, quella che afferma unanimemente: Gesù Cristo è il Signore con il Padre e lo Spirito Santo.
L'essenza del cristiano rinnovato non sono i carismi o la loro manifestazione spumeggiante, ma la presenza fattiva, operativa dello Spirito Santo in qualunque battezzato.
Questa è una verità che si presenta con un'evidenza nuova a tutta la Chiesa e viene indicata come una riscoperta dello Spirito Santo, di cui si parla sempre di più, a volte a sproposito, a volte con superficialità, a volte dando dei giudizi molto affrettati, senza aver compiuto un discernimento serio su quale sia il cammino, che il Signore sta imprimendo alla sua Chiesa in questi secoli, tuttavia se ne parla.
È una novità nella Chiesa di questi ultimi decenni: c'è un interesse per la persona dello Spirito santo e per la sua azione.
Taluni ne sono infastiditi, alcuni ne sono incuriositi, altri, molti sono desiderosi di fare questa esperienza, hanno il cuore aperto.
Sappiate che è un'esperienza che abbraccia molti milioni di cristiani in tutto il mondo; solo in ambito cattolico si calcolano 80 milioni.
Lo Spirito Santo porta con sé nuove prospettive per la Chiesa e non solo per alcuni movimenti: non si può mettere un timbro sull'esperienza dello Spirito Santo, perché lo Spirito santo è di tutti e tutti hanno il diritto, oltre che il dovere, di vivere nello Spirito Santo.
Non è prerogativa di pochi, scelti o esaltati, è diritto e dovere di tutti i battezzati; non è un'esperienza settoriale, ma investe l'intera comunità dei credenti.
I motivi di tale interesse sono molti, ma è chiaro che una notevole spinta ci è giunta dal Concilio Vaticano II che il teologo Balthazar definì il Concilio dello Spirito Santo: la parola Spirito ricorre 410 volte.
Il card. Ratzinger, nel libro intervista "Rapporto sulla fede", viene interpellato diffusamente e puntualmente su queste nuove chances e dice: "Lo Spirito Santo è stato troppo dimenticato dalla teologia occidentale, rispetto a quella orientale.
Per fortuna vi è una riscoperta di questo infinito ambito".
Chiede Messori: I movimenti carismatici, tipo Rinnovamento nello Spirito, non sono forse un dato positivo e una speranza per la Chiesa?
Risposta del cardinale: Certo, è la riscoperta della gioia del pregare contro una spiritualità razionalista e secolarizzata.
È certamente un dono di Dio alla sua Chiesa.
Quando Gesù ha fondato la Chiesa ha voluto che il suo Spirito fosse con lei ed in lei fino alla consumazione dei secoli; spesso egli parlava delle opere che lo Spirito avrebbe fatto nella sua Chiesa, soprattutto dopo il suo ritorno al Padre.
Era necessario che Gesù morisse perché la sua opera non fosse umana, ma divina.
Se lui fosse vissuto, la Chiesa ci sarebbe stata lo stesso, ma sarebbe stata un'opera umana.
Dunque non dimentichiamo mai che la Chiesa è opera di Dio, voluta da Dio, condotta da Dio; l'Unione Catechisti è voluta da Dio, ideata da Dio, desiderata, inventata da Dio sull'immagine di Gesù Cristo crocifisso e vuole che sia un'opera divina non umana.
E come Gesù a questo scopo mandò lo Spirito, così l'Unione Catechisti deve vivere nello Spirito, è un'opera di puro amore perché lo Spirito è amore allo stato puro.
"Dio è amore", leggiamo nella prima lettera di Giovanni, e ha voluto salvare per mezzo del suo amore.
I discepoli sono quelli che raccolgono dove non hanno seminato ( Gv 4,38 ), perché il seme è la morte di Gesù e la messe è l'opera dello Spirito Santo.
Che il seme ci sia è indubbio, ma la messe dov'è?
Voi sapete che lo Spirito Santo è libero e va dove viene accolto; l'acqua che scende dal monte si fa la sua strada, e così il vento se trova una vela spiegata la gonfia e la nave viaggia, ma se la vela è arrotolata e la nave è ancorata, nonostante il vento non si muove.
La messe è l'azione divinizzante dello Spirito accolto nella libertà dagli uomini.
Tu sei battezzato, hai lo Spirito dentro di te, ma lui agisce solo se tu l'accogli liberamente, non ne sei costretto, sebbene sia un tuo diritto oltre che un tuo dovere.
Gesù dice: "È bene per voi che io vada al Padre perché se non vado non verrà a voi il Paraclito, ma se vado lui verrà" ( Gv 16,7 ).
La parola Paraclito deriva dal greco ed è praticamente intraducibile; lo si rende con avvocato difensore, che non è molto calzante; possiamo dirlo esperienza di comunione con Dio in Dio.
