Crocevia Presentazione Riccardo Mottigliengo è persona che possiamo considerare un "cristiano radicale": radicale nella esigenza di una spiritualità profonda ancorata nella conoscenza della Parola e della Tradizione, radicale nella responsabilità morale di esaminare i segni dei tempi, radicale nel trarre le conseguenze di un tale approccio. La prima volta che mi sottopose "Crocevia" era molti anni fa. La sua preoccupazione al tempo era quella di mettere in sicurezza il testo che aveva scritto affinché non ne andassero perduti né il contenuto né il rimando alla sua personale esperienza. Ho ripreso il vecchio manoscritto e l'ho trovato ancora ( e forse di più ) attuale oggi, quando la consapevolezza di quel che accade sembra perdersi nell'indistinta vita quotidiana - abbiamo troppe cose da fare e da organizzare - mentre il messaggio che contiene ci "inchioda" alle verità più alte e ci consente l'intelligenza di ciò che riguarda il destino vero della nostra esistenza. L'Autore propone il rimando al Crocifisso e Risorto non solo per non perdere la bussola della vita cristiana ma per trovare in Lui il fattivo conforto, la percettibile vicinanza, il fondato incoraggiamento a ricominciare, soprattutto quando ogni aspetto della vita sembra esaurire lo spirito propulsivo. L'Ostensione della Sindone 2015 mi ha attirato a proporre la pubblicazione di "Crocevia": quell'Amore più grande, al quale l'icona misteriosamente impressa sul telo ci richiama, si sostanzia in una possibilità reale di incontro con Gesù. Mottigliengo lo descrive, con pudore ma senza nascondimento, perché questa esperienza sia accessibile ai tanti che "girano intorno" al grido che emerge dal loro spirito e che temono di non poter osare di trasformare in preghiera. Peraltro, lanciando la proposta a Riccardo, è emerso che la sua sensibilità al Crocifisso e Risorto affonda i suoi primi sviluppi nella contemplazione proprio della Sindone, o meglio, dell'urna che la conteneva nella cappella reale del Duomo fino a che l'incendio del 2007 non ha costretto a trovare un altro più sicuro e adeguato contenitore. Da ragazzo, venendo dal San Giovannino, la scuola salesiana di punta nel quartiere di San Salvario a Torino, arrivava a Porta Palazzo - dove lo attendevano i nonni - concedendosi spesso una sosta fra gli scuri marmi sabaudi. All'inizio potevano prevalere la curiosità giovanile e il gusto artistico ( Riccardo è diventato poi architetto ) per i valori esterni che accompagnavano la devozione al Sacro Telo. Dopo divenne capacità spirituale di "andare dentro" all'involucro e di riflettere ( senza timore di ripetere e di approfondire infinite volte lo stesso pensiero ) sul segno provvidenziale che è l'avvenuta preservazione di questa credibile testimonianza della sepoltura di Gesù. Più avanti in età, amico del cardinale Giovanni Saldarini, Arcivescovo di Torino, insieme con lui rimase profondamente addolorato quando le fiamme misero in serio pericolo il futuro materiale della Sindone e posero l'ulteriore interrogativo: perché è successo? È sorpreso e affascinato dalla storia e dalla realtà della Sindone: i Cavalieri che la salvarono dalla distruzione di Gerusalemme, la necessaria riservatezza nel suo itinerare per Asia ed Europa ( aree geografiche insanguinate e in decadenza con la fine dell'Impero Romano di Occidente e di Oriente ), il suo riemergere dalle profondità dei luoghi e dei tempi per essere oggi sottoposta, senza alcun timore reverenziale, ai più esigenti esami scientifici. Passando per i Cistercensi, eredi per molti aspetti dell'animo battagliero di quei Cavalieri, voltandolo a favore della costruzione di comunità capaci di dare lavoro e dignità spirituale a ogni esiliato oltre che ad ogni eletto. Lo spirito e lo stile di Riccardo Mottigliengo richiamano proprio quella miscela di austerità e di operosità monacale. E non a caso questo scritto muove i suoi passi proprio dalla costruzione delle cattedrali, il frutto architettonico e religioso del tempo di nascenza dell'Europa che oggi conosciamo. Buona lettura. Antonio R. Labanca Guardare la luce Guardare la luce che entra dalle vetrate nella cattedrale di Chartres o in quella di Troyes o di Burgos ci indica, ci fa vedere, un pezzo di verità, la via misteriosa ma visibile e reale di un rapporto possibile con Dio. Esiste in Francia, nel cuore della Foresta d'Oriente, trenta chilometri a est dell'antica città di Troyes, una vecchia quercia che ha una circonferenza pari ad una catena di sette braccia. In quella foresta, come anche in altre foreste di Francia, si prova la sensazione di comprendere l'ispirazione che portò alla costruzione di quelle meraviglie umane che sono le cattedrali gotiche. I rami alti degli alberi, che si incrociano sorretti dai lunghi e forti fusti, ricordano la forza e la leggerezza dei pilastri, degli archi, delle volte, delle vele e lo sfavillio chiaro, luminoso, brillante delle luci delle cattedrali. La foresta è stata la sorgente di ispirazione. Pensiamo allo straordinario spirito di perseveranza dimostrato da uomini che iniziarono un lavoro certi di non vederne l'ultimazione, pronti a lasciarne ai figli, e in qualche caso ai nipoti, la prosecuzione. L'intimo movente che ha realizzato le Cattedrali, forse la più divina delle creazioni umane, nasce proprio dall'esperienza, anche mistica, della foresta, un luogo ove la nostalgia della verità si fa sentire. La costruzione delle cattedrali è stata l'occasione della nascita di una nuova generazione cristiana di vite spese bene. Pensiamo alla capacità degli architetti, ma anche al coraggio dei carpentieri. Mille particolari dimostrano la cura, propriamente religiosa, del lavoro fatto. Ogni persona scoprì e si convinse di lavorare collettivamente alla costruzione di un tempio di comunione. E anche l'ammirazione di chi semplicemente assisteva ai lavori era di aiuto, era una forma di partecipazione. Guardare crescere un tempio. Chi desiderava scoprire la verità del proprio stato, capire di più gli intimi perché comuni a tutti, in ogni tempo, da quel tipo di vita aveva delle risposte. Certo la morte era presente e la vita media molto bassa, ma era chiaramente più importante partecipare alla costruzione di una casa comune più bella possibile che vivere nell'indifferenza di questo valore. "Sia lodato Gesù Cristo" non era un modo di dire. Era fatto. Il fine del nostro essere trovava una risposta. Gesù era con loro. Da quell'esperienza si capisce che abbracciare tutta la verità è possibile solo in tanti, forse solo tutta l'umanità insieme può farcela. Nessuna persona esclusa. Ognuno ha il suo peso e solo tutti insieme possiamo raggiungere il peso che Dio ha posto sull'altro piatto della bilancia. L'ordine e la simmetria sono il risultato della complessità disordinata e sempre asimmetrica, imperfetta, dedicata a Dio. Dio è stato il vero committente delle cattedrali. Sono la Sua volontà. L'economia rurale cominciò a trasformarsi. La professionalità prese valore e avvicinò le persone su piani nuovi. L'integrazione dei valori e delle capacità umane ricominciò ad avere senso. E la gente si riconosceva in questa crescita che la cattedrale manifestava ( pensate il rapporto dimensionale e di importanza tra le casette contadine del villaggio di Chartres e la loro Cattedrale nel 1250 ). Intorno alle cattedrali, sulla base dei cantieri e della concentrazione di decine di anni di lavori, si svilupparono le prime città "nuove". Era la Festa. Viaggiatori e pellegrini, scambi e circolazione del denaro, diedero il via ad una nuova civiltà ( non certo alla nostra inciviltà ). Dio è stato il vero committente. L'impossibile statico e costruttivo di una cattedrale indicò chiaramente che si può fare l'impossibile solo se lo si dedica a Dio e Lui lo vuole. Allora vale la pena di condividere il pensiero di Emmanuel Mounier quando scrive: "ma allora metti la vela grande dell'albero maestro e uscito dai porti in cui vegeti salpa verso la stella più lontana senza badare alla notte che t'avvolge". La memoria storica e l'esperienza umana hanno un senso solo quando ci servono a chiarire le confusioni e le assurdità esistenziali, i perché alienanti. Se siamo intellettualmente onesti e ci sforziamo di chiarire la nostra realtà troviamo "la" risposta, che cerchiamo solo se accettiamo di condividere il pensiero di Pascal quando afferma: "al di fuori di un rapporto stretto, una relazione fisica carnale con Gesù Cristo, non possiamo davvero capire né la nostra vita, né la nostra morte né Dio, né noi stessi." È un'affermazione che non consente sottintesi o impliciti. È molto chiara. Abbiamo un infinito bisogno di vivere Abbiamo davvero un infinito bisogno di vivere, e non di lasciarci morire credendo invece di vivere. Ogni attimo che passa è nella logica temporale di quelli che credono di vivere ( il rolextime o il sectortime a secondo del portafoglio ); è un tempo che ci avvicina alla morte in modo irreversibile e inarrestabile. Invece abbiamo bisogno di allontanarci dalla morte, di invertire il tempo, di vivere ogni attimo che passa per la nostra vita. Sembra un po' retorico o scontato ma è invece una riflessione da fare con assoluta e approfondita serietà. Vogliamo vivere o morire? Sta a noi la scelta, possiamo decidere. Se scegliamo di morire, allora dobbiamo tendere a una vita-illusione. Se scegliamo di vivere, allora dobbiamo tendere a una vita-reale. Nel primo caso cerchiamo di fuggire dalla realtà finché possiamo, e poi spegniamo il cervello nei