31 Gennaio 1968
Diletti Figli e Figlie!
Siamo obbligati a ripeterci; seguiamo però un filo ideale; esso percorre una linea che può sembrare monotona, anche se procede avanti.
Consentite infatti che ancora una volta Noi ritorniamo sopra l'affermazione di principio, canonizzata dal Concilio, secondo la quale ogni cristiano deve essere apostolo; ogni fedele deve essere membro attivo della Chiesa; ogni laico cattolico è investito del diritto-dovere di operare per la testimonianza e per la dilatazione del regno di Dio.
Nessuno può oggi contestare questo criterio di vita cristiana.
Proprio nel momento storico in cui il sentimento religioso si affievolisce e si spegne in molti strati della popolazione; e la secolarizzazione, il laicismo, la negazione di Dio sembrano essere acquisiti, senza istanza ulteriore e superiore, nella mentalità moderna, la Chiesa non solo si presenta al mondo nella pienezza della sua coscienza religiosa e nel fervore del suo rinnovamento di fede religiosa, di autenticità evangelica, di strutturazione gerarchica e comunitaria, ma esige altresì che ciascuno dei suoi figli le sia unito con una forma piena di nuova fedeltà, quella dell'irradiazione apostolica.
Potrebbe sembrare una reazione paradossale, quasi illusoria o temeraria, questa mobilitazione generale alla milizia cristiana, assunta in forma ufficiale dalla Chiesa conciliare; ma la realtà è davvero questa: la Chiesa, per usare l'espressione autorevole del Card. Suenens, scolpita in un suo libro di poco anteriore al Concilio, la Chiesa si è messa « in stato di missione ».
Così è, per chi interpreta correttamente le profonde esigenze della vita cristiana; così è, per chi osserva l'animazione apostolica che ha percorse le membra della Chiesa da oltre un secolo a questa parte; così è, chi accetta la voce del Concilio, come epilogo della esperienza spirituale e della storia vissuta della Chiesa nel tempo nostro, e come inizio d'un nuovo periodo spirituale e storico del cattolicesimo per il prossimo secolo.
Così è, per chi osserva i segni dei tempi e ascolta « ciò che lo Spirito dice alle Chiese » ( Ap 2,6 ).
Ma a questo punto due domande s'impongono.
La prima, a cui ciascuno risponderà nel silenzio della propria coscienza, è questa: quale grado di persuasione personale ha per noi questa dottrina teorico-pratica nella realtà concreta della nostra vita?
Cioè: come effettivamente rispondiamo alla vocazione all'apostolato, che oggi la Chiesa intima ad ogni suo figlio, anche ad ogni laico che voglia esserle fedele?
Ed ecco la seconda domanda: quali sono le radici interiori dell'apostolato?
È una domanda antica, ma sempre d'attualità.
L'apostolato esige una psicologia, richiede una formazione; non è cosa facile, non è un semplice atteggiamento esteriore, non è un conformismo ad una moda sociale.
L'apostolato è interiormente, ancor più che esteriormente, difficile; esso trova un primo e grande ostacolo nella propria timidezza, nella propria inesperienza, nel legittimo « rispetto umano », che inibisce di parlare su ciò che bene non si conosce, o che altri conoscono meglio di noi, e di assumere atteggiamenti innaturali e inopportuni di fronte ad altri, che, invece d'essere edificati e convinti, potrebbero irridere uno zelo inabile o intempestivo.
Vi è chi, quasi per istinto, si espone al pubblico.
L'arte di manifestare le proprie idee è diventata abbastanza comune nell'ambiente sociologico moderno; le vocazioni pubblicistiche oggi si moltiplicano, e diventano professioni delle così dette comunicazioni sociali.
Ma, prescindendo dal pericolo che questa facilità al colloquio pubblico diventi mestiere e si ponga al servizio di cause immeritevoli di vera dedizione, e pur tenendo nella dovuta estimazione questa abilità all'espressione, orale o scritta, del pensiero, dobbiamo riconoscere ch'essa non è di tutti; spesso è più un dono naturale, che una virtù acquisita; anche se è sempre vero che « poëta nascitur, orator fit », poeta si nasce e oratore si diventa.
Ma la questione che ora ci interessa è proprio questa: come si diventa oratori; e, nel caso nostro, come si diventa apostoli?
Qui la risposta sarebbe molto varia e interessantissima.
La storia della Chiesa è piena di bellissime documentazioni circa la metamorfosi di animi inetti, paurosi, refrattari dinanzi alla dinamica dell'apostolato, trasformati poi in operai del Vangelo, coraggiosi, abili, perseveranti, intrepidi.
La sorte dei primi Apostoli, quelli chiamati da Gesù, a predicare il suo regno e a diffondere nel mondo la Chiesa, non è una prima, caratteristica documentazione di questa abilitazione all'apostolato?
E nell'agiografia cattolica non troviamo molteplice conferma di questa prodigiosa possibilità che, per virtù divina, perfino le pietre diventino capaci di acclamare alla regalità messianica di Cristo? ( cfr. Lc 19,40 ).
Del resto la risposta alla nostra questione: come si diventa apostoli è già data da una vasta letteratura ascetica; basti ricordare la notissima opera del padre Chautard: « L'anima dell'apostolato », ancora attuale nelle sue affermazioni fondamentali, che ci portano a rintracciare le radici interiori dell'apostolato esteriore.
L'apostolato è un fenomeno di esuberanza spirituale e personale, che si fa esempio, voce, opera al di fuori dell'ambito soggettivo, per riversarsi nell'ambito esterno e sociale.
Non può essere vero apostolo chi non ha una propria, profonda, ardente vita interiore.
Il Concilio lo dice ( cfr. Ap. actuos. n. 4; etc. etc. ).
Il discorso si farebbe lungo.
Restringiamolo in questi brevissimi punti: per essere apostoli, come oggi la Chiesa vuole che tutti siamo, anche i laici, occorre un amore appassionato a Gesù Cristo, un amore proprio, un amore vero, un amore pieno.
L'apostolato è amore che trabocca, che scoppia, che si effonde in testimonianza ed in azione.
Come avviene ciò?
Per opera, per impulso, per grazia dello Spirito Santo, sgorgante dall'intimità della Parola di Dio, accolta, meditata, vissuta.
E finalmente l'apostolato deriva dalla forza arcana del « mandato » della Chiesa.
Per sé, uno non può essere apostolo se non ha, in qualche debita forma, il mandato, obbligante e rassicurante, dell'autorità della Chiesa.
Quando queste condizioni si verificano in un'anima, l'apostolato diventa facile e vittorioso.
Sono esse le radici da cui esso trae origine e vigore.
A voi le segnaliamo, e già le conoscete; a voi le raccomandiamo, affinché davvero siate tutti, secondo la propria possibilità, apostoli di Cristo, nella Chiesa di Dio, nel mondo moderno, con la Nostra Apostolica Benedizione.