Ritiro del 18/2/1999
Allora continuiamo nella nostra meditazione.
1 - Dio Padre ha tanto amato il mondo
2 - "Dio ha tanto amato il mondo"
3 - Dio Padre considerato come il severo giudice
4 - Immagini nel linguaggio biblico
5 - Gesù usa molto le parabole
6 - Le immagini hanno una capacità di comunicare
7 - Paolo si doveva presentare alla comunità di Roma
8 - L'amore di Dio Padre è come una sorgente
9 - Ogni paternità prende nome da Dio
10 - Condizionati da riflessioni pseudoteologiche
11 - La teologia scaturiva da riflessioni solo filosofiche
12 - Dio è diventato sempre più trascendente
13 - Aberrazioni
14 - Quello che ci appare dalle affermazioni bibliche
15 - L'afflizione che Dio prova
16 - La sua sofferenza non è vincolata
17 - Dio soffre per puro amore
18 - Tutto nel Padre è paterno
19 - Per questo è anche impotente
20 - Dio non possiede se stesso
21 - Noi viviamo la grazia di Dio?
22 - Dio vede la necessità del castigo, ma si commuove
23 - Egli è l'Emmanuel
24 - Dio prova gioia nell'immaginare la nostra gioia
25 - La stessa esperienza di Abramo
26 - Sia fatto ciò che è giusto
27 - Ricuperare la comunione con il Padre
Dio Padre ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio Unigenito.
In questa affermazione, sulla quale abbiamo già incominciato a meditare questa mattina, troviamo molti motivi, molte radici.
Intanto troviamo che Dio, il Padre, ama, e non ama in maniera, come dire, atematica, cioè diffusiva, totalmente imparziale, potremmo parlare di una specie di iperbole, cioè a dire, che l'amore di Dio è assolutamente imparziale, ma anche totalmente parziale, cioè il suo amore è veramente uguale per tutti, infinito per tutti, ma allo stesso tempo è come se fosse particolare, come se fosse unico.
È ciò che noi non riusciamo a mettere insieme nelle nostre categorie mentali, quella che noi traduciamo dicendo "L'amore di Dio è assoluto, eterno e infinito come se tu fossi l'unica persona che esiste in tutto il creato".
Solo che Dio questo amore esclusivo nei miei confronti ce l'ha anche nei tuoi confronti e ce l'ha anche nei confronti di tutti gli altri cinque miliardi di persone che esistono sulla terra, e non solo, ce l'ha anche per tutti quei miliardi di persone che sono vissute sulla terra prima di noi e di quei miliardi di persone che vivranno sulla terra dopo di noi: il suo amore è assolutamente univoco e universale.
È qualche cosa di veramente grande.
"Dio ha tanto amato il mondo", dunque un amore assoluto ma anche concreto, non un amore atematico: "Dio ama", "Dio è amore", come se fosse una specie di energia di amore, che però non si concretizza in nulla, invece Egli ama qualche cosa, il mondo, cioè è tutto riversato verso il mondo, nessuna delle cose che esistono è disprezzata da Dio.
I libri ci dicono esattamente questo: che Dio ama tutte le cose che esistono, perché se qualche cosa Lui non l'avesse amata l'avrebbe fatta.
Poi Dio ama il mondo così tanto da dare il suo Figlio unigenito, dunque c'è l'azione non solo dell'amare, ma anche del "dare".
L'amore è manifestato sempre in gesti concreti; se l'amore non è anche concreto non si può parlare di amore.
Allora questa mattina abbiamo visto con quale enfasi Gesù parlasse di Dio Padre e come egli manifestava l'amore che il Padre aveva nei suoi confronti in tutte le azioni.
Abbiamo visto come i discepoli erano assolutamente affascinati dal modo in cui Gesù parlava del Padre, abbiamo visto come ciò di cui parlava Gesù non era semplicemente una conoscenza intellettuale di Dio: "Dio è Padre", forse noi abbiamo bisogno di nutrire anche la nostra intelligenza, ma non possiamo pensare che la nostra vita di fede sia nutrita solo dalla intelligenza.
Dio è Padre, ma che cosa significa "essere Padre"? Significa una vera, specifica relazione che intercorre tra lui e un altro.
Abbiamo ripreso la Lettera agli Efesini che diceva: "nel nome del Padre ogni paternità prende nome nei cieli e sulla terra", l'abbiamo parafrasata e abbiamo detto che in Gesù ogni figliolanza prende nome nel cielo e sulla terra.
Quest'opera della redenzione in cui abbiamo visto che Dio Padre era sempre stato considerato, e forse succede ancora adesso, come il severo giudice che per placare la sua ira per l'offesa ricevuta nel peccato originale, ha bisogno che il Figlio si incarni, si faccia uomo e quindi colmi questa terribile onta, deve lavare questa onta, questo disonore che l'uomo ha compiuto, dev'essere lavata con il sangue.
Allora per superare questa visuale, che è stata inserita nelle nostre menti da secoli, noi abbiamo bisogno di ricuperare essenzialmente ciò che Dio dice di se stesso nella Scrittura.
Allora teniamo presente una cosa: il linguaggio biblico è un po' diverso dal linguaggio filosofico a cui noi siamo abituati.
Nel linguaggio biblico sappiamo bene che vengono evocate molte volte delle immagini.
