6 Agosto 1969
Diletti Figli e Figlie!
Noi non possiamo, almeno una volta ancora, non parlarvi del Nostro viaggio africano, in Uganda, della scorsa settimana.
Non intendiamo esporvi la cronaca di quelle giornate, né farvi la descrizione dei luoghi visitati e delle cerimonie celebrate, o degli incontri colà avvenuti.
Tutto questo è stato riferito dalla stampa, e ancora lo sarà.
Se ciò vi interessa potrete trovare in essa, e specialmente sulle nostre riviste notizie ed immagini in abbondanza.
Cosi si dica della storia dei Martiri, che Noi abbiamo avuto la fortuna di canonizzare, e che siamo andati, in pio pellegrinaggio, a venerare nei luoghi, ora totalmente trasformati dalle fiorenti costruzioni della moderna città di Kampala, dove si è consumato il dramma atroce e glorioso del loro sacrificio per la loro fede cristiana.
Leggete da voi stessi queste relazioni; non sarà fatica difficile, né tempo perduto.
A Noi pare doveroso aprirvi il Nostro animo su alcune considerazioni generali circa il fatto missionario, che, osservato e meditato in quel quadro caratteristico e tipico, di un suo originario ed essenziale svolgimento, Ci è apparso più impressionante ed eloquente, e quasi rivelatore del senso teologico e del valore umano, che lo rendono grande, salutare e moderno.
È vero che ciò è ben noto.
A tutti possiamo dire; poiché l'attività missionaria si documenta ampiamente con le sue apologie, con le sue cronache, con i suoi protagonisti, i missionari, a tutto il Popolo di Dio; anche a voi stessi, certamente.
Di più, il Concilio Ecumenico, con un ampio decreto sull'attività missionaria della Chiesa, intitolato Ad Gentes, ha definito così chiaramente principi e norme circa le Missioni cattoliche, che, per sé, non resterebbe nulla da aggiungere, mentre tutto sarebbe da rileggere e da riconsiderare.
Ma di solito l'esperienza, più che la lettura, dà la riprova della verità degli insegnamenti, e ne mette in evidenza le idee fondamentali.
Ebbene, Noi vi diremo oggi, tanto per concludere i Nostri discorsi su questo tema, le tre idee, che si sono illuminate principalmente nel Nostro spirito in occasione del Nostro pellegrinaggio africano.
La prima idea è quella della necessità missionaria.
L'attività missionaria nasce da una necessità.
Osservate bene.
Non solo da una necessità di ordine pratico e storico, ch'è pure una necessità potente: come si diffonderebbe il Vangelo, se non vi fossero le Missioni?
Fenomeno strano, e meritevole di profonda riflessione: perché il Vangelo, che è la Verità rivelata, stupenda e salvatrice, non si diffonde da sé?
Le scoperte scientifiche, in via ordinaria, si diffondono da sé; la ragione umana, la curiosità popolare, gli interessi inerenti alla loro divulgazione propagano la scienza con immediata facilità; e così le idee di moda si aprono la strada in mezzo all'umanità, mediante la scuola, la stampa, la politica, e oggi mediante i mezzi meravigliosi delle comunicazioni radiotelevisive con stupefacente rapidità.
Perché invece la fede in Cristo e nella sua salvezza, nostro supremo interesse, non ha questa virtù di spontanea diffusione?
Perché è difficile?
Perché comporta uno stile di vita nuova?
Perché genera una comunione, cioè una Chiesa?
Sì, per queste e per altre ragioni simili.
E la realtà è questa: la fede deve essere portata, deve essere annunciata dalla viva voce: da persona a persona.
La rete di comunicazione della fede, inizialmente e poi normalmente, dev'essere umana.
È necessario il missionario, cioè l'uomo mandato dall'autorità apostolica della Chiesa, affinché il messaggio divino giunga a destinazione, cioè giunga al cuore degli uomini.
È stato detto, con paradossale efficacia: Dio ha bisogno dell'uomo.
Cioè: affinché il mistero d'amore e di salvezza da parte di Dio si diffonda nel mondo è necessario il ministero d'amore e di sacrificio dell'uomo che accetta l'incarico, il rischio, l'onore di comunicare quel mistero agli altri uomini, i quali per ciò stesso prendono figura di fratelli.
Quell'uomo indispensabile è il missionario.
La carità di Dio mette in esercizio la carità dell'uomo per svolgere il suo piano storico e sociale nel mondo.
E questa necessità di servizio al piano divino non è soltanto di indole pratica, storica ed esteriore, dicevamo; è anche interiore alla verità e alla carità stessa del Vangelo, ch'è stato annunciato al mondo allo scopo di coprire tutta la faccia della terra.
Ascoltiamo ancora una volta la voce di San Paolo, l'Apostolo delle Genti, il missionario per divina elezione ( cfr. 1 Tm 2,7; 2 Tm 1,11; Gal 2,8; At 9,15 ): « Una necessità incombe sopra di me!