modi che la tecnica esistenziale illusoria propone, in genere una qualche forma di droga ( abitudini potere, eroina, successo, graduale eutanasia da farmaci, etc ). Nel secondo impariamo e ci prepariamo ad affrontare la realtà, soprattutto quando questa sembra anti-umana, dura e violentai. Ma il superamento della sofferenza dentro e attraverso la sofferenza, e non con la droga, ci apre ad una vita realmente diversa, per noi uomini e donne di questo tempo. E questa scelta si fonda solo sulla nostra personale e distintiva volontà di attuare la naturale capacità di amare e di fare del bene. È vero che ne siamo potenzialmente capaci, ma è anche vero che non amiamo abbastanza e quasi nessuno ci aiuta a migliorare su questo piano che è essenziale, assolutamente essenziale, per vivere. Dobbiamo scegliere di amare in ogni circostanza, quando siamo indifferenti e anche quando sentiamo di odiare. Pensiamo alla "Y" pitagorica, il bivio simbolico che ogni persona incontra alcune volte nella sua vita e che la costringe, volente o nolente, a scegliere. Il segno pitagorico è un trivio, una via principale a senso unico che rappresenta la nostra vita che incontra una scelta obbligata: proseguire per la via larga o scegliere il braccio stretto della Y. Non si può non scegliere, si può tirare diritto per la nostra strada, o decidere per la via più stretta. La saggezza del proverbio "chi lascia la strada vecchia per la nuova, sa quel che lascia ma non sa quel che trova" in questo caso è falsa ed interessata. La mitica saggezza proverbiale è sorella dell'astrologia nel soddisfare soprattutto i "furbi" conoscitori di proverbi e astri. Non si può non scegliere. Questa è l'unica prevaricazione alla nostra libertà che Dio ci impone. Ci ha dato la libertà di scegliere ma pretende che scegliamo. Anche se non crediamo di essere creature di Dio, comunque dobbiamo ammettere che la nostra razionalità è conformata, è fatta per decidere. Nessuno evita la decisione. Sì e no sono interiori o esplicite risposte a cosa ci accade. Accettiamo o rifiutiamo anche quando crediamo di essere indifferenti. Blaise Pascal ha aiutato molti a scegliere, a giustificare una scelta, proponendo un ragionamento logico che lascia pochi dubbi: la scommessa. Scommettiamo sull'esistenza di Dio: nel caso Dio non esista, non perderemo nulla di più di quanto abbiamo da perdere comunque. Ma se vinciamo allora vinciamo tutto. Perché si ha paura anche di questa scommessa? Anche il più classico indifferentismo è una scelta e l'o¬missione ci rende sempre colpevoli. Non sono gli errori, come in genere si crede, che ci fanno o faranno morire, ma l'indifferenza, l'omissione e l'avarizia paurosa sono i principali comportamenti mortiferi. Il marcire inizia nell'assenza di movimento, è metaforicamente ben espresso dall'immagine della palude, dall'acquitrino. Tutto immobile, spesso, opaco. L'umanità evaporando si chiude nella paura di compromettersi. La dimensione profetica è soffocata. Muovere le acque paludose vuol dire diffonderne i miasmi. È meglio l'assenza di profumi, una vita senza senso ... dell'olfatto. Ecco perché si ripete il rifiuto di scegliere, il rifiuto di farci valere proprio come persone umane che, a differenza degli animali, possono scegliere e godere della scelta di vivere. Noi possiamo amare, abbiamo memoria dell'amore, e anche uno scienziato non credente può amare; e questo amore non può non rompere la logica scientifica che lo guida, e quindi ridurlo al giusto balbettio. Ma la possibilità di amare non è amare: bisogna fare l'amore. Voler bene alle persone che abbiamo vicino e che incontriamo. Il fare è frutto di scelta. È la risposta alla propria dignità umana. È il dovere della creatura in risposta al creatore che l'ha creata per vederla fare la sua volontà. Amarlo. Ogni persona è importante Ogni persona è importante, soprattutto perché ha una sua particolare e prevista vocazione. Lo si scoprì pubblicamente dopo l'anno Mille. In quel tempo infatti si cominciò a considerare importante ogni individuo, come è desiderio di Dio, sia povero che nobile; ogni autobiografia diventa significativa, ( anche se l'anagrafe dei poveri è successiva di circa tre secoli e noi possiamo scoprire la nostra genealogia prima del XV secolo solo se abbiamo discendenza nobile ). È proprio in quel tempo che gli amori personali, prima quelli più "famosi" ma poi tutti gli amori, iniziano ad essere raccontati con uno spirito potremmo dire pedagogico e non solo narrativo. Si sente l'esigenza di rispondere amorevolmente al prossimo e a Dio in termini diretti, interpersonali. La possibile esperienza spirituale di Dio che si vede anche nella vita quotidiana, nell'amore anche carnale, comincia a diffondersi pubblicamente. Nel Novecento la radiofonia e dopo la comunicazione in genere hanno lanciato la musica ad un livello mondiale quasi a costruire un'autosufficiente economia musicale come ha cercato di proporre in un suo libro Jacques Attali. La nostra "canzone" nasce proprio dall'amore cantato dai trovatori intorno all'anno 1100 nelle corti medioevali. Il fin' amor Il fin'amor, l'amore non solo passionale ma ricco di ragionevolezza è forse il primo argomento morale pubblico, anche se élitario, che entra, passa, di corte in corte. È il mondo vissuto e raccontato dai trovatori. In essi troviamo un primo realismo espressivo che non coglie solo aspetti "materiali", economici o politici ma racconta l'amore. Questo fa pensare. Allora, agli inizi del nostro mondo, si affrontò il problema dell'amore. La decadenza cortigiana era proprio causata dalla mercificazione politica dell'amore. Matrimoni di interesse scoperti come tomba dell'amore. Come tomba della civiltà. Entriamo, come fece Massimo Troisi in "Ricomincio da tre", nello spirito e nella storia di quei tempi. Non credo sia negativo pensare che la nostra storia, la storia del nostro mondo occidentale cominci proprio in quel tempo ( almeno dal punto di vista etico ). All'inizio del XI secolo, alba del secondo millennio e della cosiddetta "era cristiana", nel mezzogiorno della Francia, in Provenza nei ducati di Aquitania, Tolosa, Guascogna e in Spagna nel ducato di Barcellona nasce un nuovo movimento sia letterario sia "filosofico" che, dal latino "trovare", prende il nome di "trovatori". Un trovatore, gran principe o nobile senza casato o avventuriero, viveva delle sue canzoni. Nelle corti era apprezzato per la sua abilità poetica e musicale e per l'ispirazione della sua opera, oltre a rappresentare un uomo dinamico e sensibile in continuo movimento e quindi ricco di novità e trasmettitore di mode e culture. Il primo "media". Nel periodo che va dal 1000 circa al 1250, la storia ci fa conoscere cinquecento trovatori. Su quest'arte rappresentata dalla "poesia trobadorica" conviene soffermarsi un poco per capirne le radici, soprattutto in relazione all'ambiguità del rapporto tra sacro e profano che proprio li nacque. Lo sviluppo della cultura mondana, cortigiana, era in contrasto con la cultura spirituale. È in questo periodo che nasce la cosiddetta "poesia secolare" che, alla luce di questi contrasti, fa prevalere la dimensione laica su quella religiosa e trascendente. La Chiesa, grande dispensatrice di modelli culturali, influenza comunque le opere dei trovatori che non possono prescindere da un "certo" contenuto spirituale, mediato da opere come "Il Cantico dei Cantici", che innestavano nel profano e nel secolare le espressioni del sacro. Prendiamo ad esempio parti di canzoni profane per trovare questi sincretismi, queste mescolanze: "Da nulla l'uomo è reso più eccellente che dall'amor e dal servir le dame, giacché da qui nasce diletto e canto tutto ciò che attiene all'eccellena. L'amor non è peccato. Ma piuttosto potere che il male rende buono e il buono migliore". Per i trovatori l'amore che sgorga dalla concupiscenza, dal possesso fisico, è falso: esso deve rimanere desiderio affinché se ne possa adempiere il fine. Quindi tutto ciò che fa crescere il desiderio è bene ed alimenta il grande desiderio d'amore e quindi l'amore stesso. Altro dall'assenza di desiderio proclamata e consigliata da chi vuole far "consumare" ogni desiderio: "Non può l'amor cadere così in basso che non diventi subito amor comune tale non è l'amore, ma piuttosto ha dell'amore il nome e la parvenza, giacché non ama se non ciò che possiede". Marcabru Marcabru è stato il più geniale dei trovatori. Di lui si hanno poche notizie storiografiche se non quelle legate alla sua poetica che si manifesta a partire dal 1130 fino al 1148. Fu certamente il teorico moralista del "fin' amor". Egli credette nell'amore come forza che può essere messa in opera per dare stabilità morale e gioia tanto al singolo che alla società. Pensava ad una "società buona", ad una partecipazione lungimirante di tutti. Chissà cosa dirà guardando a questa nostra società. Visse in un tempo di forti sovvertimenti spirituali e sociali a fianco di un monachesimo che rinasce dai pericolosi fasti di Cluny e con la compagnia della nuova cavalleria religiosa, attivo-contemplativa, incarnata dall'Ordine dei Templari", allora chiamato dei "Pauperes Milites Christi o in Spagna dai Cavalieri di Santiago. Se leggiamo la storia di san Bernardo di Clairvaux, patrono di Francia, artefice principale della rinascita medioevale, comprendiamo l'ispirazione che animò molti giovani a scegliere nuovi orizzonti in un epoca dove antichi valori stavano assumendo aspetti solo formali, primi fra tutti la