Piacere di conoscerti!

"Quando due persone si incontrano non si può mai sapere chi ne trarrà maggior giovamento…"

L'esperienza imprenditoriale di un cristiano con gli immigrati stranieri, per riflettere sui loro bisogni e i nostri limiti

di Riccardo Mottigliengo già presidente del Centro di Cultura e Studi G. Toniolo

Può darsi che conosciamo i doveri verso la nostra famiglia, gli amici, i concittadini, ma quali doveri abbiamo nei confronti degli sconosciuti?

Nessuna parentela o amicizia ci unisce: solo l'indeterminato appello di un essere umano a un altro essere umano. ( Michael Ignatieff, "I bisogni degli altri", Mulino 1986, p.23 )

Il passare del tempo avvalora l'esperienza come interprete di incontri, avvenimenti, circostanze. Giudizi fino a ieri fondati sul sapere e lo studio sono stati integrati, migliorati, superati proprio dalle esperienze fatte.

Il continuo e nuovo incontro quotidiano con "facce" che mostrano etnie diverse modifica, seppur nella resistenza al cambiamento, rapporti e giudizi.

Anche la religiosità rientra tra le esperienze e il suo crescere insiste nel porre tutto in rapporto a Gesù Cristo, al Vangelo, ascoltando le sue parole.

Affrontare una problematica a partire dall'esperienza diretta ci mette in gioco e, se accettiamo la trasparenza come abito, la nostra credibilità aumenta ed è più convincente. La trasparenza è amica della verità.

Il Popolo di Dio, la Chiesa, in particolare quella cattolica, è evangelicamente ispirata a favorire, aiutare la comprensione dell'esperienza quotidiana; la religiosità crescente annota, proprio nell'apparente banalità abitudinaria, la presenza-essenza di Dio.

I bisogni degli altri

L'incontro è sempre importante, ma tra sconosciuti - diversi - è più importante.

La via dell'incontro e della comprensione è la premessa del rapporto da costruire sia con chi arriva tra noi in modo più o meno improvviso sia con chi si è già ,bene o male, collocato e ambientato.

Vorrei portare la mia esperienza di imprenditore che ha avuto a che fare con gli immigrati.

In momenti dove si richiama a voce alta il primato "doveroso" dell'economia reale - dopo che per anni anche il Popolo di Dio, in silenzio, ha investito in speculazioni di ogni tipo - e dove sembra riprendere forza il valore del Lavoro, fondamento del nostro vivere e premessa fondante le nostre istituzioni italiane, dobbiamo riconoscere di aver dato spesso un cattivo esempio agli immigrati e forse abbiamo tradito le loro attese.

Ma i casi positivi ci sono: sono di nicchia per necessità di sopravvivenza, ma di essi vanno comunicati l'impegno e l'onestà costruttiva, albori di una nuova società ispirata al cristianesimo e quindi possibile.

Se la comunicazione imperante è silente ed omissiva, dobbiamo investire in una comunicazione giustamente favorevole.

Un'etica economica cristiana e cattolica deve saper valutare in modo nuovo i profitti e credere di essere possibile movente di una nuova forza economica.

Le migrazioni che la storia ciclicamente ripropone, e che noi amiamo con i nostri maestri santi sociali , sono per noi profetiche anche in questo senso.

Lo pseudo-cristianesimo che non coglie il valore economico di una integrazione sociale se non in termini speculativi e di sfruttamento, e che non vede il danno della disoccupazione e della sottooccupazione e del lavoro nero, conferma e avvalora i motivi di crisi perdurante che favorisce i ricchi speculatori/risparmiatori insonni di questi mesi.

Cattolici buonisti e riservati

Il nostro comunicare dal Concilio in poi non ha superato la logica clientelare e di appartenenze.

Chi paga comanda e quindi il cattolico viene fatto apparire come un buonista, tranquillo, appeso ai suoi velati accumuli egoistici ( seppur dettati dalle paure ma non giustificanti le ignavie e le omissioni ), che preferisce una religiosità privata che purtroppo l'immigrato non può vedere; anzi, fa capire meglio le debolezze religiose dei migranti che trovano forse calore solo nel rifugio comunitario delle funzioni etniche.

Ci vedono ricchi e riservati, pie donne in abitudinario rosario serale .

"Ferventi" ogni 7 giorni.

