28 Luglio 1971
Noi cerchiamo ancora i valori maggiori del Concilio.
Dire valori e dire beni relativi all'uomo, beni commisurati alla nostra vita, beni utili è la stessa cosa.
Primeggiano, per se stessi, i beni reali, i beni veri, i beni trascendenti e ontologici.
Ma due motivi hanno dato nel Concilio una certa priorità alla considerazione dei valori su quella delle verità da conoscere e da credere: il primo motivo è dato dalla mentalità moderna, a cui il Concilio amorosamente ha voluto avvicinarsi; e la mentalità moderna non sostiene il discorso se non in funzione di « valori », cioè di pensieri e di cose aventi una polarizzazione soggettiva, interessanti la vita dell'uomo come unico centro dominante la concezione dell'esperienza della storia, del mondo conosciuto ( sembra una specie di concezione tolemaica a cui tende l'umanesimo odierno, secolarizzato e svincolato da riferimenti al Principio ed al Fine della Realtà suprema, che è Dio ).
L'altro motivo, che ha orientato il Concilio verso l'estimazione dei valori, piuttosto che verso le ricerche obiettive e le affermazioni dogmatiche, è stato il programma generale, che il Concilio si è scelto, e cioè il programma pastorale, ossia quello in cui il « bene delle anime », ha il primo posto.
E quale valore maggiore perciò ha avuto a cuore il Concilio? L'uomo.
Noi lo abbiamo notato nel discorso di chiusura del Concilio.
Donde deriva non tanto un insegnamento dottrinale ( che è, per altro, supposto e affermato ad ogni passo nei documenti conciliari ), ma piuttosto un ammaestramento morale, un dovere da praticare, un comportamento pratico da imprimere alla nostra vita, se davvero la vogliamo dire umana e cristiana insieme.
L'uomo! Dopo il Concilio - ecco un grande dovere post-conciliare - noi dovremmo ricostruire una mentalità autentica e cristiana sull'uomo.
Il che vale a dire sul nostro essere, sulla nostra vita, sui nostri diritti e sui nostri doveri, sui nostri veri destini.
Tanto per cominciare dobbiamo ammettere che l'uomo, nella profondità e nella complessità del suo essere, è un mistero ( Gaudium et spes, 22 ).
Solo la fede ce ne svelerà gli estremi e indispensabili segreti.
Distratti come siamo, presuntuosi per la nostra esperienza, spesso ridotta ad un superficiale contatto empirico col mondo esterno; fiduciosi, talora ciecamente, nel linguaggio scientifico che ci istruisce e ci incanta, noi crediamo di conoscerci ormai perfettamente, mentre l'antica, sempre incombente questione deifica e socratica: « conosci te stesso », non ci dà pace, se davvero vogliamo dare alla necessità d'una adeguata conoscenza di noi stessi una risposta soddisfacente.
L'uomo rimane miope, e più sovente rimane cieco, sopra se stesso.
Anche perché un formidabile errore di metodo vizia le antropologie moderne, che presumono, con i soli propri lumi, dare dell'uomo una definizione finalmente completa e risolutiva; e l'errore è questo: l'uomo, tutti lo sappiamo, è un essere estremamente complicato; e vi è chi circoscrive lo studio e la nozione dell'uomo ad un particolare aspetto di questo essere che noi siamo, ignorando e spesso negando gli altri.
L'uomo è corpo; e allora vi sarà chi non vedrà nell'uomo che la sua parentela con l'animale, e con la materia e le sue leggi, che pur fanno parte dell'uomo.
L'uomo è spirito; molti sapienti fermeranno la loro osservazione a questa sublime realtà umana, per concludere ad un idealismo esclusivista ed idolatra del pensiero dell'uomo.
L'uomo è senso; e allora si dirà che solo nel regno dei sensi si esplica la vera vita dell'uomo.
L'uomo è un essere sociale; al punto che alla considerazione sociologica si pretenderà attribuire la sola ovvero la prima chiave di soluzione delle questioni dell'umana esistenza. E così via.
La concezione cristiana, ci chiediamo, cade in un'analoga unilateralità di visione, dando esclusiva preferenza ai valori religiosi?
Il Concilio restringe forse la sua dottrina antropologica all'unica considerazione del rapporto dell'uomo con Dio?
No. Anzi, nei suoi insegnamenti il Concilio ( ed è questo uno dei suoi caratteri originali ) assegna, e quasi rivendica a tutti i valori naturali una loro propria stima, una loro propria funzione.