cavalleria. La vita nei castelli debilitava la nobiltà in assenza di ricambio ad ogni livello ed allora proprio l'itinerare di animi nobili stanchi, ma non rassegnati, del decadimento morale, provocò una delle fasi epocali di rinnovamento che, in prima istanza morale, diventò poi anche sociale. Nel Sud la Chiesa era in letargo, seduta sui fasti di un potere temporale e attaccata dalle eresie, innanzitutto nate da un desiderio non guidato di riforma e di ritorno alle origini della predicazione di Gesù. Immoralità intesa soprattutto dal punto di vista etico, dove la nobiltà rinunciava a comportamenti che consentissero un'adeguata crescita cristianamente intesa. Marcabru si erse a giudice e critico di questi comportamenti contrari all'etica cristiana e anche all'umanesimo classico, e condannò l'amore falso. Offrì come rimedio una "razionalità" dell'amore, una raffinatezza intellettuale in grado di governare istinti e desideri al fine di un ordine e di una gioia sia individuale che sociale. Una filastrocca, come tante altre nate dallo spirito della speculazione e falsità proverbiale, dice che "al cuore non si comanda" quasi a concedere un permissivismo irrazionale. Invece Marcabru "canta" l'amore come innalzamento spirituale di una seria e costruita mentalità. Non più matrimoni ed affari di interesse speculativo ma ritorno alla sacralità presa da moltissimi temi religiosi che in quel periodo avevano ispiratori illustri in sant'Agostino e nei grandi riformatori monastici come appunto san Bernardo, Guigo il Certosino, Guglielmo di S. Thierry. La proposta, e le sue principali fonti, sono molto interessanti. Perché non considerarle rifondanti una nuova epoca agli inizi del terzo millennio? Sono tutte finalizzate a dare all'uomo una "interezza" che lo guidi a scelte sempre più libere ed unitarie secondo coscienza. Il problema maggiore che dobbiamo affrontare nella vita, oggi come sempre, è quello di essere sempre combattuti tra un pensare frammentario ed uno integrato, e tra il conseguente agire non coerente con quanto in fondo sappiamo essere giusto. Paure, compromessi, abitudini ci rompono sempre in più parti fino a ridurci in uno stato di "inebriante" convinzione del relativo come assoluto. La grande scommessa è pensare ed agire in modo intero e finalizzato ad una coerenza che si trasformi eticamente in un giusto agire. Coerente può essere anche un agire non giusto ecco perché alla coerenza, cavallo di battaglia di molti farisei, mercanti e massoni, va aggiunta un etica che sia fondata in Cristo. Un passo delle liriche di Marcabru: "Di fronte a due modi di pensare e teso a separare il fratto dall'intero, considero di essere, per Dio, unito alla natura, guida a discriminare tra i modi di pensare". I mezzi di comunicazione I mezzi di comunicazione audiovisivi sono incastonati nella nostra dimensione privata e se li accendiamo, cioè se decidiamo di entrare nel circuito, ci informano sulla "storia" quotidiana. Certo non era così pèr Marcabru. Sentiamo parlare di amore in modo quasi inflazionato ma proprio per questo l'amore è in realtà latitante. Tanti "ti amo" che vogliono dire "oggi amo una parte di te, domani la parte di un altro o di un'altra". E anche se questo domani può voler dire anni, il senso non cambia. Già Marcabru si preoccupava di questo. Siamo assistiti da un servizio d'informazione che ci guida, ci aiuta a pensare cosa pensa chi meglio comunica a parole e con un bell'aspetto. Crediamo di essere quello che sentiamo dire senza accorgerci che siamo tutt'altro; ci piace pensarci come vorremmo essere ma non siamo. La cronaca - cioè i fatti del giorno - e la storia - un tempo asservita ma meditata a freddo - si vanno sempre più sovrapponendo, favorendo l'attualità che diventa storia in tempo reale fermata paradossalmente nel suo dinamismo dalla contemporaneità possibile della proposta al pubblico che condizionatamente e piacevolmente assiste. Anche qui si consuma. Ogni fatto assume importanza in rapporto agli altri fatti. Voglio dire che se non c'è stato un delitto, uno scippo sale di tono e viene confezionato, rivestito di contenuti tali da trasformarlo nella notizia prelibata che vale il delitto stesso. Questa sottolineatura della speculazione informativa, necessaria per far vivere molte ore al giorno gli schermi televisivi, e moltissime pagine inutili di giornali inutili ( giustificati da un pluralismo che in realtà è "un tirare a campare" dei loro direttori o editori ) come componente ormai organica della vita mi serve per evidenziare che in questa realtà non è più possibile essere, vivere come le persone che hanno vissuto prima di questa situazione. Stiamo diventando particolari pensanti di un sistema globale e ci trasformiamo di giorno in giorno in nodi di una rete telematica che ci collega in tempo reale. Quindi prossimamente saremo, ci incontreremo, sempre più a livelli intellettuali, non necessariamente intelligenti, e non fisici. La fase di materialismo-estetico che stiamo vivendo è ormai decadente, è neo-decadentismo. Tutte le idee di cristianesimo, di società cristiana si devono adeguare senza dimenticare mai che nella Bibbia, il grande libro Sacro ad Ebrei, Mussulmani e Cristiani, sta scritto: "Così dice il Signore: Come la pioggia e la neve scendono dal cielo e non vi ritornano senta aver irrigato la terra, senza averla fecondata fatta germogliare, perché dia il seme al seminatore e pane da mangiare, così sarà della parola uscita dalla mia bocca: non ritornerà a me senta effetto, senta aver operato ciò che desidero e senza aver compiuto ciò per cui l'ho mandata". ( Is 55, 10-11 ) Sta nascendo un nuovo dinamismo informativo-culturale, una profonda e storicizzata antropologia cristiana; incarnazione e inculturazione respirano una universalità che in fondo fa capire meglio il perché del cattolicesimo e la sua forte valenza umana che ci porta alla trascendenza come uomini e non come dei in esilio. Possiamo attendere di evangelizzare secondo canoni classici qualche altro milione di persone ma è importante che l'occidente cristiano, direi cattolico in particolare, si assuma la responsabilità di una proposta cristiana rinnovata solo nelle sue forme espressive, per i tempi attuali. Il futuro ha le sue direttive, non è così profetico vederne gli sviluppi tecnologici. Le intuizioni avute dai criticati "filosofi" e "pensatori" cristiani europei, soprattutto francesi, del novecento si attualizzano. In nota desidero riportare un passo di un libro del filosofo cristiano e personalista Jean Lacroix: è stato tra i fondatori della rivista "Esprit" che tanto ha fatto per cercare continuo fondamento ad una visione cristiana della vita sociale. Sono loro che ci danno molti elementi per farcela, per facilitare l'arte del nostro ricominciare. Ma ormai la filosofia come l'arte sta assumendo nuove forme; entrambi sembrano perdere consistenza e valore e invece io credo siano nella fase di passaggio verso l'espressione di un uomo nuovo. Il segno di questa mutazione è dato dalla partecipazione all'attualità, alla quotidianità di filosofi artisti e intellettuali che per essere credibili devono mettere in gioco le proprie convinzioni in una continua rielaborazione. Si tratta di un nuovo rapporto dinamico, epistemologico, tra pensare, dire e fare che trova fondamento nella realtà di vita personale che si riconosce essere in rapporto ad una applicazione esistenziale delle teorie sistemiche. Su un piano simile è il nuovo comportamento e impegno pratico dei docenti universitari, dei ricercatori, che sono chiamati ad affrontare, non solo teoricamente ma realmente, il rischio di intraprendere. Oltre il parlare pur in modo fondato e corretto, ma sempre prima e fuori del rischio. Per capire bene. Per ispirare tentativi di simulazione, prove e poi organizzazioni reali di un nuovo mondo, della nuova cultura mondiale oltre i localismi. Voglio dire che ormai è considerare la vita di un uomo insieme alla sua comunità in rapporto a tutti che sarà vivamente un nuovo filosofare, sempre come scienza ma decisamente impegnata a fondare in tempo reale gli adattamenti dell'arte di vivere. Siamo nella fase in cui tutta l'informazione e la tecnologia disponibili sembrano consentirci infallibili simulazioni di riferimento. In realtà è meglio vivere che pensare di vivere o virtualmente vivere. L'arte del falso che sembra vero, prima l'iperrealismo e oggi il virtuale, è svelante: è come se fosse ma non è. E si prova, si vede. Tutto il manipolato dimostra che la realtà è più bella, e che un pezzo di verità si scopre nella realtà e non nel virtuale. Accettiamo umilmente la grandezza dello spirito di Chartres. È ben di più di un gioco virtuale da cui partire per ricominciare. Ognuno di noi Ognuno di noi cerca in tutti i modi di vivere realmente e praticamente la miglior vita possibile. E si impegna a modo suo, come può, con le proprie capacità, per farcela. È un impegno, un tentativo, che inizia da ragazzi; scopriamo però, presto, che il nostro sogno, l'idea, il grande desiderio, il progetto giovanile che abbiamo pensato, da cui ci siamo sentiti attratti, si deve adattare - quasi di momento in momento - agli eventi, alle circostanze, ad una realtà esistenziale spesso imprevedibile. È un adeguamento obbligatorio, a volte meravigliato, pieno di rinunce, rassegnato, spesso sofferto, provato, ma che non ci guasta in modo irreversibile, non ci impedisce di cercare comunque un adattamento "verso il più alto" possibile del nostro inconscio