I quotidiani elemosinanti sui gradini delle chiese ci contano e ci osservano.

Due sono i percorsi attraverso i quali sono entrato in rapporto con gli immigrati: cercarli per bisogno; essere cercato per bisogno.

Il bisogno è dunque l'elemento comune.

Tutti hanno bisogno innanzitutto di lavoro, ovvero soldi.

Ho sperimentato più volte da parte loro l'accumulo di qualche migliaio di euro dopo 2-3 anni di lavoro e un furtivo ritorno a casa; scappati un 1° del mese dopo aver ricevuto la busta paga e mai più sentiti.

Pochissimi di loro ( come adesso anche noi ) hanno una cultura del lavoro: quella dei nostri genitori, quella cresciuta con l'industrializzazione europea e che adesso si è sciolta nel consumo individuale a valle dei proventi delle varie attività.

L'apparenza conseguente è diventata la cultura di riferimento, alla sostanza faticosa del lavoro si è sostituito il desiderio di un lavoro disimpegnato anche se poco remunerato.

Apprendere un mestiere, crescere e mettere su famiglia non rientra più tra le vocazioni( "schiavi felici", diceva S. Agostino nel V sec. ).

Più di noi gli immigrati sentono, forse perché l'unione fa la forza, una esigenza famigliare e anche uno spirito di etnia che, anche se strumentale, per i migliori diventa riferimento serio e costruttivo di stabilità.

Ma questo si esaurisce con la fine della paura della solitudine.

Il passo successivo è la condivisione/esportazione delle nostre maniacali situazioni.

La nostra e loro religiosità

La caduta della religiosità vissuta, componente naturale e strutturale della persona umana in senso non solo cristiano, segna l'indifferenza sostanziale dei rapporti interpersonali.

Si salvano i rapporti solo con gli interessi comuni, i risparmi della convivenza.

Ma la religiosità è la linfa vitale dell'anima.

Il rifiuto della propria dimensione religiosa implica l'inaridimento della persona e una lenta morte spirituale, anticipata dall'esaurimento morale ed esistenziale psico-fisico.

Il tentativo di intraprendere - integralmente e non in modo "diviso" ( privato e pubblico, apparente e reale ) - un cammino già quotidianamente e gioiosamente riconosciuto verso il Paradiso ha un essenziale bisogno di incontro con gli immigrati di ogni tipo per attuare la virtù della comprensione come vera cultura caritatevole.

Abbiamo bisogno di riconoscere veramente l'importanza dell'interdipendenza e della bella reciprocità per far vedere la gratuità dell'amore cristiano.

Se affrontiamo la nostra seria e provata conoscenza dei temi del Compendio della Dottrina Sociale Cattolica ci accorgiamo dei limiti che ci siamo costruiti proprio nell'incontro e comprensione in senso cristiano degli immigrati; fa eccezione il santo impegno missionario cattolico, nel carisma degli ordini religiosi figli dei santi sociali: la resistenza e la forza della Parola di Gesù Cristo nel mondo si manifestano di più proprio quando in cielo si raccolgono e si "pesano troppe lacrime ", come scrisse E. Cioran in "Lacrime e Santi" ( Adelphi, 1937 ).

Etica e gratuità

Pensiamo anche all'affermazione del bisogno di etica, oggi proclamato da politici di alto livello istituzionale.

Ma su questo tema anche l'asino perde fiducia e si ferma.

Come parlare di etica senza aggiungere i suoi fondamenti?

È fondata in Gesù Cristo o sul valore del capitalismo, sulla mutualità settaria, sul dare solo senso comune e non personale all'essere, sul desiderio ragionevole e ragionato di libertà , fraternità , eguaglianza?

La gratuità è un aspetto che sembra contrastare quello economico del lavoro e di molte etiche.

Quando una persona bisognosa chiede solo di lavorare, la risposta cristiana in senso cattolico non può essere finalizzata ad un tornaconto economico, ma al rispetto dei ruoli che vedono l'incontro tra il lavoro da fare e la persona pronta a farlo.

Questo rapporto ha un valore economico che dobbiamo riconoscere in modo onesto e serio, pagando i contributi senza approfittare della situazione di evidente debolezza.

Ora, scagli la prima pietra chi non ha sottopagato una badante o non ha imbiancato casa pagando quattro soldi a rumeni o moldavi clandestini.

