L'epoca dell'esilio (VI secolo a.C.)

Fonti:

Lamentazioni; Sal 137; Ger 29; Ezechiele; Deuteroisaia ( Is 40-55 ); opera storica deuteronomistica ( Dt, Gs, Gdc, Sam, Re ); codice sacerdotale.

Dai suoi inizi fino all'esilio, Israele fu sottoposto a molteplici rivolgimenti.

Dopo essere esistito per circa due secoli come lega apolitica, religiosa, di dodici tribù, Israele si diede una struttura politica sotto Saul.

Il grande regno di Davide e di Salomone durò due sole generazioni; gli stati separati d'Israele e di Giuda poterono conservare la propria indipendenza politica per poco meno di un secolo; divennero infine stati vassalli di grandi potenze, per poi perdere completamente la propria indipendenza e diventare province dell'impero assiro o di quello babilonese.

Le classi dominanti dei due stati furono deportate; mentre tuttavia gli Assiri insediarono in quello che era stato il regno del nord una classe dominante straniera, i Babilonesi non presero alcun provvedimento del genere.

La classe dominante del regno settentrionale deportata dagli Assiri venne assorbita in breve tempo dalla popolazione dei territori in cui fu trapiantata, tanto che come gruppo particolare non ebbe più alcun ruolo nella storia.

Altrimenti andarono le cose per gli Ebrei emigrati in Egitto e per quelli deportati a Babilonia: questi ultimi vivevano non come schiavi, ma come semiliberi.

Potevano muoversi liberamente, ma erano tenuti a compiere servizi di vario tipo agli ordini dei Babilonesi; erano alloggiati in colonie sul fiume Chebar ( Ez 1,1.3 ), a Tel-Aviv ( Ez 3,15 ) e in altre località; era loro permesso riunirsi ( Ez 33,30s ) ed eleggere gli anziani ( Ez 8,1; Ez 14,1; Ez 20,1 ); avevano inoltre la possibilità di costruirsi una casa, coltivare orti e formarsi una famiglia ( Ger 29,5s ).

La lettera di Geremia ai deportati rivela che in patria si era al corrente delle loro condizioni, come d'altra parte dall'annuncio di Ezechiele risulta che questi erano informati di quanto accadeva in patria.

Nel complesso le condizioni di vita dei deportati dovevano essere tollerabili, in seguito addirittura buone.

Ciò si desume dal fatto che, quando i Persiani permisero loro di ritornare a Gerusalemme, una parte dei deportati rimase a Babilonia; la cosa è inoltre comprovata da alcuni documenti commerciali del V secolo ritrovati a Nippur: essi contengono nomi ebraici, e ci inforniamo che alcuni ebrei, negli ultimi tempi, erano assimilati alla popolazione locale e avevano la possibilità di esercitare attività commerciali e di effettuare operazioni bancarie.

La maggioranza dei deportati era tuttavia cosciente della propria diversità rispetto ai Babilonesi: Babilonia era per loro un paese straniero.

Essi erano accomunati dalla nostalgia del ritorno in patria e, soprattutto, dalla comune fede in Yahweh.

Il salmo 137 ci da una commovente testimonianza del dolore per la separazione dal tempio e della bruciante nostalgia del ritorno.

Lontano da Gerusalemme, il solo luogo di culto legittimo, esiliati in una terra « impura », dove quindi non era lecito sacrificare, acquistarono sempre più importanza quegli elementi della fede in Yahweh la cui osservanza non era legata a un luogo di culto determinato, e cioè il sabato e la circoncisione.

Tali pratiche, che erano già in uso nell'epoca precedente l'esilio, divennero ora, in modo particolare, il segno dell'appartenenza alla fede in Yahweh, il « segno dell'alleanza » ( Ez 20,12-20; Gen 17,11 ); ad esse si aggiunse la preghiera con lo sguardo rivolto a Gerusalemme ( 1 Re 8,48; Dn 6,10 ).

Osservazioni di storia delle forme sul libro del Deuteroisaia ci consentono di apprendere che i deportati a Babilonia si riunivano in cerimonie di lamentazione.

Dalle cornici di carattere omiletico che collegano le varie parti del Deuteronomio emerge il fatto che già nell'epoca precedente l'esilio la predica svolgeva un ruolo determinato.

Poiché predica e interpretazione della Legge non sono legate al luogo di culto, dovremo ammettere che nell'esilio anche la predica acquistò sempre più importanza.

