Ritiro del 9/1/2000
1 - Una concreta risposta alle sollecitazioni del Papa
2 - Cosa siamo decisi a cambiare
3 - Ciò che Dio si aspetta da noi
4 - Amore e sofferenza non si disgiungono mai
5 - Capacità di uscire da se stessi
6 - Come si concretizza questo "amare Dio"?
7 - Ci deve sempre essere un'idea-guida
8 - Il senso di colpa non perdona
9 - Ciò che la natura non può fare, la grazia perfeziona
10 - Dio desidera ci amiamo tra di noi
11 - Amarsi gli uni gli altri significa
12 - Come io vi ho amati
13 - Come lo sta amando Dio?
14 - Valori umani
15 - Sulla pratica noi saremo giudicati
16 - Possibilità che il tuo amore non sia capito
17 - Rivelazioni private di vario genere
18 - Amare significa essere capace a rinunciare
19 - "Io sono la Verità, io sono la Via, io sono la Vita"
20 - Andare incontro a tante domande
Attraverso l'esperienza di salvezza, lo zelo dell'annuncio e la vita vissuta in coerenza con il messaggio dell'annuncio avendo come meta pasquale una concreta risposta alle sollecitazioni del Papa per:
- la riconciliazione con Dio
- la riconciliazione con noi stessi
- la riconciliazione con il nostro prossimo, a partire dai più prossimi
Torniamo ad incontrarci alcune volte in questi itinerari di vita spirituale, nei quali dobbiamo approfondire la profondità del nostro cammino.
Siete tutti d'accordo? Voi mi direte: il fatto che sono qui dovrebbe già testimoniarlo.
Non è affatto vero perché noi possiamo benissimo avere una presenza fisica in un luogo ma noi essere in tutt'altro luogo, avere una accettazione esteriore, ma che poi dopo non è corroborata da degli atteggiamenti che testimoniano il fatto che si sta progredendo in un cammino spirituale.
Dunque, credo che all'inizio di quest'anno giubilare sia essenziale presentarsi di fronte al Signore e domandarsi che cosa veramente siamo decisi a cambiare nella nostra esistenza.
Forse potremmo essere convinti che non c'è assolutamente nulla da cambiare e allora forse il Giubileo e forse la redenzione non sono venuti per noi, perché se noi siamo già giusti, se noi non abbiamo bisogno di cambiare, se noi non ci domandiamo se siamo realmente in comunione con Dio, è evidente che noi non facciamo parte della natura umana.
Noi facciamo parte di un'altra, ipotetica natura umana, che non è quella che Gesù Cristo ha redento.
Nella prima parte di questa riflessione, come è il tema che è qui presentato, il mistero trinitario, del quale mi pare abbiate già parlato stamattina, mentre questa contemplazione del mistero della trinità deve avere per noi un risvolto, direi, molto concreto, prima di tutto a livello personale individuale poi deve essere per forza un agire nei confronti del nostro prossimo.
Il nostro primo prossimo sono coloro che vivono accanto a noi, ma siamo anche noi stessi.
Troviamo che ci sono molte luci sul mistero trinitario che hanno una diretta relazione con ciò che Dio si aspetta da noi.
Io propongo che ognuno di noi non dimentichi mai di portarsi la sua Bibbia: sono bastati due mesi o tre in cui non ci siamo incontrati perché ci fossi solo io a portare la Bibbia qui e questo non mi piace assolutamente, vi ricordo che non possiamo andare a un Ritiro spirituale senza portarci dietro la Parola di Dio.
Dunque, nel discorso sacerdotale, dal cap.13 in poi, ci sono alcune indicazioni che sono molto importanti.
Al versetto 24 troviamo il comandamento di Dio, voi sapete che ogni volta che si parla di comandamento noi abbiamo una indicazione, è come se ci venisse detto ciò che Dio si aspetta da noi: comandamento uguale desiderio di Dio, ciò che Dio desidera, ciò che Dio si aspetta.
Gv 13,34 "Vi do un comandamento nuovo, che vi amiate gli uni gli altri come io vi ho amato, così amatevi anche voi gli uni gli altri, da questo tutti sapranno che siete miei discepoli se avrete amore gli uni per gli altri.
Quante volte nei nostri incontri precedenti abbiamo parlato sul significato della parola "amore", lo richiamo in una maniera molto sintetica : "amare" vuol dire "volere il bene dell'altro".