A differenza degli avvocati umani, egli non si sostituisce a noi e non parla al nostro posto, ma lascia a noi la parola e succede che è lui a farci dire quella parola che ha in sé tutto: "Abbà, Padre".
Notate bene che è una parola che lui singolarmente non può dire perché non è figlio del Padre; procede dal Padre e dal Figlio, ma non è il Figlio.
Tuttavia lui in noi realizza il nostro essere figli nel Figlio Gesù e ci fa dire "Abbà!".
Il Paraclito è l'amore del Padre e del Figlio, è il legame di questo amore; non parla a noi dall'esterno, ma con una voce interiore e discreta e risveglia la libertà e la fede dei discepoli così che provoca non qualcosa che dobbiamo subire, ma qualcosa che vogliamo.
Lo Spirito Santo è colui che dentro di noi fa nascere un desiderio, non ci impone una legge dall'esterno.
"Molte cose avrei ancora di dirvi, ma non siete ancora capaci di portarne il peso; quando verrà lo Spirito santo egli vi condurrà alla verità tutta intera" ( Gv 16,12-13 ); "Vi insegnerà ogni cosa… vi ricorderà tutto quello che io vi ho detto" ( Gv 16,26 ).
Il linguaggio di Gesù appariva ostico, strano, assurdo, addirittura pazzesco, scandalizzante: "Chi non mangia la mia carne e non beve il mio sangue…" e tutti scandalizzati; ma poi tutto acquista un senso quando viene lo Spirito, perché egli spiega, ti fa capire, ti fa aderire.
Tu sei in lui e quello che desidera, sogna, pensa, ama lui, lo puoi e lo desideri anche tu e così diventi figlio, per esperienza più che per scienza.
Tutto è diventato chiaro, addirittura naturale quando l'amore si è fatto presente nelle creature.
Lo Spirito di Gesù è uno Spirito di potenza: viene mandato nel deserto e lì vince le tentazioni; compie miracoli, guarisce gli ammalati, caccia i demoni; ma attenzione, la potenza dello Spirito in Gesù non è un'energia, non è una forza, ma una Persona.
Non è qualcosa che posso acquistare con le mie forze o con le mie capacità o con le mie abitudini o con la mia ascesi.
La potenza dello Spirito non è frutto dell'ascetica, è un dono gratuito, come l'amore: non lo si compra, ma lo si desidera, lo si aspetta, ci si prepara, lo si chiama, lo si accoglie rinunciando a se stessi, lo si cura, lo si nutre, lo si protegge perché questo amore cresca.
Il giorno di Pentecoste non fu per gli apostoli l'apice, fu solo l'inizio e Luca, che non aveva conosciuto Gesù, racconta come lo Spirito Santo sia venuto e come ha fondato la Chiesa, ha dato il via ai carismi, ha provocato conversioni, ha suscitato i battesimi, ha diffuso la buona novella fino agli estremi confini della terra.
Gesù era la buona notizia, ma perché essa venisse conosciuta c'era bisogno dello Spirito e lo Spirito santo è dunque "il frutto" della passione, morte e risurrezione di Gesù.
Dopo la risurrezione, lo Spirito è stato dato a tutti per la formazione di un'unica comunità, perché lo Spirito è realizzazione di unità e comunione: un identico fine, un identico ideale, un identico amore che ci lega.
Prima della Pentecoste la Chiesa c'era già, come una creatura c'è già nel grembo materno, ma solo dopo l'effusione dello Spirito essa apparirà nel mondo per accrescersi e diffondersi.
Da allora lo Spirito abita nella Chiesa con la sua potenza infinita; per alcuni secoli fu lasciato libero di agire; poi, per tante cause sociologiche, politiche, religiose… allo Spirito fu dato sempre meno interesse.
Non che egli non ci fosse e non spingesse la Chiesa con impulsi di amore inquieto, tanto è vero che quelli che furono docili all'azione dello Spirito furono i grandi fondatori, i grandi maestri di spirito di cui è punteggiata la storia della Chiesa.
Non dobbiamo pensare che lo Spirito agisca solo in determinate persone; lo Spirito vuole agire in tutti con la sua potenza, ma troverà il nostro cuore docile e disponibile alla sua azione santificatrice, cioè all'azione che ci fa essere come Gesù, dei crocifissi risorti?
Lo Spirito santo è l'anima della Chiesa e le prime comunità cristiane erano inebriate di lui, pazzamente ripiene di Spirito Santo; da allora alcune sue manifestazioni paiono essersi affievolite, ma lo Spirito santo continua a vivificare la Chiesa e la spinge a una vita piena, spinge tutti a essere pienamente figli nel Figlio.
Sta ribadendo il chiodo nel legno della croce perché il serpente vi sia incatenato e io e te e tutta l'Unione Catechisti possa essere pienamente vitale come il Padre l'ha immaginata e come Gesù l'ha voluta, per vivere una vita nuova, sempre fresca, giovane, entusiastica perché innamorata di Dio.