13 Dicembre 1972
Il periodo liturgico, nel quale ci troviamo, l'Avvento, offre alla riflessione di tutti l'eterna questione: la ricerca di Dio, il problema religioso.
Ancora prima che nel calendario ecclesiastico, questo problema è iscritto nell'uomo, nella sua natura, nel suo pensiero, nel suo orientamento, abbia o non abbia la soluzione, che noi crediamo vera e felice.
Osservando le sorti di questo problema nella realtà storica, psicologica e sociologica dei nostri giorni possiamo noi dire che esso, il problema religioso, abbia avuto soluzioni positive? soddisfacenti?
« Grosso modo », cioè nell'insieme della cultura profana moderna, nella mentalità della gente a noi contemporanea, dobbiamo purtroppo riconoscere che il diagramma della religiosità piega verso la negazione.
Lo dicevamo altre volte: l'indifferenza, il dubbio, il rifiuto, l'ostilità verso la religione segnano un aumento negativo, almeno nelle conclusioni speculative e pratiche; tutto tende a escludere Dio dal pensiero e dal costume.
La vita diventa sempre più profana, laica, secolarizzata.
L'uomo d'oggi si afferma, sicuro di bastare a se stesso, e di poter prescindere dal riconoscimento del nome di Dio e dalla celebrazione della sua gloria.
La legittima delimitazione profana dei vari campi del sapere e dell'azione tende ad avere il sopravvento totale e ad escludere Dio da ogni campo della vita umana.
Ma facciamo attenzione.
Questa esclusione, spontanea o forzata che sia, lascia un grande vuoto.
Vengono a mancare i principii supremi del pensiero e dell'operare.
Si tenta di mettere l'uomo al posto di Dio.
Ma l'umanesimo rivela subito la sua natura: cioè esso non può non essere un'aspirazione alla vita, all'essere, un desiderio ideale, una insufficienza, una fame, un conato, e perciò spesso, alla fine, una disperazione, l'abisso cioè dell'assurdo.
Potremmo citare una quantità di dolorose testimonianze ( Cfr. ad es. quella di Klaus Mann, in Ponte, 1949, pp. 1451-1464 ).
Concludiamo, per quanto ora ci interessa, la nostra età, nel tentativo di sopprimere il ricorso a Dio, cioè la religione, qualificata come inutile, anzi nociva al progresso dell'uomo, esaspera fino alla idolatria, cioè all'esaltazione assoluta, l'aspirazione dell'uomo, fino alla delusione anarchica e nichilista ( Cfr. Marcuse, etc. ).
L'uomo moderno è costretto a dichiararsi povero, un povero dai desideri esasperati, illusi o delusi.
Egli rimane ancor oggi, secondo la definizione biblica: vir desideriorum, l'uomo dei desideri, o desiderato ( Dn 9,23 ).
Perciò il processo della nostra ricerca continua.
Nel deserto? Sopra un'altra traccia.
La traccia della storia.
Quanto non s'è parlato nel mondo contemporaneo di storia!
Cioè dell'evoluzione, del divenire, del progresso, della filosofia dello spirito, quasi fosse una rivelazione in tale continua via di sviluppo da appagare, anzi da stimolare l'insaziabile sete dell'uomo.
Potremmo ricorrere ad un'altra definizione biblica dell'uomo, la quale si riflette nell'uomo moderno: Filius accrescens, un giovane in via di crescita ( Gen 49,22 ).
Una bella definizione, se non fosse anch'essa fondata sopra un falso destino: il tempo, Saturno che divora i suoi figli.
Il tempo, sì, è l'atmosfera della nostra vita che diviene, e che perciò è pellegrina di natura sua, in cerca, sempre in cerca verso il futuro, verso una speranza …
La morte? anche questo aspetto essenziale della nostra vita è condannato ad una terminale sconfitta?
La speranza! nel tempo, nell'avvenimento segreto e risolutivo, anzi nel personaggio, che può dare salvezza.
