5 Febbraio 1992

1. I primi lineamenti della comunità quale la Chiesa doveva diventare, li troviamo già prima della Pentecoste.

La « communio ecclesialis » si è formata secondo le raccomandazioni ricevute direttamente da Gesù, prima dell'Ascensione al cielo, in attesa della venuta del Paraclito.

Quella comunità già possedeva le componenti fondamentali, che dopo la venuta dello Spirito Santo si consolidarono ancor più e si resero distinte.

Ecco ciò che leggiamo negli Atti degli Apostoli: « Erano assidui nell'ascoltare l'insegnamento degli Apostoli e nell'unione fraterna, nella frazione del pane e nelle preghiere ».

E altrove: « La moltitudine di coloro che erano venuti alla fede aveva un cuor solo e un'anima sola ».

Queste ultime parole esprimono in modo forse più incisivo, perché più concreto, il contenuto della Koinonia, o comunione ecclesiale.

L'insegnamento degli Apostoli, la comune preghiera - anche al tempio di Gerusalemme - contribuivano a quell'unità interiore dei discepoli di Cristo: « un cuor solo e un'anima sola ».

2. Ai fini di quell'unità un momento particolarmente importante era la preghiera, anima della comunione, specialmente nei momenti difficili.

Così leggiamo che Pietro e Giovanni, dopo essere stati rimessi in libertà dal Sinedrio, « andarono dai loro fratelli e riferirono quanto avevano detto i sacerdoti e gli anziani.

All'udire ciò, tutti insieme levarono la voce a Dio dicendo: "Signore, tu che hai creato il cielo, la terra, il mare e tutto ciò che è in essi …" ».

« Quando ebbero terminato la preghiera, il luogo in cui erano radunati tremò e tutti furono pieni di Spirito Santo e annunziavano la parola di Dio con franchezza ».

Il Consolatore, come si vede, rispondeva anche in modo immediato alla preghiera della comunità apostolica.

Era quasi un costante completamento della Pentecoste.

E ancora: « Ogni giorno tutti insieme frequentavano il tempio e spezzavano il pane a casa prendendo i pasti con letizia e semplicità di cuore ».

Se il luogo della preghiera per allora era anche il tempio di Gerusalemme, celebravano l'Eucaristia « a casa », unendola con un gioioso pasto comune.

Il senso della comunione era così intenso da spingere a mettere i beni materiali di ciascuno a servizio dei bisogni di tutti: « Nessuno diceva sua proprietà quello che gli apparteneva, ma ogni cosa era fra loro comune ».

Ciò non significa che venisse eretto a principio il rifiuto della proprietà personale ( privata ); indica soltanto una grande sensibilità fraterna di fronte ai bisogni altrui, come provano le parole di Pietro nell'incidente con Anania e Saffira.

Ciò che risulta chiaramente dagli Atti, e da altre fonti neotestamentarie, è che la Chiesa primitiva era una comunità che portava i suoi membri a condividere gli uni con gli altri i beni disponibili, specialmente in favore dei più poveri.

3. Ciò vale ancor più per il tesoro di verità ricevuto e posseduto.

Si tratta di beni spirituali che devono essere condivisi, cioè comunicati, diffusi, predicati, come insegnano gli Apostoli con la testimonianza della loro parola e del loro esempio: « Noi non possiamo tacere - essi dicono - quello che abbiamo visto e ascoltato ».

Perciò parlano, e il Signore conferma la loro testimonianza.

Infatti, « molti miracoli e prodigi avvenivano fra il popolo per opera degli Apostoli ».

L'Apostolo Giovanni esprimerà questo intento e questo impegno degli Apostoli con la dichiarazione fatta nella sua prima lettera: « Quello che abbiamo veduto e udito, noi lo annunziamo anche a voi, perché anche voi siate in comunione con noi.

La nostra comunione è col Padre e col Figlio suo Gesù Cristo ».

Questo testo ci fa capire la coscienza degli Apostoli e della comunità primitiva da essi formata, sulla comunione trinitaria da cui la Chiesa attinge l'impulso per l'evangelizzazione, che a sua volta serve all'ulteriore sviluppo della comunità ( « communio ecclesialis » ).