In questo volere il bene dell'altro è contenuta anche la disponibilità alla privazione di se stessi, non dico volutamente la parola "sacrificio" perché la parola sacrificio ha in sé anche un valore liturgico sacramentale che è dato dall'etimologia del termine, cioè rendere qualche cosa sacro, per sacrificio intendiamo che qualcosa venga reso sacro dalla grazia del Signore.
Nella parola amore è contenuto anche, nel voler amare, questa disposizione, questa disponibilità alla rinuncia di se stessi, che può portare anche alla accettazione della sofferenza.
Amare il prossimo significa essere disponibili a soffrire per il prossimo, non vuol dire che amore sia uguale a sofferenza, però sta di fatto che amore e sofferenza non si disgiungono mai: uno richiama l'altro.
Quando questo avviene? Quando l'amore viene rifiutato.
E questo è ancora più evidente quando questo avviene in una comunità terrestre, quando in una famiglia i coniugi non si amano oppure l'amore reciproco viene rifiutato dall'uno o dall'altro o da entrambi per svariati motivi, per svariate ragioni, ecco che si creano delle catene di sofferenza, si creano delle vere e proprie lacerazioni.
Vi è sofferenza grave quando una persona non ama se stessa, quando un individuo non è capace di "amarsi", rifiuta di amare se stesso, provoca in se stesso la lacerazione che potremmo definire quasi schizofrenica, perché da una parte uno desidera avere questo spirito di comprensione, di dolcezza, di protezione, dall'altra parte lo rifiuta.
Nei meandri dell'inconscio avviene questo: poi dopo nel conscio si manifestano cose strane: complessi di inferiorità, aggressività, ricerca del brutto, del turpe, del volgare, del lugubre, oppure, quando le turbe sono ancora peggiori, si giungere, oltre che alla depressione clinica, si giunge alla anoressia, oppure alla bulimia, a situazioni di questo genere, che sono un chiaro sintomo, a una chiara evidenza che la persona non è capace di amarsi.
Solo un amore immaturo, un amore che non è stato compreso o un cammino umano che non è giunto alla sua pienezza confonde l'amore con la piacevolezza dello stare insieme, anche dello stare insieme a se stesso, ci insegnano gli psicologi.
Amore invece è questa capacità di uscire da se stessi, fino al punto di far vedere, di valorizzare più l'altro che non te stesso.
Quando noi, spesse volte, qualche volta abusando un po', diciamo: "dobbiamo amare Dio e poi amare il prossimo, diciamo una grandissima verità, ma amare Dio e amare il prossimo, concretamente, che cosa significa?
Alla luce di questa brevissima riflessione che abbiamo appena avuto, allora significa avere una maturità che ci conduca all'uscire da te stesso e dalle tue ragioni per incontrare l'altro, nella fattispecie l'altro è Dio.
Cosa significa dunque amare Dio? Significa volere il bene di Dio?
In parole povere a grandi linee, noi ci siamo espressi così per intendere cos'è l'amore, però è anche altrettanto evidente che noi non possiamo desiderare un bene che Dio non abbia, perché Dio 'è' il bene.
Quando siete stanchi o quando le idee si ingarbugliano, fermatevi, perché se no è inutile, siamo d'accordo?
Nessuno di noi può desiderare per Dio un bene che Lui non abbia, perché Dio "è" il bene.
E allora come si concretizza questo "amare Dio"?, cioè desiderare, volere il bene di Dio.
In primo luogo significa la disponibilità ad uscire da se stessi.
Questo uscire da se stessi è un itinerario sì spirituale, ma prima deve essere un itinerario umano: questo itinerario umano di maturazione, di comprensione di sé, di inserimento nel mondo, di inserimento in una comunità, quella umana, e quella sociale, che diviene poi la tua comunità di fede.
La comunità di fede è composta di esseri umani, dunque è una società, una società di fede.
Se una persona non ha curato il proprio progredire umano, questa sua disponibilità all'accettazione di sé e dell'altro, così come l'altro è, non sarà capace di amare e quando non si è capaci di amare, di solito, si aggredisce.
La persona che non ama se stessa aggredisce se stessa, vuole fare in modo che ci sia un'idea-guida sotto cui sottostare.
