10 Luglio 1974
Il Santo Padre durante la notte ha avuto una riacutizzazione del processo artrosico, che tempo fa lo aveva colpito al ginocchio destro; e pertanto l'udienza generale prevista per oggi è sospesa.
Alle ore 11 Sua Santità si affaccia alla finestra del suo studio per benedire i pellegrini, riuniti in Piazza San Pietro.
Paolo VI dice: Figli carissimi, noi ci dobbiamo scusare se non ci è dato venire questa mattina in mezzo a voi: ne siamo noi altrettanto e più che voi stessi dolenti, perché questo malanno, che ci impedisce liberi movimenti, non ci consente di presiedere alla consueta udienza generale; ma tutti gli auguri, i voti, le esortazioni, le assicurazioni della nostra presenza affettuosa e cordiale nella fede e nella carità, sappiate che vi sono ugualmente, anzi maggiormente, assicurati.
Vi daremo adesso la Benedizione Apostolica, e supplirà questa al mancato incontro immediato che c'eravamo ripromessi.
A queste parole il Santo Padre fa seguire la sua Benedizione, ripetuta in francese, inglese, tedesco e spagnolo.
Nella stessa giornata è pubblicato il testo del Discorso che il Santo Padre si riprometteva di rivolgere ai pellegrini nel corso dell'udienza generale: Coraggio, Fratelli e Figli carissimi, coraggio!
Diciamo questo pensando ad un certo stato d'animo che s'è insinuato in molti fedeli, tuttora aderenti con fiducia e con semplicità alla vita normale della Chiesa, anzi con certo nuovo ottimismo e con certo promettente fervore dopo la magnifica palingenesi inaugurata e programmata dal recente Concilio, e adesso ridestata nelle coscienze e nei propositi dall'avvento dell'Anno Santo.
Coraggio, ripetiamo, per scuotere dai nostri animi quel senso d'incertezza, di timidezza, di timore, che il clamore e l'audacia di inattese e spesso indebite contestazioni di nostri fratelli cattolici, talvolta nella funzione di maestri della dottrina, hanno diffuso nell'opinione del Popolo di Dio, quasi che il Concilio segnasse tale novità nella storia e nella vita vissuta della Chiesa da squalificare il passato, e da iniziare un periodo talmente nuovo per la Chiesa stessa da riformarne le formule della sua fede, da sovvertirne la obbedienza alla sua funzione magistrale e pastorale, da autorizzarne una trasformazione di norme e di costumi, che avesse la duplice e simultanea virtù di ricondurla a genuine espressioni evangeliche, ed insieme di concederle una fusione ormai incondizionata con le istanze ideologiche e sociali prevalenti del nostro secolo, anche se finora, a rigore di principii ed a lume di evidenti e dolorose esperienze tuttora in atto, giudicate negative e inammissibili per il cattolicesimo.
Non ci si attendeva questo fenomeno di intollerante inquietudine, e perfino di auspicata sovversione da parte di membri di casa nostra ( Cfr. « inimici hominis domestici eius »: Mt 10,36 ); e cioè nella nostra amatissima Chiesa cattolica, proprio in un'ora di suo generoso e attuale risveglio, e proprio quando ella si manifesta pronta a riconsiderare le questioni ecumeniche con umile, serena, e longanime obiettività: come fare dell'ecumenismo serio con la discordia in casa nostra?
Anche qui, riassumiamo in due parole la reazione dei nostri sentimenti: sorpresa e dolore, rispetto al contegno autolesionista di questi imprudenti e forse insipienti fratelli; aggiungendo ora un altro sentimento, un dubbio, rispetto al contegno della Chiesa stessa:
forse ella è in errore?
forse ella sostiene posizioni anacronistiche?
forse ella non comprende i tempi nuovi?
forse ella, per scrupoli di fedeltà dogmatica, dimentica la sua missione di aperta carità evangelizzatrice?
È a questo dubbio che adesso, questa volta, invitiamo la vostra riflessione, e, per tutta risposta, diciamo ai Fratelli ed ai Figli: coraggio!
Non possiamo in questa sede concederci delle discussioni adeguate alle formidabili questioni sollevate dalla contestazione; essa poi, sotto vari aspetti, ci sembra echeggiare così istintivamente le controversie della polemica riformista anticattolica, che potremmo rimandare coloro che desiderano competenti soluzioni ai classici della apologia cattolica, la quale inoltre con nuova freschezza per merito di tanti bravi autori dei nostri giorni è stata sapientemente riespressa.