Ora, l'immagine ha un valore simbolico e significativo notevole, ma non è mai vincolante come un concetto; il concetto può servire alla nostra mente per sistematizzare ciò di cui stiamo parlando, però rischia di essere anche una prigione, perché il concetto ha in sé qualche cosa di forte, che lo cristallizza al di là del tempo e degli eventi.
Quindi un concetto acquisito in un tempo rimarrà tale per tutto quel tempo, mentre una immagine è molto più elastica perché ti permette di adattarla alla tua situazione.
Allora ricordiamoci che il linguaggio biblico è un linguaggio per immagini, per evocazioni: l'immagine è qualche cosa che parla a tutti e tre i livelli della persona: a livello corporeo, a livello psicologico e a livello fisico, mentre il concetto parla essenzialmente a livello psichico, razionale, intellettuale e dunque in quella zona il concetto determina tutto il funzionamento di cui si sta parlando.
Allora, come possiamo capire? Vediamo per esempio che Gesù usa molto le parabole e in queste parabole lui descrive un'immagine: A che cosa paragonerò il Regno dei cieli? Il Regno dei cieli è simile a una donna che ha perso una dramma, il Regno dei cieli è simile a dieci vergini, il Regno dei cieli è simile a un banchetto: sono tutte cose diverse, vi rendete conto?
Il Regno dei cieli è simile a un pastore che cerca della sua pecorella smarrita, alla rete gettata, alla scelta dei pesci buoni e di quelli cattivi.
Dunque, in realtà, quando tu ti accosti a questo tipo di immagine, tu senti Gesù che ti dice: il Regno dei cieli è simile a questo, è simile a quello.
Tu dentro di te vedi quell'immagine, sì o no? Qui disse: vedi questa famosa dramma perduta, che cosa vedrai?
Descrivetemi, io ora sono un bambino di cinque anni, descrivete questa immagine, in modo che io capisca quello che mi vuoi trasmettere.
Tu che sei una donna che cerca la dramma perduta, che cosa faresti?
Allora tu capisci che il Regno dei cieli non è semplicemente cercare una moneta, è tutto ciò che c'è a monte, cioè lo stato d'animo che ha quella donna nel cercare la dramma perduta, perché la dramma perduta è qualche cosa di importante.
Dunque essa in che modo la cercherà? Facendone un dramma, cosa proverà dentro di sé, descrivetemelo, ansia, paura, vergogna: tutto questo deve confluire in questa immagine, l'immagine del Regno dei cieli.
Ora, il Regno dei cieli è davvero una cucina piena di roba, dove una donna va a cercare una moneta?
È questo il Regno dei cieli? No? Che cosa è dunque il Regno dei cieli?
Allora, dicevamo, le immagini hanno questa elasticità, che è una capacità di comunicare oltre il fatto concreto che è accaduto, e hanno questa bellezza le immagini, che sono elastiche, perché? Perché parlano a tutti e tre i livelli della persona, non solo a quello intellettuale.
Allora, quando noi abbiamo immaginato oppure abbiamo parlato del Padre, ci rendiamo subito conto che potremmo avere avuto due approcci diversi.
Questa mattina parlavo di alcune concezioni su Dio Padre e dicevo nello stesso tempo le immagini che le persone hanno su Dio Padre.
Quindi, questa è una immagine che loro hanno nella loro memoria, capire perché ce l'hanno nella loro memoria può essere utile o può non essere utile, però quella immagine parlerà a tutto il loro spirito.
Quindi, quando essi si rivolgeranno a Dio Padre, lo immagineranno in quel modo.
Che cosa suscita questo tipo di immagine mentale che essi hanno? Suscita fiducia? Suscita protezione? Che cosa suscita?
E poi, quello che Gesù ci ha detto su Dio Padre, è mediato da una immagine che corrisponda? Oppure no?
Terzo punto, quello che Gesù ha detto su Dio Padre con parole e opere, corrisponde poi di fatto a quello che noi a quello che noi diciamo, a quello che noi vediamo su Dio Padre?
Perché abbiamo visto stamattina che nella storia della spiritualità ci sono stati dei periodi molto difficili per quanto riguarda la concezione di Dio Padre.
Allora, andiamo per ordine. Parlavamo dell'opera di redenzione di Gesù Cristo e ci viene questa domanda, abbiamo riflettuto per un anno su queste cose, ma l'opera di redenzione di Gesù, fu un'opera solo di Gesù, oppure fu un'opera della Trinità?
Molte volte abbiamo già approfondito questo tema e abbiamo visto che tutta la Trinità è in opera per la realizzazione di questa redenzione, che è molto di più di colmare un vuoto causato dal peccato.
È ancora Paolo che nelle sue opere denota i contenuti della predicazione degli apostoli, cioè quello che gli apostoli andavano in giro insegnando su Gesù e su quello che Gesù aveva insegnato.
La favolosa lettera ai Romani è ovviamente un compendio.
Naturalmente Paolo si doveva presentare alla comunità di Roma, stava arrivando lì perché lui si era appellato all'imperatore per avere un giudizio equo, non voleva essere giustiziato, aveva detto: "Guardate che io sono di Tarso e gli abitanti di Tarso godono di questa immunità: sono cittadini romani.
Un po' come dire: se io vado nella Basilica di Loreto sono in Vaticano, perché quello è territorio della Città del Vaticano.
Allora lui era di Tarso e tutti gli abitanti, tutti i nativi di Tarso godevano di questo privilegio: erano cittadini romani, come i cardinali che sono cardinali perché sono incardinati a Roma, sono sacerdoti della Diocesi di Roma: ogni cardinale ha una chiesa in Roma di cui è titolare, quindi loro, nella loro diocesi, il loro palazzo apostolico è a Roma, non è a New York né altrove, è a Roma.