Tentare e ritentare di fare come catechismo e buona coscienza insegnano, per crescere tra peccato e riconciliazione, è possibile per tutti.

Una persona di mondo crede di non aver bisogno di sapere cosa c'è scritto/proposto sul compendio della dottrina sociale cattolica: crede di avere molto, di sapere abbastanza, di poter desiderare sempre di più e meglio ...

Ma non si accorge che, non vedendo se stesso nell'altro che incontra, di qualunque stato e provenienza sia, la sua pigra presunzione sta costruendo una quotidiana realtà esistenziale banale e fa crescere negli immigrati più semplici il desiderio di tornare, appena possibile, a pescare sulle rive del Danubio.

Integrazione

L'integrazione, necessaria come scambio di forze, non può avvenire senza il nostro esempio di vita.

Ma su quale reale tessuto sociale può costruirsi?

Sembra che il tessuto sociale così come lo intendiamo sia in esaurimento ( Alain Tourain, "La globalizzazione e la fine del sociale", Saggiatore, 2008 ).

L'individualismo prolifera alimentato e fatto crescere dalle dinamiche del consumismo, favorito dalla comunicazione perversamente positiva, dal mercantilismo imprenditoriale esasperato, dagli speculatori internazionali e dalle criminalità più o meno organizzate.

Purtroppo il giustificante "tante teste, tante idee" è lo slogan diffuso in vari modi e, purtroppo, l'ignoranza ne favorisce l'accoglimento veritiero.

Siamo un insieme di individui slegati che purtroppo solo "eventi risveglianti" forti, nel privato e nel pubblico, possono riportare a rivalutare - a partire dal matrimonio e dalla famiglia e dal lavoro - cosa serve per vivere bene.

I più deboli sono quelli che pagano i prezzi più alti di questa situazione, anche se la comunicazione cerca di insistere sul loro valore come soggetti di consumo e parla i loro linguaggi e li cerca per integrarli nei supermercati.

Ma tutte queste considerazioni possono portare molti di "noi", in coscienza, a doverli aiutare, a combattere la buona battaglia per condividere con il "nuovo" questo tempo/luogo storico e raggiungere insieme una serenità/equilibrio capace di costruire reciprocamente quel miglior bene comune possibile che serve ad ogni persona per comprendere, prima o poi, il bisogno di incontrare Gesù Cristo.


"L'autentico credente è luce che illumina"

"L'esperienza cristiana germoglia nella quotidianità dell'esperienza comunitaria.

Oggi per molti l'ambito specifico dell'esperienza cristiana è considerato un mondo anzitutto lontano dalla vita ordinaria.

Ciò nondimeno l'esperienza cristiana resta possibile, ed è compito dell'educazione religiosa trovare vie di accesso alla vita e all'esperienza della Chiesa, così come incoraggiare a condividerle.

Nell'atto con cui insieme si crede; nella preghiera, nella celebrazione, nella gioia, nella sofferenza e nelle diverse circostanze del vivere affrontate insieme, la Chiesa diviene 'comunità': un ambito reale di esperienza e di vita, che permette di sperimentare la fede come energia che sostiene nell'esistenza quotidiana e nei diversi momenti di crisi.

L'autentico credente, che non si sottrae alla progressiva maturazione della fede, comincia a divenire luce che illumina i suoi fratelli; un sostegno del quale anche altri possono avvalersi.

I santi - come persone in carne e ossa che hanno sperimentato e rinsaldato la fede e che documentano in modo vivo che all'uomo è data per davvero la possibilità di trascendersi - rappresentano un 'orizzonte' esistenziale aperto, nel quale ci si può inoltrare e in cui la fede, proprio come esperienza viva, è per così dire 'tesaurizzata', prefigurata antropologicamente e resa accessibile alla nostra vita mediante una graduale crescita e un progressivo approfondimento nella partecipazione a esperienze di questo genere aumenta infine anche l'esperienza cristiana nel senso più peculiare del termine: ciò che il linguaggio dei Salmi e del Nuovo Testamento chiama 'gustare il Signore' ( Sal 34,9; 1 Pt 2,3; Eb 6,4 ).

In essa, l'uomo tocca la realtà stessa di Dio e non crede più solamente 'di seconda mano'".

J. Ratzinger - Internationale katholische Zeitschrìft Communio, (1980, pp. 58-70)