desiderio di beatitudine. Siamo fatti così, delicati, sensibili, intelligenti, creativi, altro dagli animali che possiamo diventare. Apparente certezza e reale incertezza oscillano, si sovrappongono, ci sentiamo sempre un po' squilibrati, in crisi, illusi, velleitari, inquieti. Cerchiamo per nostra indole di non staccarci dalla vita, di "rilegarci" alla verità che personalmente crediamo. Troviamo conferma della nostra costituzione nel fatto che la ragione più alta della dignità dell'uomo consiste nella sua vocazione alla comunione con Dio. Siamo in grado di capire l'eternità, amiamo le cose belle del cielo. Fin dal nostro nascere, già nell'essere concepiti come nuove persone siamo posti dai nostri genitori in rapporto alla vita divina, invitati al dialogo con Dio. Chi è padre e madre se pensa al proprio figlio pensa ad una vita nuova, bella serena, piena ... per sempre ... non pensa certo alla malattia e alla morte! Nel corso della storia, e fino ai giorni nostri, in molteplici modi, l'uomo ha espresso il desiderio di cercare, di incontrare, di comunicare con Dio attraverso credenze comportamenti religiosi ( preghiere, sacrifici culti, meditazioni ). Malgrado le ambiguità che possono presentare, tali forme di espressione sono così universali ( e sempre attuali, anche se oggi c'è una colpevole dissacrazione ) che l'uomo può essere definito un essere religioso. Pensiamo al misterioso fatto dei "voti" così simili in ogni dimensione spirituale. Dice con radicalità, secondo le sue credenze, il maestro di fede induista Shri Ramakrishina": Nato invano colui che, avendo avuto il raro privilegio di esser nato uomo, è incapace di realivare Dio in questa vita". Crescendo capiamo ... Crescendo capiamo che questa ricerca è influenzata dagli altri e ci impone di essere in armonia almeno con le persone che conosciamo. Dobbiamo riconoscere, anche se questo ci preoccupa non poco, che dovremmo cercare di fare in modo "che nessuno sia infelice per causa nostra". E poi c'è l'incontro con l'amore che ci coglie sempre impreparati e incapaci. La natura e la grandezza dell'amore ci sono oscure: prima sono limitate al sentimento o alla sensualità poi inizia un cammino che ci porterà, chissà quando, ad avere una capacità di amare ragionevolmente matura, purificata, fedele, spirituale. Non ci sembra vero che l'arte delle arti è l'arte dell'amore. Proviamo ad amarci sul serio unendoci in una forma di matrimonio e ci svegliamo genitori e gravati di una realtà, "la famiglia", che conosciamo come figli, eredi, e che invece ci dicono essere un "luogo teologico. Vivere è problematico, spesso conflittuale, mai facile e semplice. L'apparente assenza di problemi che vediamo in altri nasconde sempre la quota di pesi esistenziali da cui non possiamo prescindere. Può esserci un momento, anche prolungato, di serenità, di pubblica considerazione, di assenza di problemi ma poi la vita cambia e si alternano le stagioni. È la normalità umana, altalenante, svelante e comune a tutti, che si afferma. Spesso la interpretiamo come sconfitta o sfortuna senza capire che invece e segno del divenire davvero "umani". Non è semplice per nessuno, e uno dei gravi errori generazionali è quello di nascondere ai giovani, ai nostri figli, le difficoltà della vita e di educarli in modo parziale non evidenziando loro i problemi esistenziali e il tentativo, il modo, di superarli. "Uno dei compiti fondamentali della generazione futura sarà espropriare un certo numero di mercanti e farisei dei valori spirituali la cui rappresentanza essi si attribuiscono indebitamente. La vita proposta La vita proposta come una ruota che gira, in cui ognuno è chiamato a farsi le proprie esperienze e diventare uomo attraverso le prove, è uno degli errori più gravi del nostro tempo. É una proposta di eroicità riflessa giudicata da falsi eroi. Bisogna dire e dare credibilmente a chi ci segue nella vita tutti gli elementi per non subire le stesse crisi, tutti gli elementi esperienziali, culturali e spirituali possibili. La memoria privata deve essere aperta, la trasparenza deve aumentare, essere patrimonio, dono, comune. È certamente un senso nuovo della vita, che rende più evidente che ognuno di noi non è mai chiuso in se stesso ma aperto, trasparente agli altri. La ruota, ciclo perverso di rinascite messe alla prova, che favorisce la speculazione e il controllo perverso, si trasforma in un cammino più sicuro verso persone più umane e vite nuove. Negli ultimi settant'anni il mondo "vinto" ha accettato, non solo i trattati ( e le basi ) normalmente imposti, ma anche lo stile di vita del vincitore. La nostra cultura meno muscolosa e fantasmagorica ma più seria e storicamente attendibile della cultura vittoriosa, non ha colpevolmente contribuito ( come pensavano invece coloro che accettarono di aprirsi al consumismo, al mercantilismo, tradotti in sistema ideologico ) a superare i limiti di questo stile di vita, declinando verso un euforia drogata che spalanca le porte alla comparsa dei "baraccati" così ben capiti da Gabriel Marcel. È evidente ormai il danno che ha fatto una vita molto attiva, frenetica sul piano materiale e fortemente condizionata dalla circolazione del denaro e da risorse economico-finanziarie, mascherate da dinamiche spesso implicite e che non fanno capire il valore del lavoro, e non danno peso alla sorgente del denaro. Le nuove ideologie, che si dimostrano settarie, sono tutte costruite nei consigli di amministrazione e finanziate dalle multinazionali o dai nuovi ricchissimi proprietari delle tecnologie, i nuovi mezzi di produzione. Questo è uno dei motivi per cui la crisi dei giovani al momento di essere auto-referenti è grave e la disoccupazione, la sotto-occupazione o il lavoro nero e la mala-occupazione, sembrano in comprensibili in una società così ricca. Come possono capire che la capitalizzazione, il denaro prodotto dal denaro stesso è il loro nemico? Il lavoro come possibilità di procurarsi i mezzi di sostentamento e anche di divertimento è frutto di investimenti di stanziamenti di chi lo possiede. Ma se questi ricchi non hanno una visione solidale, altruistica, ma pensano - come generalmente viene giudicato giusto - ai propri interessi, allora il ciclo si chiude. Se l'interesse finanziario è maggiore o uguale o anche più basso ma non pagante il rischio di investimento allora non c'è futuro per il lavoro ma solo per la schiavitù. Chi vive per accumulare denaro, ( i buoni lo chiamano risparmio! ) è un pavido psicologicamente che più capitalizza più diventa famelico. Come convincerlo che "è più importante avere pochi bisogni che molti beni. Come possiamo pensare che il settore pubblico, lo stato sociale, si auto-punisca riducendo i costi che sono prevalentemente di personale o riduca pensioni e sovvenzioni per finanziare occupazione? Da un lato prende e crea disoccupazione e dall'altro dà e crea occupazione. E un po' come negli Stati Uniti dove una deregolamentazione non fa ben capire dove iniziano la fase di crescita occupazionale e quella congiunturale per la gente. Tutto è vorticoso e il saldo lo si fa in corsa. È poco chiaro come tutto in quel mondo che dimostra per certo solo una delinquenza critica e una violenza in crescita e che non si vergogna della propria storia fatta di assassinii eccellenti esportati, come principio e fine, anche da noi, e mai scoperti per continuare il proprio sogno. Il non coraggio di dire che molta della nostra ricchezza è abusiva, disonesta è una componente forte dello stile educativo del nostro tempo. Ci vogliono insegnare ad essere prudenti, e ci iniettano la paura. L'avvento dei sistemi informatici consente di memorizzare e storicizzare molto in fretta gli avvenimenti. L'informazione globale è svelatrice e le memorie elettroniche non possono più tradire la storia. La storia ormai è la sequenza dei fatti che un programma è in grado di interrelare. Il giudizio storico non è più confuso, non rappresenta più l'alibi dell'imbroglio. Per questo l'educazione, la formazione, si possono fondare su una memoria informativa di base storico-contemporanea sempre meno falsata dalle interpretazioni di parte. Tornando ai giovani sono certo che si sentiranno traditi. In realtà sono stati semplicemente non educati al sistema strutturale che li vede attori, e sono stati allevati e scolarizzati con paurosi limiti di conoscenza della realtà. Quanti impliciti ci sono nascosti! Il problema quindi - perché di problema si tratta - sta racchiuso nell'onestà personale, nella tensione ideale, nel coraggio e nella seria volontà di fare delle scelte. La responsabilità di animare, di dare forza e gambe a questi principi è di chi conosce almeno l'esistenza degli impliciti. Omissione, omertà sono malattie curabili? La paura di essere malati incurabili è grande, ma non dobbiamo avere paura, dobbiamo chiedere perdono. I cristiani possono ricominciare. Le nostre scelte Le nostre scelte sono spesso, purtroppo, paradossalmente contro di noi; ci complichiamo la vita, abbiamo il potere ( ci aiutano in questo quelli che controllano le fasi di sviluppo ) di distruggerci e di crearci molte inimicizie sia interpersonali che "ideali", interrompendo quelle tensioni di solidarietà che abbiamo dentro. Non siamo così convinti che il nostro "bene non può essere che ragionevole" e quindi a nostra personale misura, come un abito che deve essere confortevole, in taglia, adatto a noi al nostro "tipo". Spesso dubitiamo della nostra intelligenza, cerchiamo di