E guai a me se io non annunciassi il Vangelo » ( 1 Cor 9,16 ).
Questa intrinseca necessità, questo impulso che scaturisce dalla natura stessa del Vangelo, questo dovere primo della Chiesa responsabile, la quale si definisce cattolica e apostolica, missionaria cioè ( cfr. Ad Gentes, n. 1 e n. 6 ), urge oggi come ieri, come ai primi tempi del cristianesimo; e per il fatto che oggi, con più chiara intenzione « la Chiesa nulla rigetta di ciò che è vero e santo » nelle religioni non cristiane, le quali « non raramente riflettono un raggio della verità, che illumina tutti gli uomini, ella, la Chiesa, tuttavia annunzia, ed è tenuta incessantemente ad annunciare il Cristo, il Quale è la via e la verità e la vita » ( cfr. Dichiarazione conciliare Nostra aetate, n. 2 ).
La necessità missionaria rimane.
Tutti dobbiamo sostenerla.
Un irenismo indifferente circa questa necessità, fondato sull'impossibilità pratica d'estendere a tutto il mondo l'azione missionaria, e sulla misericordia divina, a cui nessun limite può essere posto, non è ammissibile dalle esigenze stesse del piano divino rivelato al mondo ( cfr. Ef 1,9-10 ).
Abbiamo sempre bisogno di Missionari, come Padre Lourdel; di coloro che si lanciano nell'avventura evangelizzatrice; non fosse altro perché la terra è grande, e la maggior parte di essa ancora non conosce o non riconosce Gesù Cristo, come Salvatore e Maestro.
E qui sorge la seconda idea, che ha preso fuoco nella breve, ma impressionante esperienza africana.
E cioè: il cristianesimo, e con esso la Chiesa che lo predica e, come può, lo realizza, è universale.
È per tutti.
Non si limita né geograficamente, né etnicamente, né culturalmente.
È unico, rigorosamente unico nel suo contenuto essenziale ( cfr. Ef 2, tutto il capo; e Ef 4,1-7 ), ma è organico, e perciò differenziato, nella sua composizione comunitaria; ed è adattabile ed esprimibile in ogni forma di sana umana cultura.
Si parla molto oggi di questo pluralismo nella espressione del Vangelo ( cfr. Ad Gentes, spec. n. 22 ).
Non si tratta di frazionare la Chiesa, di dissociare la sua intima comunione, di svincolare le Chiese locali dall'armonia con le Chiese sorelle e dalla collegialità, che obbliga i Pastori della Chiesa ad una fraterna e gerarchica solidarietà; si tratta di ammettere nel concerto corale della medesima unità la cattolicità delle voci differenti, come differenti le ha fatte il Signore ( cfr. 1 Cor 12,16-21 ), lo stampo etnico, la storia locale, l'indole propria, la tradizione culturale.
È meraviglioso osservare come la nostra religione cattolica sia cattolica, cioè universale; cioè non solo adattabile alle diverse condizioni di razza, di costume, di genio popolare, ma sia capace di estrarre da quelle stesse condizioni quanto di più originale, di più caratteristico, di più proprio esse virtualmente, o già effettivamente possiedono.
Tutti, uomini e popoli, possono essere cattolici, senza rinnegare i talenti posseduti, sì bene sviluppati e portandoli a gradi superiori di pienezza espressiva e di bellezza umanistica.
È meraviglioso osservare, ripetiamo, come l'idea di universalità nella Chiesa sia nativa, e come essa perciò abbia anticipato di secoli l'universalità civile e internazionale, a cui si dirige il mondo moderno.
E ancora una terza idea ha riempito il Nostro animo al contatto con la giovane Chiesa africana: la sua umanità.
La Chiesa non si occupa né di commercio, né di politica, né di esplorazioni geografiche o scientifiche ( sebbene queste risultino poi quasi da sé ), ma di anime.
Si occupa della vita dell'uomo, della sua esistenza fisica, della sua dignità personale, della sua perfezione morale, della sua libertà sociale, in una parola dell'essere umano in quanto tale, nella sua inviolabile integrità di figlio di Dio, di fratello di Cristo, di tabernacolo dello Spirito Santo, di membro d'un solo corpo mistico, la Chiesa, … e perciò di cittadino istruito, laborioso, onesto, cosciente, amoroso della sua famiglia, del suo paese, della sua nazione, dell'umanità.
Questa integrità umana Noi l'abbiamo vista nel suo essere e nel suo divenire.
Abbiamo visto un Popolo; e, nella luce del suo cristianesimo, un Popolo buono, un Popolo aperto all'ardua e sublime visione della pace; della pace domestica, nazionale, mondiale.
E tutto questo quadro umano sospeso ad una semplicissima parola, ereditata dai Martiri Ugandesi: la preghiera.
Cioè la religione, la fede, la Chiesa, Cristo.
Bellissima umanità, semplice, vivace; africana e cristiana.
Salutiamola ancora.
E con voi ancora benediciamola.