Allora, l'apostolo Paolo in questa lettera fa un compendio di tutto il suo insegnamento, certamente è molto denso, ma perché?
Perché lui sapeva che sarebbe stato a Roma diversi mesi, avrebbe incontrato molte persone e avrebbe spezzettato con loro tutto il materiale denso che c'è qui dentro.
E noi troviamo che dal capitolo 5 al capitolo 8 c'è tutto il nucleo dell'insegnamento, specialmente quello che interessa a noi, cioè tutta la lettera è meravigliosa, però quello che interessa a noi è specialmente trattato in questi capitoli.
Qui risulta che l'amore di Dio Padre per noi è come una sorgente da cui scaturisce tutta la nostra salvezza, Rm 8,32 dice così: "Dio Padre dimostra il suo amore per noi perché, mentre eravamo ancora peccatori, Gesù Cristo è morto per noi, Dio non ha risparmiato il proprio Figlio, ma lo ha dato per tutti noi".
È bella questa affermazione di Paolo? Allora adesso tirate fuori quello che adesso vi evoca come immagine o anche come emozioni una affermazione di questo genere, e cioè: "Dio non ha risparmiato il proprio Figlio, ma lo ha dato per tutti noi. Bene.
A me sembra di vedere una arena piena di leoni, e noi siamo quei leoni e Dio non ha tenuto per se il suo Figlio, ma lo ha dato in pasto a tutti noi.
È un'osservazione molto forte, non vi pare? Guardate che da questa affermazione sono scaturite molte prese di posizione che sono arrivate alla concezione sulla figura di Dio Padre che abbiamo avuto e che abbiamo seguito questa mattina.
E cioè: come sarebbe Dio il Padre dimostra il suo amore per noi essendo crudele nei confronti di suo Figlio, cioè pretendendo che suo Figlio sia immolato per nostro beneficio.
Ma allora ogni paternità nei cieli e sulla terra prende nome da questo Dio che è un padre, ma che io constato essere crudele?
Come posso dire io che Dio è talmente buono che perdona tutti quando poi, nella situazione concreta, quando lui dovrebbe dimostrare la sua bontà, egli pretende che suo Figlio si immoli al suo posto, se vuole lo faccia lui, perché deve farlo il figlio?
Perché noi siamo salvati. Allora, se Dio era talmente buono e talmente potente, non poteva fare così e cancellare tutta l'onta del peccato?
Perché doveva "pretendere" che il figlio si immolasse per noi?
E queste sono ovviamente delle domande che per secoli hanno assillato le menti più eccelse della spiritualità.
Certo dobbiamo dire che in epoca patristica queste erano domande all'ordine del giorno, che venivano approfondite notevolmente: era un periodo di ricerca, quindi accanto a delle illuminazioni dello Spirito Santo strepitose, ci sono state anche delle incomprensioni, che hanno prodotto poi dopo delle eresie.
Allora succede che, quando nasce una eresia e la si vuole superare, si cerca di cancellare anche quella scintilla di verità che può aver prodotto una riflessione di questo genere.
Allora, siamo condizionati da secoli di riflessioni pseudoteologiche sulla figura del Padre che giunge a noi, incrostata di precomprensioni: il Padre è giusto, è giudice, esige il pagamento della colpa Venerdì Santo del 1662: Gesù cerca il Padre, ma egli è sdegnato, vindice, si vuole vendicare per l'offesa ricevuta dal peccato degli uomini, quindi il Figlio si rivolge verso di lui per averne comprensione e il Padre volge lo sguardo da un'altra parte.
Ma a ben vedere nella Bibbia molte volte Dio non compare affatto come vendicatore, mai, anzi, ciò che emerge è che egli appare come colui che soffre, soffre per la nostra lontananza da Lui.
Questa mattina, dopo che avevamo parlato di questo, mi è stato fatto notare un Canto 623, che era molto comune, perché questo qui "Preci e Canti", libro dei canti che era in uso, Imprimatur 22 giugno del 1941.
Canti in onore della SS.ma Vergine, pag. 626, "Siam rei di mille errori".
Sentite le parole: Non siamo nel 1600, neanche nel 1800, 1900: Siam rei di mille errori, abbiamo il ciel nemico ( qui c'è da tremare).
Ciel con la 'C' maiuscola, quindi è chiaro, qui non si osa dire Dio, ma è chiaro che è Lui, dai giusti suoi rigori chi ci difenderà?
Ed ecco la risposta: Non Gesù, non l'amore dello Spirito, ma …. Volgi pietosa a noi , volgi gli sguardi tuoi, Maria speranza nostra, abbi pietà di noi.
Qui siamo fuori della comunione biblica, eppure questo fa parte della nostra spiritualità, perché chi ha pietà di noi non è Dio, quindi Dio è l'ingiusto giudice vendicatore, ma è Maria, che è creatura, pure lei salvata, per grazia mirabile, al momento del concepimento, quindi Immacolata Concezione, Catechismo della Chiesa Cattolica. n. 490 e 491
Quindi è tutto smentito: non si può dire che il dogma della Immacolata non si conoscesse, perché era del 1854, e qui siamo nel 1941,e questo è il tipo di spiritualità chele nostre generazioni hanno assorbito, perché allora, evidentemente, ciò che dettava legge erano i testi di teologia basati sulla filosofia e non teologia nutrita della parola di Dio.