Ci deve sempre essere un'idea-guida, una autorità che indirizza l'esistenza di ogni individuo, ora, se una persona nella propria maturità ha avuto un trauma, uno shock, per cui questa persona non è capace di amarsi, forse perché non è capace di perdonarsi, allora che cosa accade? che questa persona aggredirà se stessa, magari con il senso di colpa.
Una donna che abbia commesso un aborto si sente accusata da se stessa, si sente accusata dalla vita che era nascente, si sente accusata dalla sua comunità di fede, magari nessuno sa niente, ma lei sente tutti questi imperativi categorici, dunque lei non si ama più, comincia a disprezzarsi e questo disprezzo, che prima cova latente nell'inconscio, diventa poi un modo di reagire nei confronti di se stessa, un modo aggressivo.
Questa aggressività si mostra in vari modi, in vari livelli: una aggressività nel proprio lavoro, una aggressività nei rapporti con gli altri, una aggressività con se stessi.
Quindi sottoporsi a grandi fatiche, a grandi stress, a grandi lavori, a grandi allenamenti, a cose esagerate per dominare quella parte di te stesso che tu non hai dominato quella volta.
Tu aggredisci, questa aggressione può anche essere una aggressione che si ripercuote contro di te, è una aggressione che ti colpevolizza: tu aggredisci quella parte di te che ha ceduto a questo delitto e quindi entri nel senso di colpa, vuoi sfuggire dal senso di colpa, allora ti getti nel volontariato, non è una riparazione, è un cercare di fuggire dal senso di colpa.
Ma il senso di colpa non perdona, il senso di colpa è qualcosa che tu ti porti fino al termine della tua esistenza su questa terra, se tu non hai una maturazione umana e spirituale che ti permette di accettare te stesso, i tuoi limiti e accettare gli altri.
Se tu non hai questa disposizione a soffrire, a limitare te stesso, a non divinizzare te stesso, a non sentirti al centro della attenzione, in senso lato, è evidente, che tu non sei capace né di amare te stessa, né tanto meno di amare gli altri.
Qualcuno potrebbe dirmi: ma allora come possiamo fare, se uno non ha questa disposizione non ce l'ha, in fondo anche don Abbondio diceva: se uno non ha il coraggio non se lo può mica dare, è vero?
Però per il cammino cristiano non è vero tutto questo, perché se uno non ha una cosa se la deve dare, e la può ricevere.
Perché è vero che tu magari, come natura, non potrai avere tutto quello che desideri per il tuo cammino spirituale, però è anche vero che il cammino spirituale che ognuno di noi compie non è un cammino individuale solitario, è un cammino comunitario, perché siamo inseriti nella chiesa, ed è un cammino arricchito dalla potenza della grazia.
9 - Ciò che la natura non può fare, la grazia perfeziona
Dunque, non ho fede, quindi non posso chiedere questo al Signore. Se tu non hai fede, lo devi almeno chiedere.
Questo accettare il tuo limite ti permette di uscire fuori dal tuo limite, se tu non accetti di avere quel limite, neanche cercherai di venirne fuori, perché secondo te quel limite non esiste.
Salvo poi che nel tuo inconscio tu reagisca in un modo che testimonia platealmente che tu sei proprio vittima di quel limite.
In questo versetto di Giovanni ( Gv 13,34 ) questo comandamento, diciamo meglio, questo desiderio che Dio esprime con il cuore aperto perché è il suo testamento spirituale prima di lasciare questo mondo, che ha una bella stratificazione, perché dice: "Vi do questo desiderio nuovo che vi amiate gli uni gli altri".
Dunque Dio desidera che ognuno di noi ami il suo prossimo, che ci amiamo tra di noi.
Qui sta parlando alla comunità degli apostoli e quindi sta parlando a persone che hanno condiviso uno stesso ideale e che hanno ricevuto uno stesso insegnamento, e che hanno fatto delle stesse esperienze, perché hanno vissuto insieme al Maestro per molto tempo.
A questi Gesù dice: "Voi che siete comunità, da voi io mi aspetto questo, che vi amiate".
Amarsi ha questa duplice valenza: desiderare la felicità dell'altro, ma essere disposti ad uscire da se stessi, accettare l'altro, il che può anche comportare sofferenza.
Io credo che come primo punto di riflessione, visto che questa seconda parte del Ritiro è tutta dedicata alla misericordia, alla riconciliazione, in questi prossimi incontri noi cercheremo sempre di riflettere su questo valore infinito della riconciliazione che ci è posta dinanzi agli occhi proprio grazie al Giubileo, ma che non è estranea da una vera vita cristiana e da un reale cammino cristiano bene impostato.