sottovalutare il potere della nostra memoria, ci fa comodo dimenticare che proprio intellettualmente possiamo conquistare con certezza ogni realtà intelleggibile. Molti non solo hanno questa idea critica e debole dell'intelligenza e della memoria, ma non accettano la fede e quindi limitano il rapporto religioso dell'intelligenza e della volontà con l'invisibile della vita. Una delle caratteristiche che segnano quest'epoca è l'oblio lento e strutturale di queste caratteristiche essenziali della nostra umanità. Fede e intelligenza vanno uniformandosi la prima al livello di credenza doverosa e la seconda come conoscenza. La dimensione di infinità, di assoluto, di essere, di unità che solo fede e intelligenza insieme sanno capire e mettere in rapporto ragionevole a Dio o comunque al nulla, decadono atrofizzandosi. Non più Dio è morto, ma la speranza la fede e la carità sono morte se nella fede l'intelligenza e la volontà umane non sono più in grado di sentire una attrazione trascendente. Siamo spinti alla rinuncia dalla paura ( che ci insinuano ) dei rischi che corriamo. D'altra parte, sul piano sociale la gogna a cui sono sottoposti coloro che falliscono iniziative, proposte e altre azioni coraggiose, e la irreversibilità assurda che le determina, segnano la perversione programmata del sistema che uccide chi tenta la riscossa umana, e "santifica" chi conserva con successo l'immondizia dorata dei privilegi dei poteri e delle fortune sempre e solo conquistate con la violenza, la soppressione e l'oppressione. La legislazione e il diritto sono farina dei benestanti e per di più di quei benestanti che hanno privilegi di stato e che possono vivere fuori dai rischi esistenziali. Pensiamo ad esempio alle abitudini, alle pigrizie e alle passionalità che ci avvicinano spesso agli animali e alle conseguenze psico-fisiche che a distanza di tempo si manifestano, e che ci siamo volute. Siamo teste dure e cuori ancora più duri. La docilità appare solo quando il responso di un esame medico o la sentenza di un giudice o la fine di un rapporto ci costringe ad accettare per forza una realtà. Per tutti. Nei momenti in cui siamo attori protagonisti della nostra sofferenza pensiamo a Dio. Le esperienze Le esperienze, gli esempi sono la storia dell'umanità. Grandi e piccoli uomini si sono incontrati nelle loro crisi. Catini pieni di lacrime pesate in cielo. E si pensa che la sofferenza sia meritevole di paradisi senza pensarci su, senza meditare nel proprio angolo al proprio inginocchiatoio che cosa sia davvero la "mia personale sofferenza". Ci dimentichiamo che siamo nati e viviamo dentro una civiltà occidentale, europea, indiscutibilmente storicamente ispirata da Gesù Cristo e conseguentemente dal cristianesimo. "La grandezza estrema del cristianesimo è dovuta al fatto che non cerca un rimedio soprannaturale contro la sofferenza ma un uso soprannaturale di essa". Qualche volta, anche provocati dalle immagini televisive, pensiamo agli altri ma se è sangue non mio diventa un pensiero disincarnato spersonalizzato che mi tocca e mi smuove solo in quanto si avvicina a me, è sangue di un prossimo che conosco, che bene o male mi interessa. Quando sentimenti e interessi sono insignificanti, non mi sono utili, non li sento, allora quella sofferenza è insignificante mi tocca così come un'immagine televisiva che passa o che faccio passare cambiando canale. Volto lo sguardo da un altra parte. Non è questa la rivoluzione cristiana. Bambini che muoiono in tv non sono bambini, sono immagini, solo i miei cari sono bambini. Dura cervice e duro cuore abbiamo. Ma è cosi. L'indignazione come valore residuo di una umanità possibile non ha peso sociale. È pur vero che "non servono cittadini indignati ma impegnati, oltre la neutralità". Politicamente essere indignato non è partitico, ed economicamente coloro che si indignano consumano poco e sono oggetto di studio per nuovi consumi o fasce orarie particolari. Il perché viviamo cosi dipende da una debolezza interiore che va maturando in modo inversamente proporzionale alla longevità esistenziale, allo sviluppo tecnologico che la sostiene, pur riconoscendo che i livelli di comprensione, di riconoscimento come vero del proprio vissuto, la propria esperienza, siano cresciuti. È scomodo prendere coscienza, comprendere, ma per un uomo è impossibile rinunciarvi. È questa una componente tragica dell'essere umano. Più la Scienza ci offre gli elisir di lunga vita più il nostro cuore e il nostro animo si inaridiscono e la speranza di essere sempre "sani e belli" prevale come mentalità. Il periodo del consumo si allunga, e vecchiaia non è più improduttività ma ancora buoni livelli di consumo pianificati sulle pensioni che sono importanti non solo per la tranquillità sociale ma anche perché sono proprio il modo concreto di partecipazione alla civiltà dei consumi. Morire senza invecchiare Morire senza invecchiare e ammalarsi: ecco il nostro desiderio. Almeno di quelli che si rendono conto di non essere immortali. Più sopra ho scritto: "Ognuno di noi cerca in ogni modo di vivere realmente la miglior vita possibile e sa che questo vuol dire anche armonizzarsi con gli altri. Sappiamo bene che non siamo soli e che star bene, essere sereni, e sapere che nessuno e infelice per causa mia". Dobbiamo accettare che un'affermazione edificante come questa in pratica si riduce a quest'ultima: "Morire senza invecchiare e ammalarsi, ecco il nostro desiderio". Potrei chiudere qui queste mie riflessioni e convincermi che in fondo va bene così. Adeguarsi con metodo e impegno a questi stili di vita pieni di proposte "sane e belle" riduce lo stress e porta a una buona e forse abbastanza lontana morte. Però ( purtroppo "c'è sempre un Pierrot", diceva padre Nicolao scherzando sull'assonanza, davanti al bicchierino di cristallo colorato di Alpestre ) la realtà che viviamo non è nelle nostri mani come un libro che, pagina per pagina, ci svela dei fatti e che non ci impedisce di andare all'indice o alla conclusione foss'anche per capire di più. La nostra vita non è una cassetta o un cd che possiamo controllare con il fermo immagine o con un software, e non è neppure un sito internet. Ogni giorno, ogni momento abbiamo nelle nostre mani la possibilità di fare o non fare delle scelte e, in base a queste, pur condizionati dalla circostanze, siamo pieni di responsabilità e ci costruiamo la vita. Ecco, siamo uomini, persone, proprio per questa nostra capacità responsabile di impegnarci o disimpegnarci obbligatoriamente nell'affrontare non la vita ma la nostra, preziosa, unica e irripetibile vita. E questo non si può evitare, si deve per forza fare. Non possiamo rinunciare a vivere se non suicidandoci. Cosa tristissima. Possiamo rinunciare a farci e scegliere di lasciarci fare, ma sono entrambi modi di scelta che ci portano avanti. Quando ero bambino e rompevo un giocattolo lo buttavo via, piangevo per averne un altro uguale ma nuovo. Questo era quasi sempre possibile. Poi capii che se mi sbucciavo un ginocchio guariva ma lasciava un segno. C'erano delle cose che lasciavano il segno, erano irreversibili. Ad esempio la cicatrice che porto praticamente dalla nascita per una bruciatura, da molto presto mi ha chiarito che la vita è irreversibile, cioè passa, lascia dei segni nella mia e nella memoria di chi incontro. E si va avanti, e il famoso esempio di credere di essere fermi mentre si è in treno potrebbe uccidere ogni speranza di poter rivedere la stazione passata per rifare meglio un tratto. La vita è la scoperta della reversibilità La vita è la scoperta della reversibilità, del ricominciare, del rifare in ogni momento delle scelte per vivere meglio. È la tesi rivoluzionaria proposta da questo libricino. Se non comprendiamo e crediamo che questo è assolutamente possibile, è vero non stiamo vivendo ma stiamo morendo. Infatti per un uomo, una donna, vivere non può essere "un apparecchio alla morte" ( se non inteso in termini di capacità nell'affrontare anche quel passaggio ), cioè prima una ricerca di ottimizzazione del divertimento e poi un lotta contro l'alienazione da frustrazione e poi la difesa dall'invecchiamento e dalla malattia. Se capiamo che non è questo vivere, ma questo è morire, allora possiamo ricominciare a vivere. Si tratta di una nuova mentalità da ricostruire. In ogni momento, fosse anche l'ultimo fisicamente percepibile, possiamo guarire dalla malattia mentale o fisica che ci ha trascinato ad una morte e passare più che mai "sani e belli" in quel mondo invisibile al quale nasciamo come un giorno nascemmo a questo visibile da un atto d'amore sensuale di un padre e di una madre. È un altro amore che ci può far nascere ancora. Quanta gioia portammo alla nostra nascita, quanta gioia portiamo alla nostra nuova nascita. Certo come non ricordiamo quel tempo, così non possiamo capire questo nuovo tempo; ma sono entrambi logicamente tanto reali da non poter essere discussi da un uomo, se è tale fino in fondo e ha compreso interamente la sua vera realtà complessa e non solamente materiale ma anche intellettuale e spirituale, e questo tutto insieme. Questa proposta "rivoluzionaria" è fondata, si innesta nella vita di Gesù Cristo. Forse si può essere subito bollati di integralismo religioso, ma invece la proposta è laicissima e parte dal presupposto che Gesù non è stato il fondatore di una religione ma è via, verità e vita per ogni persona. Noi siamo i nostri artefici ma per ricominciare sempre abbiamo bisogno del protagonista