«Aramei erranti»

«Mio padre era un arameo errante»; questa frase, con cui si apre la professione di fede contenuta in Dt 26,5-9, conserva la memoria della condizione nomade degli antenati d'Israele e della loro appartenenza al ceppo linguistico aramaico.

Che gli antenati d'Israele parlassero aramaico viene confermato dalle caratteristiche dei più antichi nomi «israelitici» a noi noti, come Giacobbe, Isacco, Dan, Gad e Labano, che hanno la medesima struttura dei nomi personali aramaici.

I nomi personali successivi hanno invece una struttura che ne rivela la derivazione cananea.

La consapevolezza della parentela con gli Aramei si rispecchia anche nei racconti dei patriarchi: il parente più prossimo di Giacobbe è l'«arameo Labano» ( Gen 29,1-5; Gen 31,20-24 ), e aramee sono le mogli di Isacco e di Giacobbe, vale a dire le progenitrici d'Israele ( Gen 24,10 ss.; Gen 25,20; Gen 28,2.5ss ).

Gli antenati degli Aramei erano probabilmente stanziati, in origine, nella penisola arabica.

In una duplice ondata migratoria, gruppi aramaici invasero il Kulturland.

In una prima ondata, avvenuta nel corso dei secoli XIX e XVIII, si riversarono a nord stanziandosi in Mesopotamia e in Siria, ai margini del Kulturland, dove vennero presto a costituire una nuova classe dominante.

Questi elementi sono stati definiti «Semiti del nord-est», «Cananei orientali» o anche ( impropriamente ) «Amorriti».

Noth ha proposto, fornendo valide argomentazioni, la denominazione di «Protoaramei».

L'archivio di lettere in lingua accadica ( XVIII secolo ) della città di Mari, sull'alto corso dell'Eufrate, ci consente di apprendere che fra gli antenati d'Israele e la gente di Mari, appartenente ai «Protoaramei», esistono numerose affinità per quanto riguarda la nomenclatura, il vocabolario, la lingua, la struttura sociale, le norme giuridiche e le istituzioni cultuali. In una seconda ondata migratoria, nel corso dei secoli XIV e XIII, Edomiti, Moabiti, Ammoniti e Israeliti fecero irruzione nel Kulturland palestinese.

Gli antenati d'Israele erano dunque seminomadi che si spostavano periodicamente alla ricerca di nuovi pascoli.

Possedevano greggi e vivevano ai margini del Kulturland nelle stesse condizioni delle popolazioni seminomadi del nostro tempo.

Durante la stagione delle piogge essi trovavano nella steppa cibo sufficiente per le loro famiglie e per i loro greggi; ma nella stagione secca, quando la steppa non poteva più offrire alcun sostentamento, si spostavano nel Kulturland, dove potevano ancora trovare, sui campi mietuti, un nutrimento modesto ma sufficiente.

Tale situazione si rispecchia nei racconti dei patriarchi e nelle tradizioni che hanno come contenuto la permanenza nel deserto.

Durante tale permanenza era indispensabile effettuare soste intermedie presso oasi sorte intorno a pozzi o sorgenti.

Le oasi di Elim ( Es 15,27; Es 16,1 ), Corma ( Nm 14,45 ), Mara ( Es 15,23 ) e Cades ( Nm 13,26 ), nella regione del Negev e nel deserto del Sinai, vengono menzionate una per una nei racconti riguardanti la peregrinazione nel deserto.

Nel deserto e nelle oasi i pastori nomadi vennero a contatto con gli abitanti delle oasi stesse, nonché con gruppi non sedentari, come i Madianiti è i Keniti.

In tali occasioni potevano sorgere contrasti e conflitti circa il diritto, soprattutto, di utilizzare le sorgenti; conflitti del genere, appunto, costituiscono il retroscena del racconto della guerra con gli Amaleciti ( Es 17,8-16 ).

I territori in cui queste popolazioni nomadi effettuavano i loro spostamenti durante la stagione delle piogge dovevano essere i margini del deserto siro-arabico e di quelli del Negev e del Sinai.

Nella stagione secca lo spostamento verso nuovi pascoli poteva avvenire dal deserto siro-arabico verso la Palestina, la Siria e la Mesopotamia nord-occidentale, come si desume dai racconti di Giacobbe, e, come risulta dai racconti di Isacco e di Abramo, dal deserto del Negev in direzione della Palestina meridionale.

In seguito si delineò la possibilità di spostarsi dal deserto del Sinai verso il fertile delta del Nilo: in questa cornice vanno ricercate le motivazioni della permanenza degli antenati d'Israele in Egitto.

In primavera, in occasione dell'avvicendamento dai pascoli invernali a quelli estivi, si celebrava il rito pasquale.

La notte prima di mettersi in cammino alla ricerca di nuovi pascoli, i pali d'ingresso della tenda venivano cosparsi col sangue di un agnello allo scopo di proteggere le greggi, e in particolare i primi nati, cui si attribuiva un valore particolare, dallo «sterminatore», un demone del deserto che minacciava l'incolumità del bestiame ( Es 12-13 ).

Raggiunti i nuovi pascoli, questi erano generalmente sfruttati, sulla base di convenzioni, in accordo con gli abitanti del Kulturland.

Nei racconti dei patriarchi, per esempio, si narra di un accordo pacifico concluso fra gli abitanti della regione e i pastori nomadi circa il diritto di attingere alle fonti d'acqua.

Dove patti del genere non furono conclusi, potevano facilmente sorgere motivi di contesa circa l'utilizzazione delle sorgenti ( Gen 26,18-35 ).

Occasionalmente si ebbero anche accordi pacifici in base ai quali gli abitanti della regione concedevano ai seminomadi di transitare sul loro territorio e di utilizzare le sorgenti a condizione che non deviassero dal loro cammino e lasciassero intatti i raccolti ( Nm 20,17-19 ).