12 Marzo 1969
Diletti Figli e Figlie!
Nella riflessione postuma, che dobbiamo fare sugli insegnamenti morali del Concilio, un tema ritorna alla Nostra mente, come uno dei più insistenti nei testi conciliari, e uno dei più importanti per la riconquista perenne che la Chiesa deve fare della propria autenticità, della propria coerenza, della propria fedeltà all'intenzione originaria e generatrice di Cristo a suo riguardo, ed è quella del servizio.
L'economia della salvezza si presenta e si svolge in un disegno di servizio, che dà un'impronta caratteristica a tutto il Vangelo e a ciò che lo segue, cioè il cristianesimo, cioè la Chiesa.
Se la rottura del rapporto vivificante fra Dio e l'umanità avvenne per colpa d'un atto di ribellione da parte dell'uomo, avido d'una sua fatale indipendenza, al grido: « Io non servirò » ( Ger 2,20 ), la riparazione non poteva avvenire che mediante un atteggiamento contrario, quello assunto da Gesù, il Salvatore, al quale, nella lettera agli Ebrei ( Eb 10,5-7ss ), sono attribuite queste parole: « Entrando nel mondo egli disse: … ecco io vengo - giacché di me si parla nel rotolo del libro - per compiere, o Dio, la tua volontà … » ( cfr. Sal 39,8-9 ).
Gesù vorrà così accentuare la restaurazione dell'ordine, che riflette il pensiero divino circa il destino umano collegato al dominio amoroso di Dio, da apparire come servo: « formam servi accipiens » ( Fil 2,7 ), dirà S. Paolo: assumendo l'aspetto di servo, che « umiliò se stesso, fatto obbediente fino alla morte, anzi alla morte di croce » ( Fil 2,8 ).
E se l'obbedienza è la virtù del servo, così appunto la professò il Signore: « Non la mia volontà, ma la tua volontà ( o Padre ), sia fatta » ( Lc 22,42 ); e così consumò il sacrificio terribile e orrendo della Croce.
Del servizio, si ricorderà, Cristo aveva parlato per definire il programma della sua venuta fra gli uomini: « Il Figlio dell'uomo ( così Gesù parlava di Sé ) non è venuto per essere servito, ma per servire e per dare la sua vita come redenzione di molti ( Mc 10,45 ); e ne aveva fatto precetto ai suoi apostoli, quasi per definire il carattere e la funzione della potestà loro conferita, e in genere dell'autorità dell'uomo sopra i suoi simili: « … il più grande fra voi sia come il più piccolo; e chi governa sia come colui che serve » ( Lc 22,26 ).
Potremmo moltiplicare le citazioni, che si collegano con gli insegnamenti evangelici dell'umiltà, dell'obbedienza, della povertà, della carità.
E sebbene Noi abbiamo altra volta parlato di questo tema del servizio della « diaconia » ( cfr. Lumen Gentium, n. 24 ), vi accenniamo nuovamente per l'importanza che il Concilio vi ha dato in molti suoi documenti; è un tema ricorrente in essi, e occorre che noi vi ripensiamo.
Vi ripensiamo!
Vi è proprio questa espressione, che pare carica di un profondo senso psicologico e di un proposito di evangelico rinnovamento, in una pagina della costituzione dogmatica sulla Chiesa, dove precisamente si dice: « La Chiesa ripensa … »! ( Lumen Gentium, n. 42 ).
E quasi sapendo come questa idea di servizio incontri istintivo ostacolo nella mentalità moderna, che esalta la personalità, l'autonomia, la libertà, la spontanea e indocile coscienza dell'uomo, e trovi inciampo in tradizioni vetuste che hanno rivestito di mondano prestigio e di esteriore onore, e talora di ambizione, d'egoismo e di fasto l'esercizio dell'autorità, il Concilio ripete ad ogni passo il suo richiamo all'idea di servizio, specialmente come giustificazione della funzione pastorale ( Lumen Gentium, n. 27 e n. 31 ), come principio di formazione sacerdotale ( Optatam totius, n. 4 ), come esigenza del ministero presbiterale ( Presb. Ord., n. 15 ), come scopo dell'attività missionaria ( Ad gentes, n. 3 ), come disponibilità qualificante la presenza della Chiesa nel mondo ( Gaudium et spes, n. 3 e n. 11 ); e così via.