della nostra vita: "IO AMANTE, AMATO DA GESÙ". Ecco l'uomo intero, l'uomo eterno, che ricomincia sempre per vivere meglio. Che senso avrebbe vivere per sempre senza vivere sempre meglio? Proviamo ad affrontare questa proposta e mettiamo tutto in rapporto a questo IO-GESÙ, senza preoccupazioni di presunzione o di rischio di banalità. Abbiamo coinvolto il più Uomo di tutta la Storia, e quindi possiamo solo non farcela a capire ma preghiamo di ascoltarlo, perché le cose che intende dirci ci siano chiare. Riprendiamo la frase di Pascal: "... al di fuori di un rapporto stretto, una relazione fisica carnale con Gesù Cristo, non possiamo davvero capire né la nostra vita né la nostra morte né Dio né noi stessi". Cominciamo Cominciamo ponendoci subito una grande domanda: perché tutto è in rapporto a Gesù Cristo? È necessario essere cristiani, cattolici, per capire Gesù, per sapere chi è Gesù Cristo? È necessaria un'intelligenza superiore o una preparazione teologica? Gesù è per tutti. Come il pane: fa bene. È l'elemento dietetico per eccellenza. Uno come Lui non può appartenere ad una parte dell'umanità, è con chiunque lo guarda, è con chiunque lo incontra. È unico nella storia, ma anche nella mitologia e nell'immaginario dell'umanità. Ma anche nella pratica del tempo che ha assunto una nuova cronologia a partire da Lui. È notissimo e famosissimo. Poi tutti sanno che ha detto: "Amate i vostri nemici, fate del bene a coloro che vi odiano, benedite coloro che vi maledicono, pregate per coloro che vi maltrattano" ( Lc 6,27-28 ). E queste parole come molte altre identificano il fatto nuovo che dobbiamo capire e che è apparso chiaro ma ancora problematico nei processi di pace di questi anni, del secolo di disumani olocausti. Siamo storicamente nell'era "dopo Auschwitz". Al male dobbiamo rispondere con il bene. È paradossale che quando l'incendio è scoppiato, al posto di gettare acqua ( pensare, fare bene ad ogni costo ), soffiamo sul fuoco ( portiamo altro male ). L'incendio si sviluppa e non tende a placarsi, e poi ci domandiamo il perché del male. Questa non è una dimensione missionaria in senso cattolico o filantropico, di proselitismo, è una chiamata dell'uomo ad essere degno della propria essenza, la propria certa vocazione, che si fonda sulla capacità di amare e non sulla capacità di odiare. È evidente che l'uomo è capace di amare come è evidente che non riesce a farlo. Odiare non è il contrario di amare; è la rinuncia alla dignità umana che può odiare, ma solo come momento debole del proprio stato. Qualunque uomo sano capisce che l'odio deriva da un disordine voluto o cercato o incontrato per la disperazione del vuoto d'amore che proviamo. In fondo l'odio nasce dal tradimento che subiamo o crediamo di subire. Un tradimento alle nostre attese che può anche non essere vero ma suggestionarci. Ma lo è per noi, e questo basta. Ci comportiamo come crediamo bene e vogliamo acquisire dei meriti. Invece no! La nostra buona fede, che non capiamo che può essere falsata - come la falsa coscienza che ci costruiamo con le convenzioni e le abitudini - è ispirata da educazione sbagliata o altro, e ci porta a giudicare traditori coloro da cui ci aspettiamo risposte impossibili, o rare. Tradimento! E la risposta non è quella che Gesù ci grida di dare, ma è il ricatto a cui sottoponiamo noi stessi e tutti coloro che incontriamo è che riteniamo responsabili. Il ricatto è il comune denominatore del comportamento etico abituale. Non è un'affermazione forte, è la verità che la mia esperienza ha constatato. Unitamente all'abitudine, alle convenzioni, alla falsa memoria storica piena di impliciti mai svelati, il ricatto produce il giudizio e il comportamento prevalente. Costruisce il potere. Costruisce cioè un stile di vita sostanzialmente chiuso e irreversibilmente terreno. In questo senso diventa sempre più difficile vincere quella forza di gravità che affossa l'umanità ( Faust ) e sempre più assolutamente importante lasciarci attrarre verso l'alto. L'attrazione L'attrazione è il fenomeno trascendente che ci ha promesso Gesù. Ognuno di noi capisce l'amore, e non c'è bisogno di un interprete perché su questo tema due persone diverse in tutto si capiscano, tutti possono capire che nessuno ha amato gli uomini più di Lui. Tutti gli uomini buoni o cattivi, sani o malati. Allora abbiamo un esempio: Gesù ci è d'esempio, è un uomo esemplare. Ma chi conosce la sua storia sa che Lui per amore è stato crocifisso e può avere paura perché non crede alla Sua risposta: la vita eterna per chi lo segue. La sofferenza è segno del distacco dalla vita. Noi siamo innestati nell'eternità, ma possiamo sradicarci: è questo il problema, perché l'eternità è solo possibile se la vogliamo, altrimenti il tempo si chiude su di noi e ci cancella. Allora la materia assume il suo vero significato e accoglie i corpi che rifiutano Dio. Ma Gesù è venuto a rompere la materialità umana per rianimarla, ricaricarla di positività e d'amore perché potesse di nuovo rispondere alla Sua attrazione. Allora chi non crede alla Sua risurrezione ne è comunque attratto, e poi - quando sarà nei pressi e sentirà la Sua parola - sarà travolto dalla gioia. Quando da bambini ... Quando da bambini giocando sapevamo davvero fare i ladri o le guardie, eravamo seri. Dobbiamo riprenderci la nostra serietà come quando facevamo qualche cosa di "male": lo sapevamo e dentro non ci sentivamo a posto. Come quando arrossivamo. Come quando ci siamo "innamorati" la prima volta. Come quando abbiamo perso la prima cosa che pensavamo di non perdere mai. Come quando è finito il primo amore. Come quando abbiamo vinto una medaglia. Come quando papà ci ha picchiato. Come quando abbiamo detto bugie. Siamo passati da queste cose molto serie per crescere. Divieti e prescrizioni sono stati i paletti, le porte di uno slalom speciale che poi è diventato gigante e poi discesa libera e poi infortuni, scontri in pista, acciacchi. Questo desiderio di tornare ad essere seri è profondamente necessario, e per questo vero per tutti. Inutile il bluff. Ma essere seri perché? Per ricominciare. Che senso avrebbe essere seri per continuare in uno stato di crisi migliorandone psicologicamente alcuni aspetti ma sostanzialmente rimanendo così come si è. Non si può cambiare senza ricominciare. Ma la memoria? La storia? Non sono un ostacolo, sono la forza, l'energia dell'anima della nuova vita perché ricordano quei "come" della nostra infanzia e gli errori fatti tanto da sapere di non doverli più fare. Spesso ci viene posta la domanda, o ci si chiede: cosa farei se potessi tornare indietro? E la risposta è in genere falsa. Chi non è soddisfatto ha una sola risposta possibile: ricominciare. Che non vuol dire rinascere, tornare bambini e rifare cammini già fatti ma vuol dire riflettere sul proprio stato, mettere tutto al servizio del nuovo che andiamo a intraprendere. È il vero ricominciare che ha dentro la forza della memoria e con questa forza può ricominciare. Ricominciare ad essere meglio di quello che si è. Gesù, il Crocifisso, ha idee chiare e parole nuove Gesù ha idee chiare e parole nuove Lo possiamo davvero capire se prendiamo tutta la nostra vita, ne estraiamo l'esperienza d'amore che ha prodotto, e con questo bagaglio andiamo da Lui come dal nostro migliore amico e ci guardiamo. Penso al Crocifisso nella Chiesa di San Dalmazzo, in via Garibaldi a Torino. Stare li a guardarci. Già, il Crocifisso. La rappresentazione più crudele di un uomo diventato Immagine di Dio per i cristiani. É un fatto che si spiega solo con l'amore che si legge, che ci parla che è quell'uomo in croce. È così vicino, coincide così chiaramente ed indiscutibilmente con la realtà vera di ogni uomo, basta vivere sul serio, tanto da essere davvero l'unica via, la sola verità e la nostra vita riassunte essenzialmente in Lui. Siamo dei crocifissi che non vogliono risorgere. E Lui dice e vive il contrario: siamo dei pazzi, saremmo dei disperati ma abbiamo la forza di capire che siamo creature predestinate a vederci chiaro cioè a non precipitare nel buio ma a scorgere la scia luminosa che Gesù lascia. La Sua vita, che dobbiamo cercare di leggere con semplicità e senza pregiudizi, ci coinvolge perché risponde in modo chiaro alle richieste che scaturiscono dalle nostre esperienze quotidiane più tipiche, più significative ed essenziali. Gesù ci incontra nei racconti evangelici, siamo i commensali a cena o i lapidatori dell'adultera o i servi o Nicodemo o Pilato o Pietro o il cieco nato, persone che sono parti di umanità essenziale che si manifesta al suo cospetto. Con tutta questa umanità, con tutti noi vive già il Regno di Dio, cioè, con il suo modo di essere insieme a noi in ogni tempo, nella "pienezza" del tempo, ci risponde e annuncia il ritorno della regalità, della presenza di Dio Padre, nelle vicende convulse e confuse della storia di ogni uomo e di tutti gli uomini anche nella complessità del nostro tempo. E compie miracoli. Ci permette di ricominciare. Per ognuno di noi, basta ritrovarsi tra i protagonisti dei Vangeli e c'è una parte per tutti, dopo l'incontro una nuova storia si decide nel profondo del "cuore", in quel luogo al centro del nostro essere, imprendibile "radura illuminata dalla libertà di scelta che si risveglia al sì di quell'incontro". Non sono solo le risposte di ogni parabola, ma l'essenziale è il considerarsi davanti a Lui al posto proprio dei protagonisti evangelici, accettare di diventare nuovi attori con Lui in