Dunque, queste due valenze: capacità di accettare l'altro: è un punto da riflettere.
Nelle vostre condivisioni, che possono essere quelle che ci sono prima dell'incontro finale, oppure in altre occasioni, io non vedrei mica male che ci fosse l'opportunità di riflettere.
Il comandamento del Signore è "amatevi gli uni gli altri", amarsi gli uni gli altri significa:
1) desiderare la felicità dell'altro,
2) essere disposto a cedere, a soffrire.
Io, personalmente, questa è una domanda che ognuno di noi si deve porre concretamente, perché, è vero, qui c'è la comunità dei Catechisti del SS. Crocifisso, però poi ognuno fa parte anche di tante altre comunità: la comunità familiare, la comunità parrocchiale, la comunità.che ne so, del Gruppo liturgico, la comunità del Consiglio comunale, insomma, tutto questo fa parte della nostra esistenza e noi non possiamo dire: no, comunità è solo l'Unione Catechisti, comunità è solo la mia famiglia, comunità è solo il gruppo dei chierichetti, no, perché dovunque tu sei c'è comunità.
Ma tutti gli altri sono atei, framassoni, tutto quello che vuoi, che comunità vuoi che facciano?
Non c'entrano gli altri, sei tu che, essendo comunità di Cristo, dovunque tu vai, tu continui ad essere comunità.
Forse il Signore a loro non chiederà con tanta esplicità: "Ma tu, hai amato il tuo prossimo? Hai sofferto per il tuo prossimo?
A loro forse non lo chiederà, ma lo chiederà a te perché tu sei cristiano, sei battezzato, fai parte di un cammino di crescita spirituale, fai parte di una comunità, di un Istituto Secolare, sei inserito nella tua comunità parrocchiale, vivi un sacramento particolare della tua famiglia.
Dunque ci sono molte motivazioni perché noi abbiamo ricevuto molto, tutte motivazioni per cui Dio dice: allora, come la mettiamo con questo comandamento?
Vi amate gli uni gli altri? Ma poi specifica ancora, come dobbiamo amarci gli uni gli altri? Come io vi ho amati.
E come ha amato lui? Ha amato in un modo totalizzante, ha desiderato la nostra felicità in modo totale, ha desiderato la nostra felicità con il desiderio che ha Dio, non con il desiderio che ha l'uomo, mi capite che c'è una grande differenza?
E Lui dice più avanti: "Tutto quello che io vi dico ve lo dico in comunione con il Padre, non vi dico niente che Lui non mi abbia detto, vi dico solo quello che Lui mi dice", quindi vuol dire che l'insegnamento che Lui ci dà non è un insegnamento umano, è un insegnamento divino, è il pensiero di Dio che viene trasportato verso gli uomini.
Come ha amato dunque Gesù? ha amato con tutto il suo cuore, con tutta la sua mente, con tutte le sue forze, il che vuol dire con la persona integrale: spirito, mente, corpo.
Vi ricordate il famoso schema dell'antropologia cristiana? l'abbiamo visto in tutte le salse, e continueremo a guardarlo quello schema, perché fin che noi non abbiamo chiaro com'è l'essere umano noi non capiremo come si ama.
Tu hai amato lo spirito dei tuoi fratelli, delle tue sorelle come lo sta amando Dio?
Tu hai amato la mente, l'intelligenza, razionalità, memoria dei tuoi fratelli e delle tue sorelle come la sta amando Dio?
Se tu hai desiderato il meglio, tu hai amato il corpo della persona che ti sta accanto, quindi hai vissuto la gentilezza, la delicatezza e tutto quello che fa parte di un linguaggio corporeo che però è testimonianza di una forte vita spirituale, come lo sta amando il Signore
Quindi di tutto questo fa parte: l'educazione, la gentilezza, la cortesia, tutte sembrano delle cose del mondo.
Non è vero, non è vero perché è un linguaggio mediante il quale tu vai incontro al tuo prossimo, è il tuo biglietto da visita.
Il tuo comportamento è ciò che permette che il tuo messaggio sia reso accettabile o no.
Ma questo biglietto da visita non può essere fatto per gli estranei, dev'essere vissuto anche all'interno della tua comunità.
