I patriarchi

Fonti: racconti dei patriarchi ( Gen 12-36 ).

A tali gruppi di pastori seminomadi appartenevano anche i patriarchi, di cui la tradizione veterotestamentaria dice espressamente che abitavano in tende ( Gen 12,8 ).

Se in passato gli studiosi erano propensi a vedere nei patriarchi nient'altro che semplici personificazioni delle tribù, la ricerca più recente ha dimostrato trattarsi invece di singole figure storiche.

Giacobbe, Isacco, e probabilmente Abramo, sono documentati come nomi personali nelle lettere di Mari ( XVIII-XVII secolo a.C. ), ma in nessun luogo appaiono come nomi di tribù.

I racconti dei patriarchi ci consentono di ricavare notizie sul mondo religioso degli antenati d'Israele: dalle caratteristiche dei nomi divini che vi ricorrono e da quelli, di struttura analoga, documentabili in iscrizioni nabatee e greche ( dal I secolo a.C. al IV d.C. ) provenienti dai margini della regione siro-palestinese ( soprattutto Hauran, Palmira e Petra ), A. Alt ha dedotto il «tipo» del «Dio dei padri».

Il carattere distintivo di tali divinità è dato dal fatto che esse non erano designate, come ad esempio le divinità di Canaan, col nome del luogo in cui erano venerate ( per esempio: El Betel, il dio di Betel ), ma con quello della persona cui si erano per la prima volta manifestate, e che ne aveva istituito il culto.

Così, la denominazione «il Dio di Abramo» indica, ad esempio, che il Dio così chiamato si rivelò per la prima volta ad Abramo, e che Abramo praticò per primo il culto di questo Dio.

Le espressioni «pahad yishaq» ( «il Terrore di Isacco», Gen 31,42.53 ) e «,'àbìr ya 'aqob» ( «il Potente di Giacobbe», Gen 49,24 ) ci consentono, ancor oggi, di percepire qualcosa della forza straordinaria con cui la divinità dovette manifestarsi ai padri.

Con la rivelazione del Dio i padri ricevettero la promessa di una terra e di una numerosa discendenza: in ciò sta il motivo dell'importanza che gli Israeliti attribuirono sempre ai patriarchi.

La tesi di A. Alt fu accolta con favore, ma prestò anche il fianco a delle critiche, rivolte al fatto, fra l'altro, che i paralleli da lui addotti dall'ambiente nabateo sono troppo lontani nel tempo.

Circa la religione dei patriarchi, si discutono, fra le altre cose, la collocazione dal punto di vista della storia delle tradizioni, la datazione, la posizione dal punto di vista della storia delle religioni e la giusta interpretazione dei nomi divini documentati nei racconti dei patriarchi.

Per la discussione di questo problema, che non può essere sviluppata in questa sede, si vedano i sopracitati resoconti delle indagini di Weidmann, Scharbert e Westermann.

In lavori più recenti vengono analizzati testi assiri in cui la formula «il dio di mio ( tuo, vostro ) padre» è riferita a divinità familiari e tutelari.

Nel contesto di questi paralleli, il legame con un piccolo gruppo e la promessa di protezione e di assistenza sembrano essere le caratteristiche essenziali delle divinità dei padri venerate dagli antenati d'Israele.

Quando le tribù che veneravano le divinità dei padri si stabilirono in Palestina, quelle che adoravano il Dio di Isacco si stanziarono a sud, nelle vicinanze di Bersabea, ai margini del Kulturland; i gruppi che veneravano il Dio di Abramo si stabilirono sui monti della Giudea, nelle vicinanze di Ebron; quelli che adoravano il Dio di Giacobbe si insediarono, infine, nella parte mediana della Transgiordania e in alcune zone montuose della Samaria.

Tutti questi gruppi, poi, presero possesso dei luoghi di culto cananei che sorgevano nei territori occupati e identificarono le divinità che vi erano venerate con le divinità dei padri.

I racconti cultuali tramandati nei santuari vennero riferiti a queste ultime, e le figure dei patriarchi inserite in quei racconti.

Si giunse così a collegare le tradizioni patriarcali di popoli nomadi con le tradizioni cultuali dei santuari del Kulturland, nei quali da allora in poi vennero trasmesse le tradizioni dei patriarchi.

Così, il santuario del pozzo di Bersabea divenne il centro della tradizione di Isacco ( Gen 26,23-25 ); presso il santuario dell'albero di Mamre, vicino a Ebron ( Gen 18.23 ), veniva tramandata la tradizione di Abramo; i santuari di Sichem ( Gen 33,18-20 ) e Betel ( Gen 28,10-22 ) nella Palestina centrale, come pure quelli di Penuel ( Gen 32,22-32 ) e Macanaim ( Gen 32,2-3 ) in Transgiordania, divennero i centri della tradizione di Giacobbe.

Quando i diversi gruppi che un tempo adoravano le divinità dei padri si stabilirono nel Kulturland entrando in contatto fra loro, e si fusero infine nel grande Israele, vennero a intrecciarsi l'una con l'altra anche le rispettive tradizioni patriarcali che in origine erano tramandate separatamente.

Le figure dei patriarchi, Abramo, Isacco e Giacobbe, vennero collegate genea logicamente, e le rispettive divinità furono unificate sotto la denominazione «il Dio di Abramo, di Isacco e di Giacobbe» o «il Dio dei padri» ( Es 3,6.16 ).

In uno stadio successivo la figura di Abramo, legata a Ebron, venne connessa anche con Sichem e Betel ( Gen 12,6-8 ).

Quando gli Israeliti cominciarono ad adorare Yahweh, riconobbero in lui lo stesso Dio che in passato si era manifestato ai padri e a cui aveva fatto le sue promesse, e interpretarono la conquista del Kulturland come compimento della promessa fatta ai padri: nella rivelazione del Dio dei padri essi videro uno stadio preliminare della rivelazione di Yahweh ( Es 6,3 )