La teologia scaturiva fuori da delle riflessioni solo più filosofiche, ma che non avevano più aggancio con la Parola di Dio.
Era solo evidentemente, perché la scolastica, con la Summa Teologia di San Tommaso, aveva fatto un compendio di tutta la sapienza teologica, ma che iniziava all'epoca patristica e giungeva fino all'alto Medioevo.
Dopo l'alto medioevo, con la Scolastica che si conclude, arriva il nominalismo, dove, al posto della riflessione biblica, che i Padri avevano messo al primo posto, entra la riflessione teologica, la riflessione filosofica.
Quando poi nel Rinascimento si riscoprono gli scritti di Aristotele, tutto è fatto: Aristotele parla dei quattro trascendentali: uno, vero, buono e bello, Dio è l'essere perfettissimo, impassibile, non è lecito pensare che Dio possa provare qualche sensazione, perché se egli provasse qualche cosa vorrebbe dire che non sarebbe più perfetto, mentre Dio è perfetto nella sua beatitudine.
Quindi tutta la spiritualità si è indirizzata in questa visione di Dio, che sarà bella, sarà gloriosa, ma non è reale, o meglio è reale ma solo in parte, perché è vero che Dio è l'essere perfettissimo, ma è anche l'essere che compatisce, è il Dio con noi, questo la Bibbia ce lo diceva da sempre, ma noi l'avevamo dimenticato.
Allora, che cosa è accaduto? Che se tutta la teologia si basa sulle affermazioni filosofiche, per esempio aristoteliche, occamiste, nominaliste, e tutto ciò che venne di seguito, è chiaro che la teologia viaggiava con una duplice visione: da una parte un Dio misericordioso, che si incarna per morire al posto nostro, dall'altra parte un Dio giudice, che deve fare la parte dell'essere perfettissimo impassibile perché questo sistema di perfezione assoluta, intangibile, non doveva essere toccato da nessun'altra idea.
Il risultato quale è stato? Che Dio è diventato sempre più trascendente, sempre più lontano, sempre più irraggiungibile, sempre più qualche cosa che ti incuteva terrore.
Come risolvere questa difficoltà? Difficoltà emozionale, reale, dobbiamo trovare qualche cosa che si metta tra Dio e gli uomini, smentendo ancora una volta la parola di Dio che è, nella lettera agli Ebrei afferma chiaramente, "non c'è nessun mediatore tra Dio e gli uomini se non Gesù Cristo Signore".
Ecco che la spiritualità si è indirizzata a dover cercare una mediatrice, che assommava in sé le caratteristiche che il popolo di Dio desiderava che Dio avesse, senza sapere che Dio le aveva queste caratteristiche, è invece il Dio dei filosofi che non ha quelle caratteristiche.
Il Dio della Scrittura è il Dio misericordioso e pietoso, che è giudice, ma non contro la persona, contro l'errore.
Allora si è sottolineato questo aspetto, che si è manifestato poi in tante pseudo rivelazioni private, in cui Maria SS.ma appare come colei sorregge il braccio terrificante di Dio, che vuole distruggere l'umanità.
Meno male che c'è Maria che è più brava di Dio! Perché se noi fossimo nelle mani di Dio saremo tutti distrutti.
Ci rendiamo conto a quali aberrazioni siamo giunti semplicemente per non essere biblici.
Sia ringraziato il Signore che, dopo il Concilio, noi abbiamo di nuovo ciò che Dio stesso ha detto, ce l'abbiamo nelle nostre mani, cerchiamo di avere una sensibilità sufficientemente libera e sufficientemente illuminata da non lasciarci condizionare emozionalmente solo dai ricordi del passato in cui la devozione a Maria era in un certo modo.
Quella non è devozione che fa onore a Maria, perché Lei non desidera in nessun modo prendere il posto di Dio, Lei stessa è la prima che sta adorando il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo, non è Lei che si mette lì a tavola e dice: "Ehi tu, Padre, non fare così, perché i figli miei….." Ci siamo capiti?
Questo è come sfondare delle porte aperte… me ne rendo conto, ma rendiamoci conto che gran parte delle produzioni anche odierne di questi canti sono veramente fuori della comunione biblica.
Ve ne accorgerete anche voi, chi di voi per esempio ascolta Radio Maria?
Quindi vi renderete conto che canti di produzione odierna, non di trent'anni fa', sono fuori della comunione, anche la preghiera conclude dicendo, rivolgendosi alla Madonna, "secondo la tua volontà e quella del tuo Figlio", quindi la volontà di Maria viene prima di quella di Gesù.
Consacrazione a Maria è nel senso della imitazione delle sue virtù, perché Maria è una persona che a sua volta è stata resa grazia, è stata piena di grazia, tu che sei stata riempita di grazia e rimani tale, quello è il suo merito, di avere collaborato con la grazia di Dio, non di possedere la grazia in se stessa: non è Lei che ha pietà di noi, ma è Lei, ancora linguaggio biblico, che prega con noi che siamo peccatori.
Quindi la tradizione antica, la tradizione patristica è certamente mille volte più profonda e più vera delle incrostazioni pseudo spiritualiste che ci hanno toccato per secoli. Ma andiamo avanti.
Quello che ci appare dalle affermazioni bibliche, guardate che io ne ho prese solo pochissime, perché se no …. avrei fatto semplicemente un centone di affermazioni bibliche.
