2 Agosto 1995

1. Nella precedente catechesi abbiamo sottolineato come il Concilio Vaticano II indichi la preghiera come ineludibile compito principale dei cristiani che intendono veramente impegnarsi per la piena realizzazione dell’unità voluta da Cristo.

Il Concilio aggiunge che il movimento ecumenico “impegna tutta la Chiesa, sia i fedeli che i pastori” ognuno secondo la propria capacità, tanto nella vita cristiana di ogni giorno, quanto negli studi teologici e storici ( cf. Unitatis Redintegratio, 5 ).

Ciò significa che la responsabilità in tale ambito può e deve essere considerata a vari livelli.

Essa coinvolge tutti i cristiani ma, come e ben comprensibile, impegna alcuni, come ad esempio i teologi e gli storici, in un modo tutto speciale.

Già dieci anni fa osservavo che “occorre dimostrare in ogni cosa la premura di venire incontro a ciò che i nostri fratelli cristiani, legittimamente, desiderano e si attendono da noi, conoscendo il loro modo di pensare e la loro sensibilità …

Bisogna che i doni di ciascuno si sviluppino per l’utilità e a vantaggio di tutti” ( Insegnamenti di Giovanni Paolo II, VIII/1 [1985] 1991 ).

2. Possiamo elencare le piste principali che il Concilio propone di percorrere nell’azione ecumenica.

Esso ricorda anzitutto il bisogno di un continuo rinnovamento.

“La Chiesa peregrinante – afferma – è chiamata da Cristo alla continua riforma di cui, in quanto istituzione umana e terrena, ha sempre bisogno” ( Unitatis Redintegratio, 6 ).

É una riforma che riguarda tanto i costumi quanto la disciplina.

Si può aggiungere che tale bisogno proviene dall’alto, ossia dalla stessa disposizione divina che pone la Chiesa in stato di permanente sviluppo.

Ciò comporta un adeguamento alle circostanze storiche, ma anche e soprattutto il progresso nel compimento della sua vocazione come risposta sempre più adeguata alle esigenze del disegno salvifico di Dio.

Altro punto fondamentale è l’impegno della Chiesa nel prendere coscienza delle mancanze e dei difetti che, a causa della fragilità umana affliggono i suoi membri pellegrinanti lungo la storia.

Ciò vale specialmente per le colpe che, anche da parte dei cattolici, sono state commesse contro l’unità.

Non bisogna dimenticare l’ammonimento di Giovanni: “Se diciamo che non abbiamo peccato, facciamo di lui un bugiardo e la sua parola non è in noi” ( 1 Gv 1,10 ).

Proprio riferendosi a questo ammonimento, il Concilio esorta: “Perciò con umile preghiera chiediamo perdono a Dio e ai fratelli separati, come pure noi rimettiamo ai nostri debitori” ( Unitatis Redintegratio, 7 ).

Di grande importanza si rivela, in questo cammino, la purificazione della memoria storica, poiché “ciascuno deve convertirsi più radicalmente al Vangelo e, senza mai perdere di vista il disegno di Dio, deve mutare il suo sguardo” ( Lettera enciclica Ut unum sint, 15 ).

3. Si deve inoltre ricordare che la concordia con i fratelli delle altre Chiese e comunità ecclesiali, come del resto col prossimo in generale, si radica nella determinazione di condurre una vita più conforme a Cristo.

Sarà dunque la santità di vita, assicurata dall’unione con Dio mediante la grazia dello Spirito, a rendere possibile e a far progredire anche l’unione di tutti i discepoli di Cristo, poiché l’unità è un dono che proviene dall’alto.

Insieme con la “conversione del cuore” e la “santità di vita”, rientrano nell’azione ecumenica anche le “preghiere private e pubbliche per l’unità dei cristiani”, che si sogliono promuovere in diverse circostanze e specialmente in occasione di convegni ecumenici.

Esse risultano tanto più necessarie quanto più si constatano le difficoltà lungo il cammino verso la piena e visibile unità.