Al centro di questa comunione, e della comunione in cui si apre, si trova Cristo.

Scrive infatti Giovanni: « ( Vi annunziamo ) ciò che era fin da principio, ciò che noi abbiamo udito, ciò che noi abbiamo contemplato e ciò che le nostre mani hanno toccato, ossia il Verbo della vita: poiché la vita si è fatta visibile, noi l'abbiamo veduta, e di ciò rendiamo testimonianza e vi annunziamo la vita eterna che era presso il Padre e si è resa visibile a noi ».

San Paolo, a sua volta, scrive ai Corinzi: « Fedele è Dio, dal quale siete stati chiamati alla comunione del Figlio suo Gesù Cristo, Signore nostro ».

4. San Giovanni mette in risalto la comunione con Cristo nella verità.

San Paolo sottolinea la « partecipazione alle sue sofferenze », concepita e proposta come comunione con la Pasqua di Cristo, partecipazione al mistero pasquale, ossia al « passaggio » redentivo dal sacrificio della Croce alla manifestazione della « potenza della sua Risurrezione ».

La comunione della Pasqua di Cristo diventa nella Chiesa primitiva - e in quella di sempre - fonte di comunione reciproca: « Se un membro ( della comunità ) soffre, tutte le membra soffrono insieme ».

Di qui nasce la tendenza alla reciproca elargizione anche dei beni temporali, che Paolo raccomanda di dare ai poveri, quasi per attuare una certa compensazione, nella equiparazione d'amore tra il dare degli abbienti e il ricevere dei bisognosi: « La vostra abbondanza supplisca alla loro indigenza, perché anche la loro abbondanza supplisca alla vostra indigenza ».

Come si vede, coloro che danno, secondo l'Apostolo, nello stesso tempo ricevono.

E tale processo non serve solo al livellamento della società, ma anche alla edificazione della comunità del Corpo-Chiesa, che « ben compaginato e connesso … riceve forza per crescere in modo da edificare se stesso nella carità ».

Anche mediante tale scambio la Chiesa si realizza come « communio ».

5. La fonte di tutto rimane sempre Cristo, nel suo mistero pasquale.

Quel « passaggio », dalla sofferenza alla gioia, è stato dallo stesso Gesù paragonato, secondo il testo di Giovanni, alle doglie del parto: « La donna, quando partorisce, è afflitta, perché è giunta la sua ora; ma quando ha dato alla luce il bambino, non si ricorda più dell'afflizione, per la gioia che è venuto al mondo un uomo ».

Questo testo può essere riferito anche al dolore della Madre di Gesù sul Calvario, come a Colei che « precede » e riassume in sé la Chiesa nel « passaggio » dal dolore della Passione alla gioia della Risurrezione.

Gesù stesso applica quella sua metafora ai discepoli e alla Chiesa: « Così anche voi, ora, siete nella tristezza; ma vi vedrò di nuovo, e il vostro cuore si rallegrerà e nessuno vi potrà togliere la vostra gioia ».

6. A realizzare la « comunione », ad alimentare la comunità congregata in Cristo, interviene sempre lo Spirito Santo, sicché nella Chiesa vi è la « comunanza nello Spirito »  (Koinonìa pneumatos ), come dice San Paolo.

Proprio mediante questa « comunanza nello Spirito », anche l'elargizione dei beni temporali rientra nella sfera del mistero e serve l'istituzione ecclesiale, incrementa la comunione, e questa si risolve in un « crescere verso di lui, che è il capo: verso Cristo ».

Da Lui, per Lui e in Lui, Cristo, in virtù dello Spirito vivificante, la Chiesa si attua come un Corpo « ben compaginato e connesso mediante la collaborazione di ogni giuntura, secondo l'energia propria di ogni membro ».

Dall'esperienza di « comunione » dei primi cristiani, percepita in tutta la sua profondità, derivò l'insegnamento di Paolo sulla Chiesa come « Corpo di Cristo-Capo ».