Sono per esempio queste: Gen 6,6: "Dio si addolorò in cuor suo" quindi questo già smentisce la impassibilità di Dio, la tarassicità di Dio, se si impietosisce, se si addolora in cuor suo vuol dire che egli prova qualche cosa.
Oppure per esempio nel Sal 78,40: "Fu contristato nel deserto", oppure nel Salmo che recitiamo all'Invitatorio, Sal 99, riprende lo stesso tema, quindi il Padre, Dio, nel deserto provò dolore perché non fu creduto, fu pensato come un mentitore, dunque egli prova una crisi di identità: "Come? Non mi riconoscono? Ma sono io! Io sono colui che sono!"
Oppure in Mi 6,3, che lo sentiamo il Venerdì Santo, è interessante notare che invece della Liturgia, da sempre, questi versetti erano riconosciuti, come ci si accostava a questi versetti?
Forse in modo solo emozionale? Oppure in una speranza umana?
Vi ricordate quando c'era la Messa Da Requiem e si cantava, in latino, "Ricordati Signore che io sono misero, abbi pietà di me!"
Sarebbe interessante prendere tutti i testi che non sono testi biblici, però hanno una risonanza biblica, e nello stesso tempo hanno una risonanza della spiritualità che si viveva in quel periodo.
"Popolo mio, che cosa ti ho fatto? In che cosa ti ho stancato? Rispondimi." Mi 6,3
Oppure in Is 1,2, quindi quando esce fuori la bomba: "Ho allevato e fatto crescere i miei figli, ma essi si sono ribellati contro di me.
Può un Dio atarassico e giustizia infinita esprimersi in questa che noi diciamo "È parola di Dio!"
È Dio Padre che parla, è Dio Padre che si fa conoscere, può Dio esprimere queste cose e noi continuare a temerlo come un grande guerriero condottiero che non vede l'ora di scagliare contro di noi le sue frecce?
L'afflizione che Dio prova non è una afflizione egoistica, cosa intendo dire con "afflizione egoistica"?
Uno si affligge in alcuni casi perché egoisticamente gli viene a mancare qualche cosa.
Ti ricordi ieri quella ragazza diceva: "Perché Dio mi ha portato via mia nonna?"
Dunque, questa ragazza manifestava, con questa domanda, una afflizione, ma che tipo di afflizione era?
Una afflizione tutto sommato egoistica perché forse, dopo che abbiamo ragionato, si è resa conto che sua nonna, se è nelle mani di Dio, è sicuramente molto più felice che non stare su questa terra.
Tuttavia lei provava afflizione non perché la nonna era morta, ma perché a lei mancava la nonna Ci siamo?
Come a dire, ecco: voglio fare una offerta ai poveri, voglio dare un milione ai poveri, poi questo milione me lo rubano e io sono afflitto perché mi manca quel milione che io avevo già deciso di dare ai poveri.
Dunque io provo una afflizione per qualcosa che mi è stato tolto, non per qualche cosa che gli altri non hanno avuto: quei poveri resteranno senza il tuo milione, ma a te non dispiace perché loro sono rimasti senza il milione, dispiace perché il milione l'hanno portato via a te.
Allora, l'afflizione che prova Dio è priva di qualsiasi tipo di egoismo, cioè, contrariamente a quanto abbiamo pensato per molto tempo, Dio non è offeso perché noi non diamo gloria a Lui, ma è umiliato e prostrato e rattristato per il fatto che noi ci priviamo della sua gloria.
Tanto la sua gloria Lui la dà, si espande dai cieli ai cieli: i cieli immensi cantano la gloria di Dio e il firmamento annuncia le sue meraviglie, questi sono i Salmi, quindi vuol dire che la gloria e l'amore di Dio si diffondono, non è una lingua e non sono parole di cui si oda il suono, il suo amore si diffonde ugualmente.
Ma Dio dice: "questo mio amore che io regalo in modo infinito i cieli, le stelle, i pianeti lo ricevono e lo manifestano essendo perfetti nella loro creazione, ma coloro ai quali io ho voluto indirizzare questo mio amore ne resteranno senza e io ci soffro, io ci sto male.
È come dire una mamma che dà in adozione il suo bimbo quando ha appena pochi giorni e se ha l'influenza lo copriranno, lo proteggeranno, e se gli mancasse da mangiare, avrà i vestiti, questo e quest'altro….
Oppure la lontananza di una persona cara: un figlio parte per il militare, la mamma continuamente penserà: sarà protetto, sarà curato, sarà guardato, sarà imprudente: questo è amore disinteressato, fino a un certo punto, perché noi non siamo capaci di essere totalmente disinteressati, mentre Dio sì.
Il suo amore, la sua sofferenza non è vincolata da qualcosa che ti venga a mancare, qualcosa che venga a mancare a Lui, ma qualcosa che venga a mancare a noi.
In questo senso si può parlare di sofferenza di Dio, di compassione di Dio.
Non che egli manchi qualche cosa, quindi Egli è sempre perfetto nella sua beatitudine, ma ciò che egli prova fa parte della sua beatitudine, se Lui non avesse questa capacita di compassione, di patire con, sarebbe perfetto nella sua perfezione?
No, sarebbe manchevole di tutte le nostre esperienze.
Dunque anche in questo Dio non sarebbe perfetto come il dio dei filosofi immaginavano dovesse essere.
Dio soffre per puro amore, per ciò che l'altro soffre o soffrirà.