Si comprende così che solo dalla grazia divina può venire un reale progresso verso l’unità voluta da Cristo.

Perciò è da lodarsi qualsiasi occasione in cui i discepoli di Cristo si incontrano per invocare da Dio il dono dell’unità.

Il Concilio dichiara che questo non solo è lecito, ma anche desiderabile ( cf. Unitatis Redintegratio, 8 ).

Il comportamento concreto da tenersi nelle diverse circostanze – di luogo, di tempo e di persone – deve essere deciso in sintonia con il Vescovo locale, nel contesto delle norme date dalle Conferenze episcopali e dalla Santa Sede ( cf. Unitatis Redintegratio, 8; Direttorio ecumenico, 28-34 ).

4. Con uno speciale impegno si dovrà cercare di conoscere meglio sia gli stati d’animo, sia le posizioni dottrinali, spirituali e liturgiche dei fratelli delle altre Chiese o Comunità ecclesiali.

A tale scopo giovano i convegni di studio, riuniti “con la partecipazione di entrambe le parti, per affrontare specialmente questioni teologiche, dove ognuno tratti da pari a pari, purché quelli che vi partecipano sotto la vigilanza dei Vescovi siano veramente dei periti” ( Unitatis Redintegratio, 9 ).

Questi incontri di studio devono essere animati dal desiderio di porre in comune i beni dello Spirito e della conoscenza per un effettivo scambio di doni alla luce della verità di Cristo e con l’animo ben disposto ( cf. Unitatis Redintegratio, 9 ).

Una metodologia animata dalla passione per la verità nella carità richiede da tutti i partecipanti il triplice impegno di esporre bene la propria posizione, sforzarsi di capire gli altri, ricercare i punti di concordia.

Anche in vista di queste forme di azione ecumenica, il Concilio raccomanda che l’insegnamento della teologia e delle altre discipline, specialmente storiche, sia fatto “anche sotto l’aspetto ecumenico” ( Unitatis Redintegratio, 10 ).

Esso eviterà lo stile polemico e tenderà invece a mostrare le convergenze e le divergenze che ci sono tra le varie parti nel modo di recepire e di presentare le verità della fede.

É evidente che la fermezza nella fede definita non sarà scossa, se una sincera adesione alla Chiesa sarà alla base della metodologia ecumenica seguita nell’opera di formazione.

5. Su questa stessa base dovranno poggiare le modalità del dialogo.

In esso la dottrina cattolica deve essere esposta con chiarezza nella sua integralità: “Niente è più alieno dall’ecumenismo quanto quel falso irenismo, dal quale viene a soffrire la purezza della dottrina cattolica e viene oscurato il suo senso genuino e preciso” ( Unitatis Redintegratio, 11 ).

L’impegno dei teologi deve dunque essere quello di spiegare la fede cattolica con profondità ed esattezza.

Essi devono procedere “con amore della verità, con carità e umiltà”.

Inoltre, nel mettere a confronto le dottrine, si ricordino – come raccomanda il Concilio – “che esiste un ordine o “gerarchia” nelle verità della dottrina cattolica, essendo diverso il loro nesso col fondamento della fede cristiana” ( Unitatis Redintegratio, 11 ).

Su questo importante punto dovranno essere ben preparati e capaci di discernere il riferimento che le varie tesi e gli stessi articoli del Credo hanno con le due verità fondamentali del Cristianesimo la Trinità e l’Incarnazione del Verbo Figlio di Dio “propter nos homines et propter nostram salutem”.

I teologi cattolici non possono mettersi su vie che contrastino con la fede apostolica, insegnata dai Padri e ribadita dai Concili.

Essi dovranno sempre partire dall’umile e sincera accettazione della esortazione ripetuta dal Concilio proprio a proposito del dialogo ecumenico: “Tutti i cristiani professino davanti a tutti i popoli la fede in Dio uno e trino, nell’incarnato Figlio di Dio, Redentore e Signore nostro” ( Unitatis Redintegratio, 12 ).