La vita spirituale al tempo di Davide e Salomone

Il rapido sviluppo economico dell'età salomonica aveva creato le condizioni materiali per il sorgere, in Israele, di un ceto di persone colte.

Di pari passo si ebbe un risveglio della vita spirituale, e una prima fioritura dell'attività letteraria: si è parlato, a questo proposito, di un «umanesimo» e di un «illuminismo» salomonico.

Nella tradizione successiva Salomone sarà visto come il tipo del « sapiente »: tale fama si basa sul fatto che alla sua corte, come del resto presso altre corti regali dell'Asia anteriore, si coltivava la « sapienza ».

Grazie alle relazioni diplomatiche fu possibile entrare in contatto con la sapienza internazionale dell'Egitto, dell'Arabia e della Mesopotamia.

Uno dei campi in cui questa si esercitava era il tentativo di dare ordine ai molteplici fenomeni naturali e di collegarli fra loro: lo stesso Salomone praticò questo genere di sapienza ( 1 Re 5,9-14 ).

Mentre però la sapienza degli Egiziani si esauriva nell'ordinare in elenchi le cose del mondo, Salomone andò oltre, cercando di condensare i fenomeni della natura in formule e in canti, certamente simili ai « proverbi numerici » raccolti in Pr 30,18-19.24-31.

Un'altra branca della sapienza era intesa a raccogliere le esperienze della vita, a condensarle in massime e a divulgarle: era infine suo compito formare i giovani che erano destinati a servire a corte.

Sensibilità artistica, istruzione, padronanza di sé, buone maniere, eleganza nel parlare e timor di Dio rientravano nell'ideale di formazione della sapienza di corte.

Nella descrizione del giovane Davide ( « egli sa suonare ed è forte e coraggioso, abile nelle armi, saggio di parole, di bell'aspetto e Yahweh è con lui », 1 Sam 16,18 ) e nella figura di Giuseppe vengono rappresentati dei giovani che corrispondono a questo ideale di formazione.

Come in altre corti regali dell'Asia anteriore, anche alla cotte di Davide e di Salomone venivano redatti, da un impiegato, detto « scriba », specificamente destinato a questo compito, degli annali regi: nell'elenco dei funzionari della corte di Davide ne viene citato uno, in quella di Salomone ne sono citati due ( 2 Sam 8,17; 2 Sam 20,25; 1 Re 4,3 ).

Il redattore dell'opera storica di cui fanno parte i libri di Samuele e dei Re utilizza come fonte gli annali regi di Salomone.

La compilazione sommaria delle azioni di guerra di Davide, contenuta in 2 Sam 8, è certamente tratta da questi annali; in 1 Re 11,41 il redattore cita il « libro delle gesta di Salomone », da lui utilizzato come fonte.

Il sorgere di una nuova spiritualità nell'epoca davidico-salomonica si manifesta però soprattutto nella nascita di una storiografia che va oltre la semplice annalistica.

La figura di Davide sta al centro delle due opere di questo genere: la prima tratta dell'ascesa di Davide ( 1 Sam 16,14 - 2 Sam 7 ), mentre la seconda ha per tema la successione al trono davidico ( 2 Sam 9-20; 1 Re 1-2 ).

I redattori di queste opere non si accontentano di ordinare scrupolosamente sequenze di singoli avvenimenti, come accade negli annali, e neppure di presentare semplicemente singoli episodi senza connessione fra loro, come accadeva, in origine, nell'antica tradizione popolare: essi sono in grado di rappresentare i fatti da un punto di vista generale e di cogliere i nessi che li legano.

Padroneggiano magistralmente l'arte del raccontare: sia negli avvenimenti singoli sia nel compendio del quadro generale sanno suscitare la tensione del lettore e dare vita e colore ai fatti; i loro personaggi sono figure piene di rilievo.

Malgrado tutta l'ammirazione per Davide, vengono messi in luce non solo i suoi meriti, ma anche la debolezza del suo carattere e le sue gravi colpe.

Come l'antica tradizione popolare d'Israele, che era trasmessa oralmente, e la tradizione sacra delle dodici tribù, anche la prima storiografia intende dare testimonianza dell'intervento di Dio nella storia.

I redattori delle prime opere storiche, tuttavia, parlano di Dio molto indirettamente: mentre le antiche tradizioni testimoniano delle azioni di Yahweh narrando singoli fatti straordinari e spettacolari, la prima storiografia d'Israele coglie l'agire di Dio, essenzialmente, in una guida appena percettibile, ma non per questo meno reale ed efficace, che si esplica nella disposizione provvidenziale degl'i eventi e nell'ispirazione delle decisioni umane.

Il redattore della storia dell'ascesa di Davide esprime tale concezione osservando, all'inizio e al termine della sua opera, che « Yahweh era con Davide » ( 1 Sam 16,18; 1 Sam 18,14; 2 Sam 5,10 ).

Il redattore della storia della successione al trono davidico fa rilevare, in un passo decisivo, che Yahweh ha stabilito di mandare a vuoto il consiglio assennato di Achitofel affinché la sciagura colpisse Assalonne e, insieme, perché Davide fosse salvo ( 2 Sam 17,14 ).

È un fatto sorprendente che in Israele si sia giunti a scrivere opere storiografiche assai prima che presso i popoli circostanti: la ragione di ciò sta nel fatto che Israele, fin da principio, sperimento l'agire divino soprattutto negli eventi storici.

All'epoca davidico-salomonica risale inoltre la più antica fonte scritta del Pentateuco, il jahvista, così chiamato poiché l'autore usa prevalentemente il nome divino di Yahweh.

Il codice jahvista, un capolavoro narrativo, fissa per iscritto le antiche tradizioni dell'età arcaica che fino allora erano state trasmesse soprattutto oralmente, e le organizza in una visione teologica totale che si articola in alcuni fondamentali concetti teologici: Dio e uomo, Israele e i popoli, peccato, giudizio e grazia, benedizione e maledizione.

Facendo precedere ai racconti dei patriarchi la storia delle origini, il jahvista inquadra la storia d'Israele in una prospettiva universale.

L'umanità, decaduta in conseguenza del peccato e ribelle a Dio, non può rivendicare alcun diritto sui doni di Yahweh: essa è debitrice della propria esistenza solo e unicamente all'imperscrutabile grazia divina.

Neppure i patriarchi, neppure Israele fanno eccezione; la vocazione dei patriarchi, e quindi d'Israele, non avviene sulla base di un qualche merito: rivolgendosi a Israele, Yahweh intende dare la propria benedizione all'intera umanità ( Gen 12,1-3 ).

Il jahvista scrive in un'epoca in cui, toccato il culmine della sua potenza politica e del suo sviluppo economico, Israele è esposto al pericolo della presunzione: a tale rischio il jahvista oppone l'annuncio che nessuno dei successi d'Israele deriva da un suo merito, ma costituisce un dono immeritato della grazia divina: Yahweh ha chiamato Israele non per dargli il predominio sui popoli, ma per donare a questi, per suo tramite, la sua benedizione.