Delicatezza, cortesia, gentilezza, stima, sorriso: tutte cose che sono dei valori umani che noi cristiani dovremmo avere per scontati, cioè, non se ne parla neanche di tutte queste cose, perché sono talmente ovvie che non se ne dovrebbe manco parlare.
Talvolta però ci si rende conto che bisogna parlare anche di queste cose, mica solo con voi.
Me ne rendo conto, perché predicando a vari istituti religiosi le situazioni sono simili; per di più là, essendo persone che vivono in comunità sempre, per tutta la vita, questi discorsi uno li darebbe ancora più per scontati, e invece sono ancora meno scontati.
Dunque non dimenticate di valorizzare anche questo, dove questo aspetto del dialogo umano non dev'essere un aspetto ipocrita, cioè essere affettati, cioè a dire: sono un esterno.
Se è una cortesia solo esteriore, allora devi fermarti e devi cominciare a domandarti perché: forse non stai amando, è una finta, è una recita, ma deve essere invece qualche cosa che parte dalla tua unione con il Cristo il tuo saper trattare con il prossimo.
Mi seguite? Mi guardate in un modo strano, perché sembra che dica delle cose da ufo, ma mi sembrano abbastanza ovvie, no?
Non sono cose molto difficili … Stavo pensando che in teoria tutto va bene, ma in pratica ….
Ed è invece proprio sulla pratica che a un certo momento si vede se noi ci crediamo davvero, ed è sulla pratica che noi saremo giudicati.
Vi ricordate sicuramente quello che diceva Don Bosco ai suoi ragazzi: "La via che conduce all'inferno è lastricata di buone intenzioni.
Ora, la buona intenzione non è sufficiente, se dopo non c'è anche una buona realizzazione, una buona concretizzazione.
Noi possiamo riflettere su queste parole del Signore per due mesi di seguito, ma se poi dopo noi non siamo disposti a soffrire, perché queste cose si realizzino? allora qui c'è un serio problema prima di tutto umano, vuol dire che una persona non è maturata, vuol dire che una persona è ancora a livello pre-adolescenziale.
Queste cose bisogna che ce le diciamo perché essere adulti nella fede non vuol mica solo dire tante preghiere o fare dei discorsi dotti, la maturità per fortuna non si giudica dalla sapienza, ma si giudica dai fatti.
È solo il preadolescente che tenta in tutti i modi di fuggire le sofferenze invece di cercare tutte le gratificazioni.
Ma amare non è questo, amare in sé comporta anche la possibilità che il tuo amore non sia accettato, che non sia capito, che non sia vissuto, questo vuol dire che comporta la possibilità che deriva dalla sofferenza.
Ora, quando questo accade nella vita spirituale di una persona si è in grande pericolo, perché, dicono i maestri di spirito, quando succede questo l'anima si trova ad un bivio, un bivio le cui due strade sembrano apparentemente tutte e due buone.
E cioè a dire: Dio sa le mie intenzioni, Dio conosce le mie vere intenzioni, nessuno mi capisce, quindi io lascio fuori tutti gli altri, li tratto bene, ma non li faccio parte di queste cose, perché tanto non mi capiscono.
Mi rifugio interiormente, intimamente, intimisticamente con il mio Signore, che è l'unico che mi capisce, tutti gli altri non mi capiscono, quindi io gli altri li lascio perdere.
Sì, faccio dei grandi sorrisi, poi lascio che dicano quello che vogliono, io invece continuo a fare quello che mi sento.
Apparentemente sembra una buona strada, tu dici, ecco io non posso mica imporre il mio modo di essere agli altri.
Non mi capiscono, poverini, cosa ci devo fare? sono dei mentecatti, non li voglio scandalizzare, non li voglio appesantire con i miei modi di pensare, quindi li lascio da parte.
L'altra via invece, che è quella buona, che è quella vera, è la via che è difficile perché è la via della rinuncia; per cui tu vedi il bene che potresti fare, ma l'amore, che è l'unica cosa che ci deve guidare, che è l'amore di Cristo, fa in modo che tu rinunci alla tua idea, al tuo progetto, alla tua concretizzazione solo, perché questo smentirebbe le parole del Signore, non vi amereste gli uni gli altri.
Voi lo sapete meglio di me, quando ci sono delle rivelazioni private di vario genere, uno dei criteri di discernimento per vedere se queste rivelazioni private sono vere o non sono vere è per esempio questo: se questa persona che appare, che sia Nostro Signore, che siano altri, si sottomette all'autorità della Chiesa.