La Chiesa, sotto questo aspetto, è stata magnanima e coraggiosa: ha aperto il suo sguardo e quindi il suo rispettoso riconoscimento a tutti i lati dell'essere poliedrico, ch'è l'uomo.
Si direbbe che ha fatto propria la scienza di Cristo, il Quale « sapeva ciò che era nell'uomo » ( Gv 2,25; Lc 6,8; Mt 12,25 ); ed ha dato alla plurima realtà umana, anche profana e terrestre, una spontanea e giusta valutazione ( Cfr. Apostolicam actuositatem, 7; n. 29; Gaudium et Spes, 4; Lumen gentium, 31; ecc. ).
Ha proclamato e difeso ogni legittimo diritto dell'uomo ( Cfr. Gaudium et Spes, 41, ecc. ).
Ma questa esaltazione dell'uomo il Concilio, come da sempre la Chiesa, l'ha proclamata in virtù d'un principio supremo e inalienabile, quello cioè del rapporto dell'uomo con Dio.
Possiamo ricordare la famosa e bellissima sentenza di S. Ireneo ( un Padre della Chiesa della fine del II secolo ): « Gloria di Dio è l'uomo vivente » ( Adv. Haer. IV, 20, 7; PG 7, 1037 ).
Dio cerca la sua gloria esterna, la sua irradiazione luminosa nell'universo, nella vita dell'uomo.
Chi nega Dio spegne la luce sulla faccia umana; nega cioè l'uomo nelle sue supreme prerogative.
Mentre, considerato l'uomo alla luce di Dio, che cosa si riverbera su questo essere-principe dell'opera creatrice e amorosa di Dio?
Dapprima una grande dignità.
« Riconosci, o cristiano, la tua dignità! » ci ammonisce, con celebre accento, S. Leone Magno.
La prima impressione che noi dobbiamo cogliere dalla fisionomia, anche semplicemente naturale dell'uomo, è quella della sua dignità; è quella d'una bellezza nativa e sacrale, d'un'intangibilità inviolabile, d'un soggetto di diritti trascendenti, che per primi i Genitori, operatori e ministri della vita umana, devono sommamente rispettare fino dalla sua fase nascente nel grembo materno; è orribile pensare che ne siano essi stessi gli omicidi, non curanti d'essere entrati in un'economia antropologica, che li supera e che li avvolge in una norma loro propria, amorosa ed eroica, di inesorabili doveri.
Dignità dell'uomo!
Non intendiamo ora diffonderci su questo vastissimo tema.
Esso ci porterebbe a deplorare amaramente le offese, ormai dilaganti, con cui tante forme acritiche della vita moderna degradano la dignità dell'uomo, specialmente con la moda invereconda, con lo spettacolo frivolo o passionale, con l'immoralità dei costumi, con la pornografia perfidamente diffusa, con l'anestesia della coscienza morale a profitto della coscienza sensuale, con la deformazione provocante della stessa sana e prudente educazione sessuale.
Licenziose esperienze sono ammesse e favorite quasi fossero conquiste liberatrici; liberatrici da che cosa?
Dalla coscienza del bene e del male, dal rispetto alla persona umana, dalla stima ai valori più veri e più preziosi che conservano e abbelliscono l'equilibrio fra lo spirito e la carne, col pudore, con l'innocenza, con il dominio di sé, con la scelta cosciente e generosa della verità dell'amore e delle sue altissime e umanissime finalità.
Dignità dell'uomo!
Non l'avremo mai abbastanza apprezzata ed onorata nel suo duplice aspetto, quello originario e, possiamo dire, positivo, che ci svela nel volto umano « l'immagine e la somiglianza di Dio » ( Cfr. Gen 1,26 ); e quello negativo, dove la piccolezza, l'infermità, la degradazione stessa dell'uomo ci lasciano scorgere le sembianze divine e dolenti del nostro Fratello Redentore Gesù ( Cfr. Mt 25,37-40 ).
Di qui l'umanesimo cristiano.
Tutto il Concilio ne parla.
Citiamone, a conclusione, una frase: oggi « cresce la coscienza della dignità della persona umana, superiore a tutte le cose, e i cui diritti e doveri sono universali e inviolabili …
Il fermento evangelico suscitò e suscita nel cuore dell'uomo questa incoercibile esigenza di dignità » ( Gaudium et Spes, 26 ).
Pensiamoci, se vogliamo dare al Concilio la sua genuina derivazione morale e vitale.
Con la Nostra Apostolica Benedizione.