Dio è contento che Lucifero si è tolto dai piedi? No, Dio soffre perché Lucifero l'ha rifiutato, sì, perché Dio ama Lucifero e Lucifero lo sa.
Per questo Lucifero stesso soffre ancora di più, perché egli sa benissimo che nonostante tutto quello che ha fatto Dio continua ad amarlo.
E Lui sa che non può cambiare idea e non vuole cambiare idea e non vuole convertirsi; e sa che la sua grande felicità sarebbe solo nel convertirsi e non lo può, e non lo vuole, e non lo fa.
La logica illogica del rifiuto di Dio, che noi non riusciamo a capire, ma che sussiste.
Per assurdo, se Lucifero si convertisse Dio lo accoglierebbe nella gloria del suo Paradiso senza manco l'ombra di un dubbio, perché Dio nel suo cuore non ha mica cambiato la sua idea per Lucifero, Dio non accetta la presa di posizione di Lucifero e dice: Hai voluto fare così? Sei libero, vai.
Se per assurdo Lucifero dicesse: "Mea culpa, che cosa ho combinato?" Dio lo reintegrerebbe nello splendore della sua gloria, Lucifero, portatore di luce, era lui il portatore della luce nel mondo, ma ha rifiutato.
Tutto nel Padre è paterno, cioè protettivo, generoso, previdente e anche provvidente, e sono solo pochissime caratteristiche che giungono a noi da quello che vediamo che Gesù fa e dice, da come Gesù si rivolge al Padre davanti alla tomba di Lazzaro: "Padre, ti ringrazio, so che tu ascolti sempre la preghiera di tuo Figlio, ma perché sia manifesto al mondo intero che tu sei Dio Padre, che tu ami, io adesso dirò "Lazzaro vieni fuori"
E nel nome di Dio Lazzaro viene fuori, il nome di Dio è Gesù, Dio salva.
Molto probabile di sì, il nome stesso ne testimonia la sua essenza: lui non era la luce, Lucifero non è la luce, è colui che la porta.
Se l'uomo non avesse peccato, se gli angeli non avessero rifiutato Dio e l'uomo non avesse peccato, il Verbo si sarebbe fatto carne?
Sì, chi lo avrebbe introdotto? Forse non Gabriele, ma Lucifero.
Questa è una affermazione che faceva già parte della teologia dell'Asia Minore.
Questa teologia orientale, quindi molto indirizzata a valorizzare le persone della Trinità, ma nello stesso tempo l'unità nella Trinità, si affermava esattamente questo: che Gesù aveva sofferto la passione, ma era talmente unito al Padre che si poteva dire che il Padre aveva sofferto la Passione.
In realtà, in fondo c'è un'idea positiva in tutto questo, che è quella della comunione tra Padre, Figlio e Spirito Santo.
Quando sono venuti fuori i problemi? Quando questa assoluta comunione è diventata non più comunione, ma unità, cioè a dire: Gesù muore sulla croce, ma è il Padre che muore sulla croce, ed è lo Spirito che muore sulla croce, per cui questa linea di teologi venne considerata una linea dei Padri Passioni, cioè quelli che facevano patire la Passione del Padre dimenticando che in sostanza la Trinità è un unico Dio, una comunione di persone, ma le persone sono distinte.
Allora, a che titolo si può parlare della Passione del Padre? Come com-passione.
Vediamo se andando avanti nella riflessione, forse toccheremo anche quello, se no poi ne parleremo ancora.
Dunque, dicevamo che tutto nel Padre è paterno, cioè protettivo, generoso, previdente e anche provvidente: Dio provvede a tutte le tue necessità perché è tutto amore.
Per questo è anche impotente, o limitato, sembra una cosa assurda, però è vero, l'amore di Dio Padre è quasi, illogicamente, una forma di autolimitazione che Dio ha in se stesso, poiché ciò che di Dio è assoluto e infinito è l'amore, ma l'amore comporta anche una assoluta non possessione di sé.
Ci siamo? È un po' difficile, vero? L'amore comporta una assoluta non possessione di sé.
Allora, Dio è assoluto? Il suo amore è limitato o è assoluto? Assoluto.
Quindi se amare è non possedersi ma donarsi, allora la donazione che Dio ha in se stesso sarà piccola o totale?
Totale, quindi Dio in realtà si possiede? No, si dona.
Dio non possiede se stesso, Dio dona se stesso, e non può che essere così, perché Egli è tutto amore, cioè è tutto dono, niente per sé, tutto per gli altri.
Perché dire dono, quando uno dona qualche cosa, vuol dire che ha l'autorità, nel concetto di dono vuol dire che c'è ancora una scorta, invece nel "non possesso" io divento assoluto, se io non mi posseggo, allora io proprio non ho niente di me stesso, se io dono, che cosa dono di me stesso?
Un po' di tempo, un po' di denaro, un po' di energie, che ne so, un po' di vestiti, ecc.: io dono qualche cosa, ma il dono assoluto di sé è condensato nella parola "amore", che significa il "non possesso assoluto di sé" : io non mi posseggo.
È chiaro che qui entriamo poi in un discorso più ampio.
Ma l'amore per sua essenza, non è dono assoluto, totale? In Dio sì, in Dio non esiste questo concetto di dono, perché dire che Dio è amore significa dire che Dio non si possiede, vuol dire che Dio è totalmente dell'altro, infatti Dio Padre non si possiede, è totalmente di Dio Figlio, Dio Figlio non si possiede, è totalmente del Padre, e così viceversa per tutte e tre le persone della Trinità.
