19 novembre 2021

Domenica 34° Tempo Ordinario Cristo Re. Anno B. ( Gv 18,33-37 )

Un Regno di Verità e di Vita, non di quaggiù ma per quaggiù.

1. Può forse crearci qualche imbarazzo celebrare la solennità di Cristo, re dell'universo, perché siamo tentati di proiettarvi le logiche della regalità umana, come le conosciamo nell'esperienza storica.

Questo problema era percepito, in modo ancora più acuto, all'epoca in cui Gesù ha vissuto e sono nati gli scritti su di lui, poiché allora ci si doveva confrontare con un esercizio della regalità ancora più dispotico e assoluto di quello che noi oggi conosciamo.

Intuiamo allora che l'immagine del re o del regno di Dio ha una venatura polemica, opera un discernimento critico su come la regalità viene esercitata nella storia.

Accade a tante altre immagini che Gesù utilizza per parlare di sé, soprattutto in Giovanni.

Egli si definisce come il Pastore vero, marcando la sua differenza da altri pastori che non hanno saputo prendersi cura delle pecore loro affidate;

egli è la Vite vera, così diversa da altre viti che hanno prodotto uva acerba;

egli è il vero Pane di vita, non come la manna data da Mosè nel deserto, di cui mangiarono i padri, ma poi morirono.

Così egli è Re, non come i re di questo mondo: "Il mio regno non è di questo mondo; se il mio regno fosse di questo mondo, i miei servitori avrebbero combattuto perché non fossi consegnato ai Giudei; ma il mio regno non è di quaggiù".

2. Ciò non significa che il suo regno rimanga estraneo alla nostra storia, o si situi in un altrove che non sappiamo bene dove collocare.

Tutt'altro.

Il regno di Dio matura dentro i confini della vita e della storia, ma secondo logiche diverse rispetto ai poteri mondani; addirittura alternative e irriducibili, e pertanto portatrici di una parola critica, profetica, che chiama a una radicale conversione dei cuori e delle mentalità.

Ecco perché Pilato non poteva capire.

Se il regno appartiene a un altro mondo, lo potremmo attendere, ma continuando a vivere nella storia secondo le sue logiche.

Se il regno matura invece dentro di essa, ecco allora che siamo chiamati sin da ora a lasciarci trasformare dal modo di essere di Gesù e dalla sua paradossale regalità.

In cosa consiste questa logica diversa?

A quale conversione ci sprona?

3. Un tratto di questa diversa regalità di Gesù possiamo riconoscerlo proprio nel titolo con cui Pilato lo interroga: "Sei tu il re dei giudei?".

Di per sé questo non è un titolo biblico.

Non lo incontriamo nelle Scritture di Israele.

C'è sì "re di Israele", ma non "re dei Giudei".

Anche nei Vangeli risuona molto raramente, soltanto in due contesti: nei racconti della Passione e ne vangelo dell'infanzia di Matteo, sulle labbra dei Magi: "Dov'è colui che è nato, il re dei Giudei?".

A questa domanda i Vangeli rispondono con il racconto della passione: ecco il re dei Giudei, ecco dove lo si può adorare, innalzato sulla croce.

Incontriamo il re nell'atto supremo, che sintetizza tutta la sua esistenza, qual è l'atto di donare la vita, per tutti, nell'amore.

Stando alla logica del mondo, il regno – ricorda Gesù a Pilato – avrebbe bisogno di chi combatta "perché non fossi consegnato ai Giudei"; nella logica di Dio non c'è nulla da difendere, perché tutto viene consegnato.

4. Noi capiamo Gesù, ma pratichiamo e testimoniamo il suo modo alternativo di essere re?

Sappiamo benissimo che essere re alla maniera di Gesù è l'unico modo per rendere il mondo più giusto, più bello, più in pace, più abitabile per tutti, perché tutte le magagne del mondo, ma anche delle famiglie, dei posti di lavoro, persino delle parrocchie e dei conventi nascono dal voler essere re alla maniera del mondo.

Lo so è difficile!

In questo la vera difficoltà dell'essere discepoli di Gesù sta proprio nell'accettare di essere re non alla maniera di questo mondo, nell'essere disponibili a servire, nel presentarsi disarmati, nel coraggio di andare come agnelli in mezzo ai lupi.

Non pensiamo però soltanto al mondo e alla Chiesa ai massimi livelli.

Pensiamo al nostro piccolo mondo e al nostro piccolo essere Chiesa: la casa, il condominio, il posto di lavoro e volontariato, le relazioni sociali …

Dobbiamo provarci ogni giorno, dovunque.

Non c'è altra possibilità che essere re alla sua maniera: in questo mondo senza essere del mondo, non di quaggiù ma per quaggiù.

5. Gesù conclude il dialogo con Pilato con queste parole: "Tu lo dici: io sono re.

Per questo io sono nato e per questo sono venuto nel mondo: per dare testimonianza alla verità: Chiunque è dalla verità, ascolta la mia voce".

Per capire meglio il significato di questa affermazione occorre leggerla in collegamento con quella immediatamente precedente, con la quale, del resto, forma un tutt'uno.

Rispondendo a Pilato, espressione tipica di una vita fondata sul compromesso, Gesù si presenta come Colui che è venuto nel mondo per rendere testimonianza alla verità.