La visione della vocazione del profeta Ezechiele, uno dei sacerdoti deportati nel 597, rappresentò per i suoi un aiuto inestimabile: il fatto che fosse apparso nella sua gloria sul cocchio regale significava che Yahweh non era legato al trono dell'arca, a Gerusalemme, ma era presente anche fra i deportati, ne cessava di manifestarsi ( Ez 1 ).

La catastrofe del 587 ebbe conseguenze radicali non solo sul piano politico: essa ebbe effetti profondi anche in campo spirituale e religioso.

La fine del regno di Davide significò infatti per Israele qualcosa di più che non la perdita totale dell'autonomia politica; col tempio di Gerusalemme andò distrutto qualcosa di più di una splendida costruzione.

Questi eventi gettarono Giuda in una grave crisi di fede.

Non aveva Yahweh assicurato, con la profezia di Natan, un'esistenza eterna al regno di Davide?

Non era il tempio di Gerusalemme l'eterna dimora di Dio ( 1 Re 8,13 ), il luogo scelto da Yahweh « per stabilirvi il suo nome » ( Dt 12,5 )?

La riforma deuteronomica, accentrando il culto di Gerusalemme, aveva accresciuto l'importanza di questa città.

Il fatto poi che essa fosse stata risparmiata sia nella guerra siro-efraimita ( 733-32 ), sia in occasione dell'assedio da parte di Sennacherib ( 701 ) e della prima campagna di Nabucodonosor contro Giuda ( 597 ), aumentò la certezza: Gerusalemme è inespugnabile, il tempio è indistruttibile, poiché Yahweh ha eletto Sion.

Yahweh è in mezzo a noi: nessun male potrà quindi colpirci; Yahweh difenderà la sua dimora ( Mi 3,11; Ger 7,4-10 ).

Quando l'ultimo re della dinastia di Davide finì in esilio e il tempio andò distrutto dalle fiamme, dovette affiorare il dubbio: forse che Yahweh non mantiene la parola data?

O non è forte abbastanza per difendere la propria casa e tener fede alle sue promesse?

Era forse Marduch, il dio di Babilonia, più potente di Yahweh?

Il dubbio circa la potenza di Yahweh fece sì che riprendessero vigore, qua e là in Giuda, i culti delle divinità straniere che la riforma deuteronomica aveva bandito.

I gruppi rifugiatisi in Egitto dopo l'uccisione di Godolia videro la causa delle presenti angustie nel fatto che era stato interdetto il culto della dea del ciclo, e lo riportarono in auge ( Ger 44,17-19 ).

Negli ambienti fedeli a Yahweh la catastrofe del 587 determinò il formarsi di una nuova coscienza e di un nuovo orientamento.

La risposta che essi diedero all'angoscioso problema posto dalla distruzione del tempio e dalla caduta del regno di Davide si trova nel libro delle Lamentazioni e nell'opera storica del Deuteronomio.

Nelle Lamentazioni viene espressa la convinzione che anche nella sciagura improvvisamente abbattutasi su Giuda Yahweh si è dimostrato il signore degli eventi.

Lui ha provocato la sciagura, come giudizio di condanna sopra i peccati e l'infedeltà d'Israele ( Lam 2,6ss; Lam 4,17; Sal 89,39-46 ): solo da Yahweh è perciò lecito attendersi un cambiamento.

Presupposto di un tale mutamento è però il ritorno a lui.

Coscienza della colpa e invito alla penitenza sono pertanto componenti essenziali della liturgia delle lamentazioni celebrata fra le rovine del tempio ( Lam 4,6; Lam 5,7.16; Is 64,6ss; Mi 7,9 ): « Giusto è Yahweh, poiché mi sono ribellata alla sua parola » ( Lam 1,18 ).

« Yahweh ha compiuto quanto aveva decretato, ha compiuto la sua parola decretata dai giorni antichi, ha distrutto senza pietà, ha dato al tuo nemico di gioire di te, ha esaltato la potenza dei tuoi avversari » ( Lam 2,17 ).

« Dalla bocca dell'Altissimo non procedono forse le sventure e il bene?

Perché si rammarica un essere vivente, un uomo, per i castighi dei suoi peccati?

Esaminiamo la nostra condotta e scrutiamola, ritorniamo a Yahweh.

Innalziamo i nostri cuori al di sopra delle mani verso Dio nei cieli.

Abbiamo peccato e siamo stati ribelli; tu non ci hai perdonato.

Ti sei avvolto nell'ira e ci hai perseguitati, hai ucciso senza pietà.

Ti sei avvolto in una nube, così che la supplica non giungesse fino a te » ( Lam 3,38-44 ).