A questo punto si manifesta il prodigio.
Nel tempo, nella storia, nell'universale tensione dell'umana speranza
accade un fatto soprannaturale, cioè nuovo, gratuito, miracoloso,
accade la venuta di Dio stesso nella trafila delle vicende umane,
accade l'incarnazione,
accade l'arrivo di Gesù Cristo;
e sappiamo Chi è Gesù Cristo, il Figlio di Dio, il Verbo eterno di Dio, che s'inserisce nella storia dell'umanità assumendo nella propria divina e personale Esistenza una natura umana, in cui vivere umanamente, parlare, agire da uomo, soffrire e morire da uomo, e uomo per divina virtù, risorgere e vivere per sempre.
È il mistero cristiano.
Era atteso questo mistero? era previsto?
La risposta è assai delicata e complessa; ma possiamo dire di sì ( Cfr. Denz-Sch. 1522; 3009; Fornari, Vita di Cristo, vol. I, 1 ).
Qui sarebbe da parlare, fra l'altro, del messianesimo, cercando di renderci conto del cammino storico e spirituale che l'apparizione di Cristo ha percorso prima d'arrivare al momento del suo compimento effettivo e temporale.
Basti rileggere il prologo dell'Epistola agli Ebrei: « Iddio, dopo di avere in antico, a più riprese e in molte guise, parlato ai nostri padri per mezzo dei profeti, in questi ultimi tempi parlò a noi per mezzo del Figlio suo, che Egli costituì erede d'ogni cosa, per mezzo del quale creò anche i secoli » ( Eb 1,1-2 ).
Tutto l'Amico Testamento è pervaso da una prospettiva, che ha la sua traiettoria rivolta verso un'era messianica e verso un Personaggio figlio di David, considerato quale espressione storica della regalità del Popolo di Dio, della sua libertà, della sua costituzione civile e religiosa, e considerato poi simbolo d'un futuro Re ideale, il Messia, nel quale i destini d'Israele avrebbero raggiunto la loro pienezza.
Canti e Profezie tengono sveglia questa speranza nel Popolo ebraico, con tanto maggiore e lirica certezza, quanto più infelice era lo svolgimento della sua storia politica ( Cfr. Sal 2, Sal 35, Sal 110; Is 48,ss.; etc. ).
Visioni lontane, si dirà.
Come può un cittadino del mondo moderno interessarsi di queste cose?
È vero; sono visioni che sembrano dissolversi negli orizzonti dell'antichità, e non avere più alcuna relazione con la psicologia della gente contemporanea, né con i fatti della nostra civiltà …
Proprio e davvero così?
Alzate un istante la testa e guardatevi intorno.
Che cosa desidera oggi l'umanità? e dove è rivolto il suo irreversibile cammino?
Oh! quanto vi sarebbe da dire e da meditare!
Non aspira oggi il mondo all'unità? alla giustizia? alla pace?
Non si parla, con intenzione equivoca forse, ma con aperto linguaggio di liberazione?
E non è forse questo fermento continuo di novità e di progresso una tensione verso un domani luminoso e rigeneratore?
E la stanchezza, l'inquietudine, il pessimismo, che invadono oggi la giovane generazione, che cosa ci dicono?
Non è un vento messianico quello che soffia?
Vogliamo dire: non è l'ora nostra più che altre passate predisposta, se già forse non formata, ad una mentalità messianica?
E d'altro lato: quale messaggio ritorna al mondo dal Cristo di Betlemme, se non quello appunto che anticipa sulle aspirazioni più alte del nostro secolo?
Unità e universalità, pace e fratellanza, nobiltà e salvezza dell'uomo, amore e liberazione per ogni uomo infelice?
È l'Avvento; e questo confronto fra il nostro mondo e il vaticinio messianico di Cristo, storicamente continuato nella sua Chiesa ci obbliga ad alti, nuovi, fiduciosi pensieri.
Possano essi preparare un Natale nuovo e felice!
Con la nostra Apostolica Benedizione.