Ora, chiaramente noi per esprimerci usiamo delle categorie, per forza di cose noi abbiamo questo tipo di linguaggio, abbiamo queste forme mentali che ci vengono mutuate dalla filosofia che sta alla nostra storia e noi dobbiamo cercare di esemplificare e di mediare le immagini bibliche con il linguaggio con cui ci esprimiamo.
L'italiano è una lingua fortemente filosofica, quindi è chiaro che noi facciamo fatica a trovare dei termini che mi esprimano questo assoluto dono di sé, per far capire che cos'è l'amore, perché l'amore non è semplicemente un assoluto dono di sé, è anche di più.
È quel "di più" che noi non siamo capaci di descrivere e che fa parte del "vissuto" persona, della relazione di quel tutto che appaga te e che ti rende capace di appagare l'altro.
Ma qui sono categorie mentali che noi non abbiamo i termini, le parole, i concetti che possono esprimerli, dobbiamo parlare anche qui per immagini, oppure per grandi giri di parole.
E lo Spirito Santo è anch'esso non di se stesso, è lo spirito del Figlio, è l'idea del Padre.
Questo è vero, però sta di fatto che Dio, l'umanità l'ha creata, quindi questo vuol dire che, se in Dio, prima dell'esistenza degli angeli, la donazione era assoluta, totale e perfetta , dopo la creazione degli angeli e con la creazione degli uomini questa assoluta creazione totale e perfetta coinvolge anche degli esseri che non sono in grado, per la loro stessa natura, di dare una donazione così totale come quella che c'è in Dio stesso, però possono ricevere questa donazione e questa donazione totale ricevuta si chiama grazia.
Gli angeli vivono la grazia di Dio? Eh sì che la vivono, come non lo sappiamo, perché fa parte della rivelazione che Dio fa di se stesso a loro.
Quando andremo in paradiso noi chiederemo ai nostri angeli: "come vivete la grazia di Dio voi?" e loro ce lo spiegheranno, se Dio vorrà che noi lo sappiamo.
Si spera di sì.
Come? In un modo diverso da come la vivono gli angeli, però pur sempre è l'inabitazione dello Spirito Santo dentro di noi che ci fa, ci rende capaci di vivere la carità, cioè l'amore, cioè la donazione totale e completa.
Certo che qui entriamo proprio, come dire, in meditazioni e in contemplazioni che mi piacerebbe già essere in paradiso, a questo punto.
Però cerchiamo di concludere perché io ho solo più dieci minuti e devo andare un po' avanti, se non vi dispiace.
Allora, Dio, per l'amore che egli nutre per l'uomo, è capace di autolimitarsi, secondo il nostro punto di vista, evidentemente, perché il fatto che egli provi qualche cosa noi lo consideriamo un limite, per Dio invece è un pregio, perché egli dice: io sono così nella perfezione che in me nulla manca, neanche l'esperienza della sofferenza.
Nulla manca, c'è anche quella. D'altro canto noi possiamo dire: Meno male che il nostro Dio è un essere beato atarassico, perché almeno lui mi capisce quando soffro, perché Lui ha questa esperienza di sofferenza.
Quindi questo aumenta ancora di più la comunione che abbiamo, possiamo avere e coltivare con Lui.
Neanche quando l'uomo merita il castigo egli cede alla tentazione di farsi giudice.
Sentite cosa dice: Come potrei abbandonarti Efraim, come consegnarti ad altri, Israele?
Il mio cuore si commuove dentro di me, il mio intimo, che letteralmente nella lingua ebraica è "viscere", le mie viscere fremono di compassione, non darò sfogo alla mia ira ( Os 11,8.9 ).
Dunque Dio vede la necessità del castigo, ma si commuove, anche se dovrebbe dare sfogo alla sua ira egli si commuove, perché patisce con, compatisce.
Anche quando Dio deve correggere con il castigo soffre: è contro il suo desiderio che egli umilia e affligge i suoi figli ( Lam 3,33 ).
Il nostro Dio non è impassibile e atarassico: ha tutto ciò che abbiamo noi, anzi noi abbiamo tutto ciò che ha Lui, quindi egli ha sentimenti.
Abbiamo insistito per molto tempo dicendo che l'amore non è un sentimento, però ho sempre aggiunto: è anche un sentimento, vi ricordate?
Egli è compassione, quindi vuol dire che è colui che prova qualche cosa, prova delle emozioni e la prova è per il fatto che egli è con qualcuno, Egli è l'Emmanuel, il Dio con noi, e l'essere "con" comporta provare sentimenti.
Dio Padre, Figlio e Spirito Santo sono "con", il Padre con il Figlio e con lo Spirito Santo, sono un "con"?
Quindi vuol dire che gli piace essere un "con"'? Certo!
Quindi la Trinità stessa nella sua beatitudine, prima ancora che esistessero gli angeli, provava gioia provava piacere nello stare con, quindi prima ancora che esistessero i nostri sentimenti, anzi i nostri sentimenti esistono perché Dio ha sentimenti, perché Dio è sentimenti, non è solo.
Egli patisce con, cioè prova qualche cosa proprio perché egli per primo ci ha amati, cioè prova il bene per noi, lo sogna, lo desidera e lo vorrebbe.
Questa è la gioia di Dio. Dio guardando noi gioisce perché già pensa alla nostra felicità quando saremo con Lui, come quando ti telefona una persona e ti dice, il tuo amico migliore: arriverò alla stazione il giorno tal dei tali a quell'ora lì.