Se non viene da Dio colui che appare, sicuramente dirà: ma no, non hanno capito, ma lascia perdere.
Se invece è un'apparizione che viene da Dio, si sottometterà a Dio, si sottometterà all'autorità della Chiesa.
Adesso non ricordo bene se è ciò che avvenne per esempio a Suor Faustina Kovalska per cui è il Signore che le appariva, disse a lei più volte di essere ubbidiente al direttore spirituale.
E così tanti altri mistici, che poi furono riconosciuti come veri mistici nella storia della Chiesa e quando ebbero queste manifestazioni l'autorità della Chiesa ha voluto delle prove.
E la prova era proprio questa: Dio stesso si sottomette, per amare è capace di rinunciare a se stesso.
Ora mi direte: ma perché devo rinunciare? Allora il cristianesimo, oppure l'amore è una rinuncia?
Che cosa c'è di bello in tutto questo? che cos'è che rende felice in tutto questo?
Tu devi capire, noi tutti dobbiamo capire che noi non stiamo seguendo l'amore per l'amore, ma noi si presume, noi tutti, dovremmo aver fatto un incontro personale con Colui che si propone a noi.
Chi è Colui che si propone a noi? È Gesù, Ci siete? È Gesù.
Si prevede, si presume che noi tutti abbiamo fatto questo incontro.
Questo incontro è sconvolgente, questo incontro ti mette in crisi, è un incontro che ti converte, è la verità che viene di fronte ai tuoi occhi.
Quando Gesù definisce se stesso non dice "io sono l'amore" dice "Io sono la via, la verità, la vita" che poi è come se noi sentissimo aggiungersi: amami.
Lui non dice "io sono "l'amore" perché c'è un'altra persona della Trinità che si definisce "amore", che non è il Verbo.
Il Verbo di se stesso dice : "Io sono la Verità, io sono la Via, io sono la Vita".
Quando sulla tua strada di Damasco ti appare Gesù, viene addosso a te un diretto, un treno diretto che è quello della verità ed è uno shock.
Di fronte a questa verità allora tu ravvedi te stesso, conosci te stesso, capisci te stesso perché Lui è la verità, Lui è l'uomo come dovrebbe essere ogni uomo, è l'uomo vero e noi invece siamo l'uomo finto.
Ma non siamo così pessimisti, io direi: siamo l'uomo che sta cercando di diventare ogni giorno sempre più vero.
Quando tu hai fatto questo incontro con l'uomo vero, Gesù il Cristo, allora questo incontro qui è un incontro che ti pone molte domande.
Domande su te stesso, domande su che cosa tu fai in questo mondo, cioè per quale ragione tu esisti, domande che ti mettono in relazione con il tuo prossimo, domande che ti mettono in relazione con il tuo futuro.
Sono tutte domande: incontrare Cristo significa andare incontro a tante domande.
Non dimenticate mai che cosa facevano gli apostoli e i discepoli quando Gesù disse: "Chi non mangia la mia carne, chi non beve il mio sangue non avrà parte con me nel Regno". Tutti scandalizzati.
Praticamente questa è una verità che è stata portata di fronte agli occhi di questi qui: un faro, un sole che li ha abbagliati tutti, però è la verità.
Gesù vide che essi erano traumatizzati: "Cosa volete fare, volete andarvene anche voi?"
E Pietro qui parla non più della verità, tanto è vero che Gesù dopo lo elogia, qui parla il cuore di Pietro, che si era già riempito di amore, perché il Cristo lo aveva già incontrato prima.
Parla l'amore che è in Pietro e dice: "Signore, è vero, la tua verità è così forte e così sconvolgente che noi restiamo tutti spiazzati.
Non sappiamo più che cosa pensare, che cosa ragionare, che cosa capire, chi siamo, dove andiamo, da dove veniamo, che cosa facciamo qui.
Perché la tua verità è talmente vera e talmente sconvolgente che noi che cosa ci facciamo qui?
Però Signore, da chi andremo? Solo tu hai parole di vita eterna."
La verità, non è detto che tu debba comprenderla, recintarla e tenertela stretta, la puoi anche contemplare, senza presumere di contenerla tutta, contemplarla puoi, però accettare questa verità significa uscire da te stesso.
Quando tu cominci ad accettare la verità, allora cominci a cambiare te stesso.