quelle scene che certamente la nostra vita ci ripropone prima o poi. Allora da attori e non da spettatori troviamo, nell'incontrarLo, sempre nuove risposte al nostro problema che ci consentono di ripartire davvero. Dire che sembrano solo parole può voler sminuire il valore, invece molto importante, delle parole; ma questo valore è inutile se non produce dei fatti nuovi. Ecco, le parole - come il ragionamento che le produce - sono sane solo se animano o se almeno tendono a dei fatti nuovi. La vita di Gesù è certamente la parola più edificante mai detta perché produce la vita per chi sta morendo e per chi è già morto in senso fisico, razionale, morale o spirituale. Perché è la parola più edificante, cioè producente vita? La storia dell'uomo ci tramanda, oltre a guerre e nefandezze di ogni tipo, anche qualche lume di saggezza e di virtù. Senza pensare subito ai santi, alcuni uomini hanno lasciato parole e esempi di vita da ricordare. Ma chi ha mai detto: "io sono la vita"? Ma chi ha mai vissuto fino in fondo una vita che producesse vita eterna reale? Per capire, per vivere davvero, dobbiamo entrare nel gruppo di quelli che seguono Gesù e cominciare a orecchiare. Ma questi non hanno un etichetta e non appartengono a un movimento, sono solo coloro che si sentono attratti da Lui. La scia creata duemila anni fa è molto larga ormai, ma ognuno continua ad essere in diretto contatto con Lui, in linea diretta. Un fascio di fili Un fascio di fili che partono dalle sue mani. Li stringe, non li lascia sfilarsi, ma non può far nulla per chi taglia, strappa il filo. Essere in rapporto con Lui in questo modo è il nuovo "limite" che ci poniamo. Al nostro raziocinio alla nostra presunzione poniamo limite in Lui. Pensiamo allora quale dinamica assumono le nostre cose. I nostri giudizi sono limitati dai Suoi, la nostra vita è limitata, illimitata dalla Sua. Solo così possiamo cominciare ad imparare non più la dimensione mortale che impariamo alla scuola di questo vivere, ma solo quella vitale, eternamente vitale. Non può che essere così se si sceglie Lui perché ancora una volta incontriamo la Sua dimensione eterna sia per le Sue parole ma soprattutto per la Sua vita. La certezza è che è morto in croce anche per amor mio. Chi conosce un po' d'amore non ha dubbi. Riflettiamo su questo e pensiamo al nostro amore per i nostri più cari, per noi stessi. Siamo lontani dal morire per amore, ma se ci sforziamo possiamo capire che l'amore comincia quando comprendiamo questa possibilità. E per la misericordia creatrice di Dio questa morte d'amore diventa vita e non potrebbe essere altrimenti: se no, che amore avrebbe per me un Padre che mi da la vita e poi al culmine del mio essere uomo, che comprende tutto l'amore possibile, me la toglie? Sarebbe una punizione assurda! Invece se cerco, se tento di seguire Gesù, ecco che divento per sempre tutta la creatura che sono stata predestinata ad essere. Come non tentare una vita così? Posso entrare in scia, e comunicando e ascoltando ricomincio. Questa scia comincia sempre nel luogo sacro di ogni uomo che è quella radura interiore, inviolabile libertà, a cui io posso sempre tornare. È un posto ideale che mi appare pieno di sole con angoli in ombra lambiti da un ruscello aperto disteso al sole dolce del mattino inoltrato dove mi posso fermare senza paure e con la certezza di essere al sicuro. E li ascolto i tumulti interiori, guardo lo stato delle mie ferite, i lividi e le guarigioni, mi calmo. Ed entro in scia è li che incomincia. Allora vedo di nuovo Gesù. Posso dire di nuovo sì. E ricominciare. È il luogo vero della libertà, per l'inizio sempre nuovo della vita, ricostituito con forza dalla coscienza della verità, dall'onestà del pentimento e del nuovo proposito di essere di nuovo degna creatura, e con questo immediatamente riprovo l'attrazione solita e sempre nuova di Gesù. Rientro in scia e nessuno mi chiede nulla, ma solo riprende il dialogo di comunione interrotto e gli angeli riscrivono il mio nome tra gli effettivi. Gesù si volta e sorride. Il filo è riannodato. Scenderà ad abbracciarmi più tardi. Gesù fa per noi quello che ci serve. Gesù fa, per noi, tre cose essenziali che corrispondono ad altrettante nostre scelte possibili per Lui. Infatti il rapporto che abbiamo con Lui vive di reciprocità. Comincia a parlarci. ( Ascoltiamo, Mt 4,12-23 ). Ci sono momenti in cui ci sentiamo diversi, più uomini di quello che siamo, più pieni, più ampi, in grado di fare di più e meglio la nostra parte; ma poi quasi ci risvegliamo, torniamo alla nostra dimensione contratta un po' atrofizzata. La nostra intera capacità umana si chiude ai livelli più bassi più gravitazionali. Siamo più pesanti. Ecco, nei momenti in cui ci sentiamo diversi, se riusciamo a sentire l'essenziale ecco che Gesù ci parla. Noi non sappiamo che è Lui, ma riteniamo sia la nostra coscienza, la nostra interiorità che si manifesta, una qualche dimensione psicologica o psichica che si manifesta. Invece è Lui. Certo percepiamo solo frammenti, come è successo a chi ha dovuto leggere e ricomporre antichi manoscritti, parti di epigrafi. Gesù parla forte e chiaro ma noi siamo su lunghezze d'onda disabituate, rese insensibili dalla durezza del nostro vivere. Ma entrando in sintonia con questi momenti sentiremo sempre meglio. A questo sentire meglio corrisponderà una vita migliore. Ci chiama a seguirlo. ( Gli andiamo incontro, Gv 15,16 ). Non dobbiamo far diventare questi momenti come meditazioni più o meno psichiche o razionalmente; fondate o fatte con mestiere mistico, non servono. L'ascolto, la vera preghiera, mi disse padre Giovanni, è prendere coscienza della comunione d'amore che il Padre per il Cristo nello Spirito Santo ha stabilito con ognuno di noi. E Gesù che ci conosce bene ci dice una cosa sola: "seguimi". Non può chiederci altro. Per questo è vero. Molti altri ci possono parlare e ispirare, ma sempre ci chiedono altre cose: il loro "seguimi" non può essere così semplice, va motivato, è sempre un "seguimi perché". Solo Lui può curarci e ci guarisce sempre. Nel momento in cui lo seguiamo, ci innamoriamo perché scopriamo il suo amore per noi. Questo amore reciproco che sentiamo vivere in noi ci restituisce la nostra umanità creata. . Ricordiamo i più bei momenti d'amore della nostra vita Ricordiamo i più bei momenti d'amore della nostra vita. Pensiamoci, usiamo bene l'enorme potere della nostra memoria, il suo vero perché, riviviamo quelle sensazioni. Cosa abbiamo vissuto di più bello di più divino di quei momenti? La vera Grazia di Dio. Quei momenti, brevi sensazioni di perfezione quasi di onnipotenza, sono la prova che un innamoramento divino è su quella scia, ma davvero sublime. Se quegli amori sono pause nell'esistere umano e gravido di problemi, l'amore di Gesù inverte la situazione e ci lascia ancora qualche gravità solo perché abbiamo la possibilità di sperimentare bene da uomini il rapporto con Lui. E poi la scia che seguiamo finisce nelle sue mani per sempre, e noi ci conformiamo al progetto iniziale e viviamo in Lui, con Lui e per Lui Oggi abbiamo un barlume di esempio quando viviamo per Lei o Lui, con Lei o Lui, in Lei o Lui, la nostra amata o il nostro amato. Insegnare, chiamare, curare Insegnare, chiamare, curare. Nessuno può fare questo in senso vero e completo. È sempre una promessa non mantenuta. Noi spesso diciamo a qualcuno: "ti voglio bene". Lo diciamo quasi sempre perché siamo corrisposti. Amiamo chi ci ama. Abbiamo dei dubbi che Gesù ci ami? La croce d'amore non basta? Mi rivolgo ai massoni che contestano la storicità di Gesù, a chi si è costruito una logica esistenziale marxista o socialista, agli atei, agli agnostici ai teisti, a tutti coloro che non hanno ancora avuto il coraggio di affrontare l'impegno di Gesù, non tanto facendone un problema religioso in senso istituzionale ma facendone un problema di proposta. Come è possibile che si possa conoscere la Sua proposta e non seguirla? La giustificazione di una Chiesa che blocca, che rappresenta il rischio cristiano, non può bastare. È storicamente superata da casi come i sette cari trappisti trucidati in Algeria nel 1996. Gesù che parla, se ascoltato, vale infinitamente e decisivamente di più di qualunque altro "grande iniziato", come li chiama lo scrittore Édouard Schurè; Budda, Maometto, Laotse, Ramacrhisna, Krishnamurti, insegnano un pezzo di cammino verso la vita eterna ma nessuno sa dire all'uomo parole di vita come Gesù. Anche loro aiutano l'uomo, ma lo chiamano a rivivere uno stato di perfezione in fondo disumano, fondato sulla ricerca di uno stato che auto-realizza la dimensione umana. Ma la speranza di vedere il Padre e di sentirsi amati da Lui è sconosciuta. Senza l'amore non c'è vita. Tutti in fondo propongono morti più o meno indolori, ma solo morti, Gesù ci propone di vivere e di vivere d'amore. Questo non basta? Possiamo vivere coniugando questi tre verbi - insegnare, chiamare, curare - in modo sempre nuovo per rinnovare una nuova personalità umana illuminata da Gesù, sempre nuovo sole della nostra esistenza storica. Pensiamo a questo proposito alle immagini che vediamo sempre e sulle quali non ci soffermiamo. In spiaggia davanti a me ci sono una bambina intorno ai 7 anni, la mamma intorno ai 30, la nonna intorno ai 55 e la bisnonna sui 75. La continuità genetica è evidente, sembra la pagina di un libro di antropologia. Però la dimensione umana nella sua interezza evidenzia in modo chiaro che l'esistenza di queste persone ha