17 Settembre 1975

La logica dell'Anno Santo, vogliamo dire il suo dinamismo spirituale e morale, ci invita ad un duplice movimento religioso: quello di risalire alle sorgenti della nostra fede, e quello di discendere all'applicazione coerente dei principii della nostra fede stessa alla vita vissuta.

Risalire alle sorgenti; discendere alla diffusione della loro virtù fecondatrice nella pratica esperienza della nostra presente esistenza; possiamo dire che in questo schema semplicissimo vi è quanto basta per il nostro bene.

Osserviamo noi stessi con la coraggiosa chiarezza, alla quale la spiritualità dell'Anno Santo ci ha certamente iniziati; e domandiamo alla nostra coscienza: quale influsso impegnativo e reale ha per noi il fatto che siamo cristiani?

Certamente noi attribuiamo sempre una grande importanza a questa qualifica, che sappiamo stampata, col battesimo, nel nostro essere, nella misteriosa profondità del nostro spirito; e nessuno di noi vorrebbe rinnegare la dignità e la fortuna, che a noi derivano da questa incancellabile qualifica religiosa: siamo cristiani.

Ma questa qualifica: sono cristiano! assume spesso un carattere statico, inerte, assente nella psicologia e nell'attività dell'uomo moderno, il quale non rileva sovente l'esigenza specificante e operante, che deriva appunto da un tal nome, anzi da un tale essere.

Per molti il titolo cristiano, impresso nella sua personalità, non comporta alcun risultato pratico,

né individuale ( ricordate l'antica sentenza: homo sum, nihil humani a me alienum puto, uomo sono, e nulla di umano reputo per me alieno: Terenzio );

né sociale ( ricordate il Concilio: « Noi siamo tentati di pensare che allora soltanto i nostri diritti personali sono pienamente salvi, quando siamo sciolti da ogni norma della legge divina » ( Gaudium et Spes, 41 ).

Cioè, è marcata nella mentalità dell'uomo moderno la distinzione, anzi la separazione del cittadino del mondo profano da ogni riferimento di carattere religioso.

Che un cittadino del mondo profano si appelli a principii dottrinali aprioristici, altrettanto impegnativi, quanto discutibili, sembra cosa del tutto normale, anzi onorifica per la coerenza risultante fra le idee e la maniera di applicarle; ma che un cristiano osi professarsi tale nell'esercizio delle funzioni sociali o professionali sue proprie, questo oggi troppo spesso sembra intollerabile,

come una mancanza di buon senso e di buon gusto,

come un clericalismo integrista oggi superato,

come un ceppo da infrangere alla libertà di discussione e d'azione.

Dopo il Concilio, si dice, la cultura profana, la scienza, l'attività temporale, la politica, la vita umana naturale, in una parola, sono affrancate dalla religione; essa rimane, ma ogni religione ha pari diritto di attestarsi come crede, perciò il ricorso al proprio carattere cristiano non ha più senso, se non forse nel foro segreto della coscienza, e se pur questa si ricorda che tale foro è tuttora aperto e giudicante.

Qui siamo al punto decisivo della nostra conversazione con la mentalità del nostro tempo.

Facciamo attenzione.

Che la cultura, la scienza, l'attività profane abbiano una loro specifica libertà di svolgimento, secondo le leggi proprie del pensiero naturale e dell'ordine razionale, noi lo ammettiamo senz'altro; anzi sarà l'educazione cattolica stessa a promuovere e a difendere dalla invadenza di ideologie preconcette la cultura e la ricerca scientifica, affinché esse siano guidate da puri criteri razionali, propri del campo a cui sono rivolte.

Il Concilio, se ci vogliamo riferire a questo grande pronunciamento sui maggiori problemi della nostra vita contemporanea, dice infatti chiaramente: « la missione propria affidata da Cristo alla sua Chiesa, non è d'ordine politico, economico o sociale: il fine, infatti, che Egli le ha prefisso è d'ordine religioso » ( Ibid. 42 ).

E ancora: « la Chiesa non vieta che le arti e le discipline umane si servano, nell'ambito proprio a ciascuna, di propri principii e di un proprio metodo; e perciò, riconoscendo questa giusta libertà, la Chiesa afferma la legittima autonomia della cultura e specialmente delle scienze » ( Gaudium et Spes, 59 et 36 ).

Ma questo non significa che l'uomo, proprio in quanto tale, e tanto di più se egli è cristiano, non sia ordinato a Dio, non sia cioè inserito in un rapporto vitale con il Principio, con il Legislatore e con il Fine della nostra esistenza, non sia, in altri termini, gratificato da un vincolo religioso, che la secolarizzazione della vita pratica, e tanto meno il secolarismo teorico e pratico, che prescinde radicalmente e arbitrariamente dalla realtà ontologica, non hanno potere di distruggere, anche se hanno l'infelice potere di dimenticare, o di rinnegare.

Un pesce non può prescindere dall'acqua in cui si trova; né l'uomo può prescindere dall'atmosfera in cui respira ed in cui si svolge la sua presente esistenza.

Dio è « l'elemento » ineffabile, ma reale, dal quale la nostra vita trae origine, norma e termine: essa è immersa in Dio.

Esulti chi ascolta: Dio è amore, oceano di amore.

In altri termini, è necessario che noi ritorniamo al pensiero di Dio, al fatto positivo della religione, e che noi diamo alla nostra fede religiosa il posto e la funzione che le spettano in una concezione sapiente ed organica della nostra vita.

La religione non intralcia la nostra attività profana; la rispetta, la promuove, la rettifica, la santifica.

Essa è come la lampada accesa nell'oscurità della stanza della nostra esperienza; l'oscurità scompare, e la stanza acquista il suo disegno, i suoi colori, la sua bellezza; e le sue deformità eventuali sono, a vantaggio di chi abita nella stanza, denunciate e rese riparabili.

Dio è la luce: « Dominus illuminatio mea et salus mea; quem timebo?

Il Signore è la mia luce e la mia salvezza: di chi dovrò io avere timore? » dice il celebre salmo ( Sal 27,1 ), che ancora ingemma la fronte dell'Università medioevale, e ancora indica a noi il cammino che dobbiamo risalire.

Risalire dunque, significa che non dobbiamo mai, per rispetto umano, arrossire d'essere gente la quale crede in Dio ed in Cristo, e la quale ha bisogno di slogans profani « tutto fare » e tutto dire, per svelare e professare il nostro sistema superiore di pensare e di agire.

In secondo luogo noi, noi stessi che ci crediamo e alla religione chiediamo le somme ragioni della nostra esistenza, noi dobbiamo essere sempre alla ricerca esplorativa e contemplativa di Dio e di Cristo rivelatore: cioè dobbiamo alimentare in noi stessi una attività religiosa personale, sui sentieri tracciati dalla Chiesa maestra, e aperti sull'infinito e beatificante mistero di Dio.

Meditare.

Pregare.

Pregare vuol dire salire; salire alla prima sorgente d'ogni cosa; dell'essere, del pensare, dell'operare, del godere …

Così c'insegni l'Anno Santo, così ci aiuti lo Spirito stesso di Dio, a pregare, a salire!

Con la nostra apostolica benedizione.