L'evento del Sinai

Fonti: Es 19.20.24.

Gli antenati degli Israeliti conobbero la fede in Yahweh, che doveva in seguito definire l'essenza più profonda d'Israele, nell'epoca precedente l'abbandono del nomadismo.

Circa l'origine dell'adorazione di Yahweh la tradizione veterotestamentaria ci addita il Sinai, un monte sacro nel territorio desertico a sud della Palestina.

La denominazione, palesemente arcaica, «Yahweh, ( il Dio ) del Sinai» ( Gdc 5,5; Sal 68,9 ) e la locuzione «Yahweh viene dal Sinai» ( Dt 33,2; Ab 3,3 ) caratterizzano Yahweh associandolo al Sinai e indicando tale monte come sua dimora.

Non ci è più possibile determinare con sicurezza l'esatta posizione del Sinai.

La tradizione che lo situa nella parte meridionale dell'odierna «penisola del Sinai» è documentata per la prima volta in epoca bizantina ( IV secolo a.C. ).

Iscrizioni rupestri risalenti al I secolo a.C. indicano tuttavia che in quel luogo si trovava un santuario nabateo meta di pellegrinaggi.

Poiché Es 19,18 fa menzione di un'eruzione vulcanica, si è pensato di localizzarlo ad est del golfo di 'Aqaba, dove si trova, a differenza che nella tradizionale penisola del Sinai, un vulcano attivo.

È da prendere infine in considerazione il fatto che Dt 33,2 e Gdc 5,4-5 mettono in parallelo il Sinai e il Seïr, con cui si designa la regione montuosa ad est di wadi el-'araba, tra il mar Morto e il golfo di 'Aqaba.

La tradizione sinaitica, che narra di una lunga permanenza delle tribù d'Israele sul Sinai, occupa ampio spazio nella forma finale del Pentateuco ( Es 18 - Nm 10 ).

La maggior parte di quest'opera è da attribuire al documento sacerdotale, che costituisce lo strato letterariamente più recente del Pentateuco, mentre il nucleo più antico della tradizione del Sinai è limitato, nei documenti più antichi ( jahvista ed elohista ), a Es 19.24.34.

Tra gli elementi più antichi della tradizione sinaitica dovrebbero annoverarsi la teofania ( apparizione, manifestazione del dio ) avvenuta sul Sinai e un'azione cultuale, ad essa collegata, che istituiva un rapporto di comunione tra Yahweh e coloro che prendevano parte a tale culto.

Ambedue gli elementi della tradizione si ritrovano sia nel jahvista che nell'elohista, ma sono presentati in. modo diverso.

Secondo il jahvista la teofania ebbe luogo in occasione di un'eruzione vulcanica: «Il monte Sinai era tutto fumante, perché su di esso era sceso Yahweh nel fuoco e il suo fumo saliva come il fumo di una fornace: tutto il monte tremava molto» ( Es 19,18 ).

L'azione cultuale consisteva, secondo il jahvista, in un rito cruento celebrato ai piedi del monte, durante il quale metà del sangue di un animale sacrificale veniva versata sull'altare, mentre l'altra metà era sparsa su coloro che prendevano parte al culto ( Es 24,5.6.8 ).

È discusso se l'interpretazione del rito come conclusione di un patto ( v. 8b ) risalga già al jahvista o debba considerarsi un'aggiunta posteriore.

Nell'elohista il segnale della teofania è dato dal suono del corno, e Dio parla a Mosé nel tuono: «Il suono della tromba diventava sempre più intenso: Mosé parlava e Dio gli rispondeva con voce di tuono» ( Es 19,19 ).

Sul monte, alla presenza della divinità, ha luogo un pasto rituale: «Essi videro il Dio d'Israele: sotto i suoi piedi vi era come un pavimento di lastre di zaffiro, simile in purezza al cielo stesso.

Contro i privilegiati degli Israeliti non stese la mano: essi videro Dio e tuttavia mangiarono e bevvero» ( Es 24,10-11 ).

Il monte su cui ebbe luogo la teofania è detto «monte del Sinai» nel jahvista e «monte di Dio» nell'elohista.

È possibile che jahvista ed elohista intendano lo stesso monte sacro e si riferiscano allo stesso evento, e che la diversa denominazione del luogo, come pure la differente descrizione dei fatti, siano da attribuire esclusivamente allo stile narrativo dei documenti corrispondenti.

Non è tuttavia da escludere la possibilità che le differenze riscontrabili su questo punto siano da ricondurre a due diverse tradizioni, originariamente autonome, legate a due differenti monti sacri cui erano connessi culti parimenti diversi.

Circa lo sfondo storico di queste tradizioni, è molto probabile che dei lontani antenati degli Israeliti ( gruppi di seminomadi che effettuavano le loro migrazioni entro un'area localizzabile nella regione desertica a sud della Palestina ) abbiano preso parte a celebrazioni cultuali sopra o presso montagne sacre.

Il Sinai, dimora del Dio Yahweh, era una di queste: fu per la partecipazione al culto ivi celebrato che gruppi preisraelitici vennero in contatto con Yahweh, il Dio del Sinai.

Qualora l'elemento tradizionale della teofania del vulcano, documentato nel jahvista, appartenga al nucleo della tradizione sinaitica, tale circostanza potrebbe costituire un inizio del fatto che il Sinai era un vulcano attivo ( temporaneamente? ), nel qual caso sarebbe da localizzare ( Gdc 5,4-5 ) nel Seir, una regione montuosa ad est dell'Araba, dove ancora in tempi storici sorgevano vulcani attivi.