il suo punto alto, per le nostre convenzioni, nell'età forte, i 30 anni. Prima c'è una fase coccolata dopo fasi di accettazione del proprio stato e rassegnazione un po' "depravata" lasciata libera. Sono le 4 fasi della vita non riproducibili nella realtà che si manifestano. Sono evidentemente occasioni per capire l'errore esistenziale che commettiamo: è lo sguardo che conta. Stagioniamo Stagioniamo con tutto quello che invecchiare in senso non enologico vuol dire. Questo tipo di vita biologica non tiene conto che è soggetta alla legge biologica che procede con precise azioni e reazioni che sembrano casuali e che invece, viste nelle immagini possibili come quella delle quattro generazioni in spiaggia, sono causali e molto precise. Al disordine corrisponde in tempi diversi, a seconda delle circostanze causanti, la crisi esistenziale e la chiusura alla vita per battere l'amor proprio sconfitto. Non rinunciamo a considerarci vittime. Invecchiamo da vittime. Ci ammaliamo come vittime predestinate di chissà quali sortilegi o destini. Desiderio di magia che aumenta la crisi dell'uomo che produce maghi, uomini che capiscono lo sfruttamento possibile della debolezza derivante da crisi storiche. Pensiamo all'astrologia che ci destina ... Pensiamo agli uomini e alle donne entrambi, in ogni senso svelati, come prendisole in spiaggia. Vestiti di un costume che non nasconde la nostra fisicità ma soprattutto non ci rende apparenti ma reali. Dove solo piccoli ma fondamentali dettagli di educazione o culturali determinano differenze sensibili. In questi momenti viene la tristezza di come siamo lontani dal ricominciare. Come siamo terrestri. Come siamo ormai anche senza passioni. La passionalità è negativa quando è fine a se stessa come il collezionismo, ma è invece un segno di risveglio quando ha il fine di sentire di più e quindi apre e non chiude i sensi umani. Balziamo in avanti, guardiamo lontano più in alto, rompiamo le convenzioni e le abitudini, ricominciamo a credere in noi stessi come da bambini. Ricordiamoci dell'amicizia come allora, con quello spirito che non è infantile, crediamo in Gesù nostro amico. É questo atteggiamento la possibilità di saltare il fosso della nostra incapacità di amarci e trovare Gesù che comprende tutte le nostre nefandezze e ci sorride. Ricomincia subito e ridi di te stesso quando la memoria ti riporta alla vita prima. Ma non solo ci possono essere molte vite prima. Tutte importanti se riviste nella nuova vita che viviamo in rapporto sempre più stretto a Gesù. È impossibile che Lui abbia tutta questa pazienza, assurdo pensiero che non tiene conto che è morto crocifisso pur di accogliere per sempre e per ognuno degli esseri umani tutto il male che siamo in grado di fare e riempire l'esistere di ogni uomo di amore di bene ogni volta che si svuota per l'entrata del male nella vita. Ecco: Gesù, se voglio, ripristina il livello essenziale di amore che ci contraddistingue ogni volta che ci facciamo del male, cioè ci svuotiamo di bene Ricominciamo da Gesù Ricominciamo da Gesù perché Gesù è per noi, in un rapporto stretto e predestinato, tutto. Solo ponendo davanti a Lui ogni cosa e trovando in Lui la risposta viviamo bene. Altrimenti ci allontaniamo. Ma la Sua attrazione purtroppo non è più forte della nostra libertà. Possiamo respingerlo. Prendiamo ad esempio i momenti di crisi, familiare, lavorativa, di salute, finanziaria: sono chiari segni di cambiamento. Se non ce ne accorgiamo, provochiamo in tempi a noi ignoti altre crisi, fino ad una situazione critica irreversibile e quindi insostenibile. Se cambiamo possiamo entrare in nuovi sentieri esistenziali, e questo ci dà la possibilità di ricominciare. Se non comprendiamo che le crisi sono segno di cambiamento, allora il discorso è molto diverso perché al posto di considerare la memoria, la nostra storia, il nostro stato psico-fisico, come un prezioso aiuto, esso diventa un fardello, una condizione negativa che ci affatica, ci abbatte. Questo ricominciare è fondato invece sui risvolti sempre positivi che abbiamo consolidato ma non capito nella nostra vita prima. Questo però è solo possibile in rapporto a Gesù. Infatti solo Lui nella storia mi dice che anche per me il seguirlo, il capirlo è via, verità, vita. Questo attrae le folle preludio della parola conclusiva: "Quando sarò elevato da terra trarrò tutti a me". ( Gv 12,32 ) Se la vita incomincia con un sì alla chiamata di Dio, allora inizia proprio dal concepimento che mi innesta nella vita, nella storia degli uomini, senza un mio consenso. C'è poi la seconda chiamata alla fonte battesimale che mi innesta nella vita spirituale, in Dio, nella storia delle anime. C'è la chiamata che mi apre al superamento di me stesso verso gli altri. C'è la chiamata a una vita eterna. Dio con Gesù ci chiama a rientrare nel movimento della vita nella sua dinamica e integralità materiale razionale e spirituale. La vita sublime è vivere così come siamo nel desiderio di non soffrire e di non dispiacere agli altri ma non per essere dei perfetti ma perché siamo convinti, abbiamo fede in Gesù e esplodiamo di gioia quando sentiamo la Sua forza, il Suo amore, che ci attrae. In questo istante ( adesso ) e nell'istante della nostra morte siamo in quel punto dove il regno di Dio e il regno dell'Uomo si incrociano. È il "Crocevia" essenziale attraverso il quale passiamo tutti e grazie a Dio ci fa vedere Gesù. Lo riconosciamo? Preghiamo per questo. La vita cristiana La vita cristiana, è solo e sempre un tentativo. È un fatto che dobbiamo accettare come limite umano e anche culturale. Ci dobbiamo confrontare con l'utopia cristiana. Abbiamo molte conferme. Uno dei pensatori più intelligenti del nostro tempo ci dice: "... cristiano e utopico stanno faccia a faccia. Entrambi sanno che l'impossibile deve essere reso possibile affinché l'uomo possa essere ciò che è. È inutile unificare a tal punto possibile e impossibile che entrambi scompaiano nella vuota libertà dell'uomo di essere sia Dio sia diavolo; ciò è fallimentare quanto al compito della solidarietà umana; l'uomo è custode di suo fratello. Ma il fratello è un "impossibile" come io lo sono; perciò soltanto insieme, in uno sforzo sostenuto dalla speranza utopica, possiamo impegnarci a camminare verso il punto in cui l'impossibile si rovescia nel possibile, reale e necessario. L'utopia ha la gloria davanti a sé; è sospinta dalla forza di scatto dell'impossibilità di oggi. Non può più esistere la morte, e più nessun dolore lamento e pena ogni lacrima deve essere aspersa, le cose di prima sono passate ( Ap 21,4 ). Qualcosa nell'uomo e nel mondo ci autorizza a una tale speranza: il sapere che, controvoglia ( Rm 8,20 ), soggiaciamo ad una dominazione estranea ( Rm 5,14 ), e che sull'orizzontale "vanità" del nostro tempo qualcosa pende, qualcosa DEVE intervenire lungo la verticale, se l'adesso può in genere esistere nella sua impossibilità. Sono pensieri e parole difficili come è difficile vivere senza lasciarsi andare all'animalità abitudinaria e colpevole del nostro esistere proprio perché siamo coscienti dell'impossibilità di salvarci da soli. Ma certamente è possibile accorgersi e ammettere di essere così, e questo basta; poi viene Lui. Breve profilo dell'Autore Riccardo Mottigliengo, architetto in senso medioevale, è nato a Torino e qui ha investito le sue esperienze professionali e culturali in condivisione con la moglie Carla e i figli Chiara e Marco; con loro partecipa alle dinamiche di un'impresa che ha festeggiato i primi vent'anni. Ha rivestito numerosi incarichi nella supervisione di aziende, sviluppando in parallelo la conoscenza degli autori più importanti del cattolicesimo integrale del Novecento, in particolare i Francesi di "Esprit": da qui una sintesi originale e precorritrice dei tempi sul rapporto fra fede e laicità, fra lavoro, etica cristiana ed economia. Ne sono testimonianza lungo numerosi anni le sue tesi pubblicate nella rivista "Il margine" ( Economia personalista come anti-ideologia mercantile. Un'ispirazione politico-imprenditoriale per un nuovo sistema economico; Capitale e Uomo ), pietre miliari di un vivissimo percorso interiore e di una visione del mondo radicata nel Vangelo. Ha studiato le Cattedrali, divulgandone in alcune conferenze la mistica derivante da S. Bernardo di Clairvaux. È stato fondatore e presidente dell'Associazione Madonna della Fiducia a sostegno del Monastero di San Biagio fatto rinascere da fra' Filiberto Guala e il gruppo torinese degli Amici di San Bernardo. Ha collaborato con l'Università Cattolica del Sacro Cuore per le problematiche patrimoniali ed è stato presidente del gruppo torinese di amici di questa istituzione, il Centro di Cultura e Studi Giuseppe Toniolo. È stato segretario dell'Unione Cristiana Imprenditori e Dirigenti; alla Quaresima di Fraternità che la diocesi subalpina celebra da oltre quarant'anni ha dedicato numerose contributi di riflessione da un punto di vista inconsueto e propositivo. Nel progressivo sviluppo del suo pensiero e delle sue scelte, Mottigliengo ha frequentato importanti figure della Chiesa piemontese, teologi e pastori, offrendo loro una sponda credibile della sensibilità del christifidele laico e attingendo da loro stimoli e conferme alla sua azione. Ha incontrato da vicino gli Istituti Secolari nei quali ha scoperto l'intensa spiritualità del Crocifisso, esperienza particolare di un umile francescano, fra' Leopoldo Maria Musso ( 1850-1922 ), servo di Dio. A. R. L.