20 Aprile 1977
Il nostro tempo ci obbliga a prolungare la nostra riflessione sul mistero pasquale, sotto l'aspetto della nostra partecipazione a Cristo, aspetto molteplice per il fatto che la celebrazione sacramentale liturgica e morale dell'opera della redenzione da Lui compiuta e da noi rievocata e in certo modo ( sacramentale, penitenziale, devozionale ) rivissuta, tende a lasciare qualche traccia profonda nel nostro spirito e nel nostro costume.
La vita cristiana è caratterizzata da uno sforzo continuo e progressivo di rinnovamento e di perfezionamento: l'uomo interiore, che vive in noi, dice S. Paolo, è teso a rinnovarsi « de die in diem », di giorno in giorno ( Col 4,16 ).
Allora una domanda s'impone, la quale investe la nostra condotta: è in noi operante questo proposito di continuo perfezionamento?
ovvero esso subito ricade in una forma comune di vita che ci accusa di mediocrità consuetudinaria?
E così subito prevale in noi uno stile di vita, il quale non solo rinuncia a modellarsi sull'esempio e sull'insegnamento di Cristo, ma cerca di sottrarsi all'impegno che momentaneamente la celebrazione pasquale ci ha fatto sentire come logico, come urgente nella cella segreta della nostra coscienza, l'impegno d'essere autenticamente cristiani.
Vogliamo essere, diciamo a noi stessi nel cuore, come gli altri, come uno dei tanti individui, stampati in serie dalla società permissiva; anzi talora un istinto tentatore ci vorrebbe francare dalle forme troppo regolari del nostro modo di comportarci e lasciarci sperimentare qualche gesto audace e spregiudicato di libera condotta.
Questa è la moda; e uno sciame di stimoli provocatori ci assale da ogni parte per suscitare in noi le dormienti o inquiete passioni, che sembrano così reclamare come un naturale diritto l'esperienza che il retto sentimento morale ci dice peccaminosa.
Vi è perfino una tendenza, che partendo da cattedre autorevoli o da costumi spregiudicati, vorrebbe vincere gli scrupoli delle coscienze sensibili con la cura di Mitridate, cioè con l'assuefazione alla violazione della legge morale.
E questo non è cristiano, per non dire che non è umano, non è logico.
Noi dobbiamo invece sempre ricordare due ordini di verità, le quali fanno parte dei fondamentali principii del nostro corretto modo di pensare, e quindi di agire.
Il primo deriva dalla conoscenza che la nostra antropologia, cioè la nostra scienza dell'uomo, illuminata dalla fede e in parte confermata dalla nostra dolorosa esperienza, ci insegna; e cioè noi sappiamo che l'uomo è un essere, in cui è entrato un disordine, che possiamo dire perturbatore del suo disegno costituzionale ( Cfr. Rm 7,15 ), e che si sostiene spesso non esistere, se non per causa di coazioni antipedagogiche; opinione deleteria ancor oggi in voga.
L'altro ordine di verità ci prospetta una specie di duplicazione della nostra natura umana, sulla quale il pensiero ineffabile di Dio, a noi comunicato dalla fede, ha, per così dire, sovrapposto una « sopra-natura », un « uomo nuovo », il quale ridà all'« uomo vecchio » un volto purificato, dal quale è stata cancellata la deformazione del peccato, anche se non è stata tolta la debolezza che ancora lo rende possibile; ma per di più è stata impressa l'immagine nuova di un essere rigenerato, elevato alla figliazione adottiva di Dio, associato con una fratellanza che diviene convivenza con Cristo, e animato da un soffio vitale, divino, che chiamiamo la grazia e che attribuiamo allo Spirito Santo.
Ecco perché il concetto d'una vita immacolata, cioè pura, semplice, bella, è restituito, o piuttosto concesso a quelli che hanno ricevuto il battesimo, e che - come afferma San Pietro nella sua prima lettera - sono stati liberati « con il sangue prezioso di Cristo », come di « agnello immacolato ».
Questo ideale d'una vita innocente, incontaminata, immacolata deve essere restituito alla nostra mentalità cristiana e ridare a noi il proposito e la grazia d'un'esistenza nuova, veramente pasquale.
Con la nostra Benedizione Apostolica.