Ora, quando parliamo di servizio, Ci sembra notare una duplice reazione nel Nostro uditorio, la prima piuttosto negativa, per quanto tale criterio informatore dell'educazione umana e cristiana lo può riguardare.
Lo dicevamo testé: l'uomo moderno non vuol sentirsi servitore di nessuna autorità e di nessuna legge; l'istinto sviluppatissimo in lui di libertà lo inclina al capriccio, alla licenza e perfino all'anarchia; e in seno alla Chiesa stessa l'idea di servizio, e perciò d'obbedienza incontra molte contestazioni, anche nei Seminari ( cfr. nella riv. Seminarium, ottobre-dicembre 1968, il bell'articolo del Card. Garrone, p. 553 ss. ).
Sarà bene invece ricordare che questa idea di servizio è costituzionale per lo spirito d'ogni cristiano, e tanto più per il cristiano chiamato all'esercizio di una qualsiasi funzione: di esempio, di carità, d'apostolato, di collaborazione, di responsabilità; e ciò specialmente nell'ambito ecclesiale, in cui la solidarietà, la sussidiarietà, l'unità, l'amore hanno esigenze di stimolante continuità; non dimentichiamo l'esortazione dell'Apostolo: « Portate i pesi gli uni degli altri, così adempierete la legge di Cristo » ( Gal 6,2 ).
La seconda reazione, che forse non si esprime, ma nasce nel subcosciente, è forse di soddisfazione, perché si pensa che l'ammonimento del servizio si riferisce più direttamente all'autorità, la mortifica nelle sue ambizioni e nei suoi arbitrii, e la mette a livello inferiore di coloro verso i quali è esercitata.
È vero. Accettiamo questo riferimento dell'idea di servizio alla autorità, o meglio all'esercizio, alla funzione, allo scopo dell'autorità.
Diciamo pure: della gerarchia.
Non che questa derivi la sua potestà, com'è nei regimi democratici, dalla comunità e sia verso di essa responsabile della propria ragion d'essere; ma è certo che « l'ufficio gerarchico esiste per la comunità e non viceversa » ( Lohrer ), e che la potestà nella Chiesa, secondo la famosa formola agostiniana, non è tanto per sovrastare, quanto per giovare; non per il proprio prestigio, ma per l'altrui utilità: « … ut nos vobis non tam praeesse, quam prodesse delectet » ( Serm. 340; cfr. Congar, L'Episcopat et l'Eglise univevselle, pp. 67-99 ).
La funzione gerarchica è servizio.
È questo un pensiero che cerchiamo Noi stessi d'avere sempre presente al Nostro spirito; ne sentiamo l'enorme peso; e ne proviamo insieme l'immensa energia.
Perché quella potestà, che Ci rende a tutti debitori ( cfr. Rm 1,14 ) e di tutti servitori, grava come incomportabile responsabilità sulle Nostre deboli spalle; e in duplice senso, verso Cristo, dal quale tutto riceviamo e al Quale tutto dobbiamo, e verso il Popolo di Dio, di cui Egli, il Signore, Ci ha fatto Pastore, in sua vece, con tutte le tremende e sublimi conseguenze che tale titolo comporta; ma nello stesso tempo questo stesso titolo è una professione, anzi una sorgente di carità.
L'autorità, nella Chiesa, è servizio di carità, è esercizio d'amore ( cfr. Gal 5,13 ); e l'amore è forza di Dio, che abilita a cose superiori, sovrumane, se occorre.
E così, Figli carissimi, abbiamo un desiderio da manifestarvi: che vogliate pregare per Noi, affinché possiamo essere veramente fedeli nel servizio, che Ci è affidato: verso Cristo, dicevamo, e verso di voi e verso la Chiesa ( cfr. Eb 13,17 ).
Bene sappiamo che il Nostro servizio ( cfr. 1 Pt 5,3 ), esige che conformiamo la Nostra vita a modello di perfezione cristiana ( cfr. 1 Pt 5,3 ) esige che configuriamo anche l'aspetto esteriore del Nostro ufficio apostolico secondo uno stile di evidente autenticità.
E per questo, come Ci giova l'esempio dei Santi, dei Nostri Confratelli e dei buoni fedeli, così Ci aiuti la vostra affezione, la vostra orazione.
Vi ricambiamo di cuore con la Nostra Apostolica Benedizione.