E la verità per Gesù è soprattutto la Parola che Egli ha ricevuto dal Padre: è la Parola che il Padre, attraverso Gesù, ha mandato nel mondo per svelarci il senso vero della nostra esistenza e comunicarci quella pienezza di vita per la quale siamo stati creati.

Gesù dunque, presentandosi come il testimone della verità, vuole dirci che egli ci trasmette la Parola del Padre in modo assolutamente fedele, al punto di identificarsi con la verità.

6. Essendo Gesù la verità, per capire Gesù occorre essere dalla verità.

In altre parole occorre essere in una certa sintonia, avere una certa connaturalità con la verità, che poi si identifica con il vero bene.

E questa c'è se si è interiormente aperti, se si cerca e si ama la verità, se si è disposti ad accoglierla e a metterla in pratica, anche quando ci chiedesse delle rinunce un pò dure e scomode.

Se uno possiede questa apertura e generosità, sboccerà immancabilmente in lui l'amore e la sete per Gesù, si orienterà quasi istintivamente verso di lui, ascolterà la sua voce preferendola a tutte le altre voci che fossero in disaccordo con la sua, e scoprirà, facendone l'esperienza, che Gesù è la verità, è la pienezza della vita, è la risposta ai nostri problemi più gravi, e alle nostre aspirazioni più profonde.

È evidente che questa Parola vuole metterci in guardia particolarmente contro il grave pericolo del compromesso, cioè contro la tendenza al patteggiamento tra il Vangelo di Gesù e le regole del mondo; voler cioè seguire Gesù, ma fino a che non ci mette in contrasto troppo aperto con il mondo.

7. Gesù non dice "chi ha la verità", ma "chi è dalla verità".

Non è una dottrina che si possiede, ma l'atteggiamento di chi si pone in sintonia con l'amore del Padre e si traduce in opere che comunicano la vita agli uomini.

Quindi per Gesù non si ha la verità, ma si fa la verità, si è nella verità, si cammina nella verità.

Essere nella verità significa aver posto il bene dell'uomo come valore assoluto, non il proprio bene, il potere; mentre chi ha la verità, in base alla verità, alla dottrina, si può separare dagli altri e li può giudicare.

Chi è nella verità mette il suo amore a servizio di tutti.

Questa è la condizione per ascoltare la voce di Gesù: essere nella verità.

Non dice "chi ascolta la mia voce è dalla verità".

Per ascoltare la voce di Gesù occorre una premessa: aver orientato la propria vita per il bene degli altri.

Altrimenti la voce di Gesù si può ascoltare ma non capire.

Per comprendere la regalità di Gesù e per viver un rapporto di profonda appartenenza e dipendenza, occorre aver scelto la verità.

8. Sul patibolo Pilato fece porre un'iscrizione in tre lingue: in ebraico, latino e greco, perché fosse letta e capita da tutti: "Gesù il nazareno, il re dei Giudei".

Senza rendersene conto, il rappresentante del più potente regno di questo mondo riconosceva, in modo ufficiale, la regalità di Gesù.

Quando i sommi sacerdoti protestarono chiedendogli che la rettificasse, dichiarò che quella dichiarazione era irreversibile: "Ciò che ho scritto rimane scritto".

Lui , il depositario dell'autorità dell'imperatore, non la poteva modificare: la vittoria degli sconfitti era iniziata con il loro re innalzato sulla croce.

Nessun regno di questo mondo era ormai più in grado di arrestarne l'avanzata.

Questa è stata la grande sorpresa di Dio.

9. Nella scena conclusiva del processo ( Gv 19,14 ), Pilato conduce fuori Gesù e lo pone a sedere su una tribuna elevata.

È mezzogiorno e il sole è allo zenit quando di fronte a tutto il popolo Pilato, indicando Gesù, coronato di spine e rivestito con il mantello di porpora, proclama: "Ecco il vostro re".

È il momento dell'intronizzazione, è la presentazione del sovrano del nuovo regno, del regno di Dio.

Gesù è in silenzio, attende che ognuno si pronunci e faccia la sua scelta.

Cristo è Re e Signore della mia vita?

Chi regna dentro di me, chi fissa gli scopi e stabilisce le priorità: Cristo o qualcun altro?

S. Paolo ( Rm 14,7-9 ) dice che esistono due modi possibili di vivere: o per se stessi o per il Signore.

Chi vive per se stesso, tende alla propria soddisfazione e alla propria gloria.

Chi vive per il Signore, vive in vista di lui, per la sua gloria, per il suo regno.

È una nuova esistenza di fronte alla quale la morte stessa ha perso il suo carattere di irreparabilità.

La contraddizione più radicale non è più tra il vivere e il morire, ma tra il vivere per se stessi e il vivere per il Signore.

Da questa scelta dipendono la riuscita o il fallimento di una vita.

Nasce spontaneo dal cuore il canto che conosciamo bene:

Tu sei la mia vita, altro io non ho.

Tu sei la mia strada, la mia verità.

Nella tua parola io camminerò finché avrò respiro, fino a quando tu vorrai.

Non avrò paura, sai, se tu sei con me: io ti prego, resta con me.

Tu sei la mia forza: altro io non ho.

Tu sei la mia pace, la mia libertà.

Niente nella vita ci separerà.

Gesù non cerca sudditi, ma discepoli e amici fedeli, che condividono la sua causa.

Don Osvaldo