Ma qui, come al solito, ci contentiamo di accennare ad un solo punto; e sarà quello positivo, della verità, che può trovarsi nella cultura, nelle opere, nelle polemiche, che oggi cercano di colpire la nostra Chiesa e di disorientare perciò il popolo ed il clero, non che il campo della vita religiosa nella sua tradizionale ( che non vuol dire supina ), fedeltà.
Il punto è questo: ciò che vi è di vero nella controversia contestatrice è nostro, è già nostro.
Già la Chiesa lo possiede e non lo lascia sterile ed inerte, ma ella, pur forse con certa umana debolezza di alcuni, cerca di metterlo in luce e di valorizzarlo, come e più di chi se ne vale per muoverle rimprovero e per sconvolgerne l'ordine dottrinale e comunitario.
Allora, dove sta la differenza fra la posizione della Chiesa ufficiale e quella di questi figli, improvvisati avversari?
La differenza consiste, di solito, nella collocazione di un dato tema, scelto come argomento di controversia: se la collocazione è inserita nel contesto integrale e armonico della dottrina, quel tema non solo cessa d'essere pericoloso e d'essere fonte di amare recriminazioni, ma rimane e diventa dinamico mediante il suo potenziale di verità e di azione, che allieta e rinvigorisce la Chiesa e che esercita un influsso benefico nella intera società.
Se invece quel tema è isolato dalla compagine organica e totale del pensiero cattolico, esso diventa esplosivo e centrifugo, e può produrre più danni che vantaggi.
È un criterio errato di metodo, che noi spesso dobbiamo, a nostra volta, contestare ai nostri contestatori: non si può usare, anzi abusare d'una distaccata verità, contenuta nel grande quadro della sapienza cristiana, senza tener conto delle altre verità che le sono connesse; uno squilibrio allora si produce, un sistema unilaterale ne deriva; gratuite conseguenze, spesso negative anche nel campo del bene, ne seguono con una logica che sembra rigorosa, ma è viziata in radice dalla trascuranza di insegnamenti, che dovevano armonizzarsi con quel tema di verità, il quale, reso parziale ed esclusivo o prevalente, genera errore.
Il discorso può sembrare difficile; ma gli esempi, con cui lo potremmo documentare, lo renderebbero subito comprensibile.
Prendiamone uno di questi esempi, e limitiamoci ora a farne una semplice citazione; quello della libertà.
Quanto se ne è parlato, e se ne parla!
Ma ora il riferimento ad essa ci serve soltanto a rendere l'idea della nostra su accennata osservazione.
La libertà! essa è oggi spesso declamata in sede polemica contro la Chiesa, come se la Chiesa fosse contraria alla libertà, fosse repressiva e retrograda, fosse solo autoritaria e antidemocratica, ecc.
Questo perché? perché, innanzi tutto, non si vogliono considerare obiettivamente i fatti; ma specialmente perché si vuol ignorare ciò che la libertà comporta nativamente con sé, e cioè la sua intrinseca relazione con l'obbligazione morale, la quale deriva dalla scoperta e dalla intimazione che l'intelligenza fa e deve umanamente fare alla volontà; è da questo, diciamo così, dialogo fra l'intelligenza ( fedele alla verità, cioè all'ordine delle cose ), e la volontà ( per sé non determinata se non genericamente al bene ), che nasce la libertà autentica, l'autodeterminazione all'azione, alla scelta del fine, a ciò che la mente propone come vero e come bene, e che in determinati casi, all'occhio della coscienza, appare come dovere, come obbligazione morale.
Parola di Cristo: veritas vos liberavit; la verità vi farà liberi ( Gv 8,31 ).
Questo modo, questo processo di liberazione mediante la verità è originale nel Vangelo, e sembra, a prima vista, contraddittorio.
Perché la verità, di per sé, è vincolante; come può essere liberatrice?
È liberatrice, perché affranca dall'errore, il quale, se diventa principio di azione, induce la volontà a scelte sbagliate, e alla fine dannose e oppressive per l'uomo, come sono quelle non guidate dalla luce della verità, ma da altri motivi, come la passione, l'interesse egoistico, l'abulia, la paura, l'opportunismo, il conformismo, ecc.
La pura indeterminazione, a cui spesso si tende come fosse vera emancipazione, non è autentica libertà, o almeno non è libertà completa.
La libertà puramente fisica non è piena espressione dell'uomo; la libertà morale, quella cioè che spontaneamente e vigorosamente segue la luce della verità, è l'uomo vero.
Parliamo della libertà psicologica, per ora; ed è a questa che la Chiesa ci educa con la sua magistrale sapienza.
Facciamole fiducia, con sereno coraggio!
Con la nostra Benedizione Apostolica.