7 Dicembre 1977
Il Natale viene.
Se noi cerchiamo di comprenderlo come il punto di contatto del Dio eterno con il flusso ininterrotto del tempo che passa ci riesce più facile, quasi naturale, considerare questo avvenimento nel passato, di cui il Vangelo fa storia, e nell'avvenire, di cui il Vangelo è profezia.
Il Natale ci obbliga a pensare al Cristo venuto, e ci induce a pensare al Cristo che verrà.
Il nastro della storia porta incisa l'apparizione del Verbo di Dio fatto uomo: noi non avremo mai finito di considerare questo avvenimento:
nella sua lenta e secolare preparazione,
nella sua breve apparizione,
nelle sue conseguenze che ci toccano ancora e fanno della nostra vita temporale un esperimento,
una prova, al confronto di quella momentanea presenza di Cristo nei brevi anni della sua vita sulla terra,
come nostro modello,
nostro tipo di umanità,
nostro maestro,
nostro salvatore e fondatore della società della salvezza,
della comunione esistenziale con Lui, la quale chiamiamo Chiesa.
Questo Avvento, che si è verificato in fatti per sé prodigiosi, ma quasi inavvertiti nella scena del tempo, fu tuttavia così importante da costituire il punto focale della storia del mondo; « … mysteria clamoris, quae in silentio Dei operata sunt »; furono, scrisse fin dall'inizio del secondo secolo il celebre Ignazio, Vescovo di Antiochia e martire a Roma, furono misteri clamorosi, ma compiuti nel silenzio di Dio ( S. Ignati Antiocheni Ad Ephesios, 19 ).
Il Natale temporale di Cristo fu l'epilogo dell'antico Testamento, ma insieme fu l'inaugurazione del nuovo Testamento, quello in cui ora si svolge la nostra presente esistenza; così che due venute di Cristo ci fa celebrare il Natale,
quella di Betlemme, passata, ma folgorante nei secoli che le sono succeduti, fino a noi, fino alla fine del mondo,
e quella futura, quando Cristo ritornerà, e sarà in una forma per noi difficile perfino ad immaginare, nella sua gloria per giudicare l'umanità intera, « i vivi ed i morti » cioè quelli che sono viventi della vita di Cristo e quelli che ne sono colpevolmente privi.
Il Natale non ha soltanto lo sguardo rivolto all'indietro, alla nascita di Gesù nel presepio; esso ha lo sguardo anche proiettato nel futuro alla nuova e futura venuta gloriosa di Cristo ( Cfr. 2 Ts ).
Questa previsione è piena di mistero, ma piena anche d'ineffabile realtà.
« Sta scritto infatti - scrive San Paolo – ( 1 Cor 2,9ss ): quelle cose che occhio non vide, né orecchio udì, né mai entrarono in cuore di uomo, queste Iddio ha preparate per coloro che lo amano.
Ma a noi Dio le ha rivelate per mezzo dello Spirito … ».
E non dobbiamo noi dimenticare questo futuro, escatologico come si definisce, avvento che concluderà per l'eternità il regno di Dio e fisserà per sempre la nostra sorte.
Esso pende sopra di noi quasi profetica sanzione alla fine del tempo, dell'accoglienza da noi fatta al primo Natale nel tempo ora a noi concesso.
Il senso della vita presente si rischiara alla luce della vita futura.
I valori morali della nostra esistenza si impongono a noi all'estremo confronto con l'Avvento del Giudice, che ci fu fratello, maestro, modello, pane perfino di vita nel tempo presente, e che ci insegnò il senso della carità fraterna come titolo per l'ammissione alla società perenne e piena con la vita divina.
Non dunque un Natale profano e mondano sia ora il nostro, ma un momento di convergenza del Natale rievocato dal Vangelo con quello creduto e sperato per l'eternità, il Natale pio, buono, benefico di chi è cristiano.