Tu già sei nella gioia pazza immaginando quando incontri quella persona, e ancora non è successo niente.
Dio prova gioia nell'immaginare la nostra gioia nello stare con lui. Questo ingrandisce la gioia del Signore.
L'anima mia magnifica il Signore: la nostra gioia renderà la gioia di Dio più grande di quella che era al principio, che è ora e che sarà per sempre, per tutti i secoli dei secoli.
Quindi ricordiamoci bene che la storia della salvezza non è una storia atarassica dal punto di vista di Dio, cioè Dio è così e basta, anche Dio nella sua storia con noi viene magnificato: qui entriamo proprio nelle contemplazioni più alte, però è vero.
Maria dice così: "Magnificat anima mea Dominum" e fa parte del bagaglio della Chiesa, cioè il Signore viene ingrandito per ciò che egli ha fatto nella mia anima, perché è il Santo ( fa girare la testa tutto questo ).
Quindi egli sente anche il dolore, perché è il Dio con noi.
Amare significa dare e dare significa "non avere", non avere per sé, cioè essere aperti, indifesi, dipendere da colui a cui hai dato tutto te stesso.
Ecco qual è l'amore che Dio ha: il dare tutto te stesso all'altro, e in questo modo tu dipendi dall'altro: tu non sei più tu, non ti possiedi più.
Egli non è il padre che fa soffrire il figlio, ma il padre che soffre vedendo soffrire il figlio.
È la stessa esperienza di Abramo, che trovate in Gen 22,16, alcuni commentatori su questo brano dicono che Abramo era veramente distrutto, ma che il momento più forte della tentazione che egli provò fu quando il figlio Isacco disse: "Padre, dov'è l'agnello per l'olocausto?"
In quel momento Abramo avrebbe voluto che succedesse di tutto.
Egli avrebbe voluto dire tutto meno che dire:"Sei tu".
Avrebbe voluto dire: "Sarò io", ma questa non era la volontà di Dio, e non poteva mentire né a se stesso né a Dio.
Quello fu il momento più forte della tentazione di Abramo, quando tutto avrebbe voluto fare, persino morire lui all'istante, cadere giù da una rupe, meno di dover rivelare l'atroce sofferenza che egli provava nel sapere che il figlio dipendeva totalmente da lui e che lui in quel momento dipendeva totalmente da Dio Padre.
C'è un parallelismo ovviamente, quando Gesù si trova nell'orto degli Ulivi.
È il momento in cui la paura del Figlio giunge al parossismo e la sofferenza del Padre non è mai stata grande come in quel momento, quando Gesù nell'Orto degli Ulivi grida: "Abbà, Padre, se puoi allontana da me questo calice, tuttavia io sono in comunione con te, ciò che tu vuoi, desideri e sogni per l'umanità è esattamente ciò che io voglio, desidero, sogno per l'umanità, quindi sia fatto ciò che è giusto".
E la giustizia che cos'era? Era riportare a Dio tutto ciò che si era allontanato da Dio, ma allontanandosi da Dio si era aperta la voragine della morte, allora bisognava che ci fosse qualcuno che attraversasse la voragine della morte e che avesse il potere di distruggere la morte.
L'uomo non aveva questo potere, ma in Cristo l'uomo ha avuto questo potere, perché Gesù è l'unico mediatore vero Dio e vero uomo, e lui dunque attraversò la voragine della morte, la voragine della sofferenza infinita perché in questo modo il sogno di Dio: tutto Dio, il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo, che era il sogno della comunione, perché in Dio c'è la comunione, si realizzava.
Gli uomini erano fuggiti ed ecco che con il battesimo in Gesù, tutti gli uomini in Gesù sono riportati alla comunione con Dio.
Questa voragine non li tocca più: morti con Cristo con Lui risorti.
Anche quando Dio è in collera, essa si manifesta sempre come suo amore.
Egli disprezza il peccato, ma non il peccatore.
Ez 18,23: "Forse che io ho piacere della morte del malvagio?
Dice il Signore, ma non piuttosto che egli desista dalla sua condotta e viva"
Certo che il tema della sofferenza di Dio è un tema che può sembrare un po' estraneo al nostro modo comune di pensare, però tutto ciò che Gesù compì in parole e opere ci manifesta questa sua reazione, questa sua non estraneità a tutta la nostra vita.
In questo anno chiediamo davvero la grazia al Signore di ricuperare questo tipo di comunione con il Padre.
Se noi non sentiamo l'impulso di ricuperare la comunione con il Padre, incarnare il Figlio?
Come potremo? In realtà noi non saremo figli, ma solo sudditi.
Allora la grazia di questo Giubileo è una grazia fondamentale: un anno dedicato alla signoria di Gesù, un anno dedicato alla adorazione dello Spirito, un anno dedicato alla figura del Padre.
Dal Padre ogni paternità nei cieli e sulla terra prende nome, nel Figlio Gesù ogni figliolanza nei cieli e sulla terra prende nome, perché la relazione che c'è è amore, non sapienza, non strutture, ma amore, donazione.
Chiediamo al Padre il dono che questo Spirito ricostruisca dentro di noi la vera immagine del Padre che Gesù ci ha portato e che ha avuto il suo punto culminante nella Passione, Morte e Resurrezione, che sono la manifestazione di quanto Dio ha amato il mondo, dimostrando che Lui non possiede nulla di se stesso, neanche il Figlio.
Sia lodato Gesù Cristo.