È possibile che, in occasione di un pellegrinaggio al Sinai, antenati degli Israeliti siano stati testimoni di un'eruzione vulcanica e abbiano sperimentato in tal modo la terribile potenza del Dio Yahweh colà venerato.

Nel caso che la versione elohistica sul «monte di Dio» risalga ad una tradizione autonoma, distinta da quella del Sinai, non è da escludere che oltre al Sinai ci fosse un altro monte sacro, il «monte di Dio», sul quale gruppi preisraelitici prendevano parte a pasti cultuali.

È possibile che questo «monte di Dio», per il quale non dovremmo presupporre alcuna attività vulcanica, sia da identificare col massiccio montuoso situato nella parte meridionale dell'odierna penisola sinaitica.

Circa il problema, poi, se i gruppi che prendevano parte al culto del Sinai fossero gli stessi che partecipavano al culto del «monte di Dio», o si trattasse invece di gruppi distinti, non abbiamo elementi per dare una soluzione definitiva.

Oltre agli antenati d'Israele, e probabilmente già prima di loro, prendevano parte al culto di Yahweh anche altri gruppi non sedentari il cui territorio di migrazione è da ricercare nella regione desertica a sud della Palestina.

Alcuni accenni della tradizione veterotestamentaria attestano che anche i Keniti ( Gdc 4,11 ) e i Madianiti ( Es 3,1; Es 18,12 ) adoravano Yahweh.

A questo proposito va sottolineato il fatto che nelle iscrizioni egizie del tempo di Amenofi III ( XIV secolo ) e di Ramesse II ( XIII secolo ) compaiono le consonanti del nome del Dio Yahweh ( YHW ) nell'espressione «terra dei Shasu di Yahweh».

Shasu è il nome egiziano che designa i gruppi nomadi della Palestina meridionale.

Negli stessi testi questi gruppi vengono più precisamente indicati come «Shasu di Seïr» e «Shasu di Edom».

Questo parallelismo, che troviamo nei testi egizi, fra Shasu di Yahweh, Shasu di Seïr e Shasu di Edom, trova corrispondenza nel fatto che nell'Antico Testamento la venuta di Yahweh dal Sinai è sinonimo della sua venuta dal Seïr ( Dt 33,2 ), e che il Seïr, allo stesso modo che nei citati testi egizi, vi compare nuovamente come parallelo alla «steppa di Edom» ( Gdc 5,4 ).

Questi paralleli fra testi egizi e veterotestamentari dimostrano che anche i nomadi non israeliti conoscevano il nome di Yahweh, che anzi le consonanti del nome Yahweh potevano addirittura servire per una più precisa definizione di un tale gruppo.

È sorprendente che nei testi egizi la regione entro i cui confini effettuavano le loro migrazioni questi gruppi Shasu, meglio caratterizzati dal nome di Yahweh, sia da individuare precisamente là dove secondo Gdc 5,4 e Dt 33,2 si trova la dimora di Yahweh e dove bisogna localizzare il Sinai, cioè nei monti del Seïr, il paese degli Edomiti.

Anche questi paralleli egizi ci inducono così a localizzare il Sinai nel territorio ad oriente dell'Araba, fra il golfo di 'Aqaba e il mar Morto.

Non è più possibile stabilire con certezza se le feste cultuali celebrate sul Sinai fossero connesse, in origine, con la proclamazione di norme giuridiche.

Allo stato attuale del Pentateuco la proclamazione di leggi ha acquistato grande spazio nella cornice degli eventi del Sinai.

Le raccolte di norme giuridiche inserite nel Pentateuco presuppongono tuttavia la situazione del Kulturland, e non possono quindi risalire all'epoca precedente l'abbandono del nomadismo.

Il fatto poi che tali raccolte di leggi contenute nel Pentateuco spezzino la continuità del racconto, costituisce una prova che esse non appartengono al nucleo storico della tradizione sinaitica, ma che furono inserite nelle fonti scritte del Pentateuco solo in un secondo tempo: il «libro del  patto» ( Es 20,22-23,33 ) e il «decalogo cultuale» ( Es 34,14-28 ) nel jahvista, il decalogo di Es 20 nell'elohista, la «legge di santità» ( Lv 17-26 ) nel codice sacerdotale.

Considerazioni di storia delle forme sui salmi Sal 15, Sal 24, Sal 50, Sal 81 e sul Deuteronomio portano alla conclusione che nella cornice delle feste cultuali celebrate anche in seguito, le proclamazioni presero il posto delle norme giuridiche.

La parte costituita appunto dalle raccolte di leggi, inserita come aggiunta nella tradizione sinaitica, si capisce più facilmente se si ammette che le pratiche cultuali cui gli antenati d'Israele avevano preso parte presso il Sinai venivano celebrate anche nel Kulturland per commemorare l'evento del Sinai, e che nel corso della storia cultuale le proclamazioni di norme
giuridiche vennero assorbite in tali pratiche cultuali.

L'origine della proclamazione cultuale di norme giuridiche è forse da ricercare nel santuario dell'oasi di Cades.

Una prova a sostegno di tale ipotesi è costituita dell'identificazione di Cades con 'En Mispat ( «fonte del diritto, del giudizio» ) ( Gen 14,7 ).