Un'importante testimonianza di fede e, contemporaneamente, una notevole produzione spirituale risalente all'epoca dell'esilio è rappresentata dall'opera storica deuteronomistica, così chiamata in quanto il redattore apparteneva ad ambienti per i quali il Deuteronomio aveva valore di legge.

L'opera comprende i libri di Giosué, dei Giudici, di Samuele e dei Re: in essa il redattore fa precedere al tutto, come pensiero conduttore, la legge deuteronomica ( V libro di Mosé ) provvista di cornici che fungono da collegamento.

Rivolgendo lo sguardo al passato, in deuteronomista cerca orientamento per il presente e indicazione per il futuro.

Nella sua opera troviamo un'esposizione della storia d'Israele dal tempo di Mosé fino all'esilio; in essa il deuteronomista elabora diverse antiche fonti e divide la storia in diversi periodi.

I punti di cesura fra i singoli periodi sono segnati da retrospettive o discorsi inseriti nell'esposizione, da cui emergono l'autentica intenzione teologica del deuteronomista e il motivo fondamentale che lo guida:

- retrospettive sul tempo di Mosé: Dt 1-3,

- discorso di addio di Giosué: Gs 23,

- pensieri fondamentali dell'epoca dei giudici: Gdc 2,6-19,

- discorso di addio di Samuele ( fine dell'epoca dei giudici - inizio dell'epoca dei re ): 1 Sam 8.12,

- preghiera di consacrazione del tempio di Salomone ( fine della fortunata epoca dei re e inizio della decadenza ): 1 Re 8,

- retrospettiva sulla storia idei regno del nord: 2 Re 17.

L'intera storia d'Israele è la storia della fedeltà di Yahweh e dell'infedeltà di Israele: così attesta l'opera deuteronomistica.

Yahweh ha scelto Israele come popolo di sua proprietà e gli ha dato, nel corso della storia, molteplici dimostrazioni della sua potenza e segni della sua fedeltà, come nell'offerta della terra promessa, nella liberazione dai nemici, nel dono dei giudici, della monarchia davidica, del tempio e dei profeti.

Nella Legge Yahweh ha segnato i limiti entro i quali Israele riceve salvezza e vita e al di là dei quali è invece consegnato alla morte e al giudizio.

L'esclusività dell'adorazione di Yahweh e il rito sacrificale in un unico luogo di culto, quello scelto da Dio, costituiscono i principi fondamentali della legge.

Con questo metro il deuteronomista misurò l'intera storia d'Israele, e su questa base giudicò tutti i re che si succedettero sul suo trono.

È una storia di ripetute cadute, di continue infedeltà e di ricorrenti disobbedienze.

Con la distruzione del tempio, la fine del regno e dell'indipendenza di Giuda, Israele è stato sottoposto ad un ultimo, pesante giudizio che mette seriamente in discussione l'esistenza stessa d'Israele come popolo di Dio.

L'opera storica deuteronomistica è, così, un riconoscimento della potenza, della fedeltà e della pazienza di Yahweh; riconoscimento della propria colpa, confessione generale d'Israele, essa è, in pari tempo, un appello al pentimento e alla conversione.

In essa, sia pure in forma velata, affiora la speranza.

Tutte le volte che nel corso della sua storia si allontanò da Yahweh e si rivolse a divinità straniere, Israele fu sottoposto al giudizio e dato in preda agli altri popoli.

Ma ogni qualvolta, in tali situazioni, fece ritorno a Yahweh e gli rimase fedele, poté nuovamente sperimentare la grazia del suo Dio.

Per questo, nella stessa disperata situazione dell'esilio, Israele poté sperare che Yahweh interviene col suo aiuto e la sua clemenza, se ci si pente e con tutto il cuore ci si converte a lui.

Speranza e guida per il tempo dell'esilio sono espressi in modo particolarmente chiaro nella preghiera di consacrazione al tempio pronunciata da Salomone: « Quando peccheranno contro di te, poiché non c'è nessuno che non pecchi, e tu, adirato contro di loro, li consegnerai a un nemico e i loro conquistatori li deporteranno in un paese ostile, lontano o vicino, se nel paese in cui saranno deportati rientreranno in se stessi e faranno ritorno a te supplicandoti nel paese della loro prigionia, dicendo: Abbiamo peccato, abbiamo agito da malvagi e da empi, se torneranno a te con tutto il cuore e con tutta l'anima nel paese dei nemici che li avranno deportati, e ti supplicheranno rivolti verso il paese che tu hai dato ai loro padri, verso la città che ti sei scelta e verso il tempio che io ho costruito al tuo nome, tu ascolta dal cielo, luogo della tua dimora, la loro preghiera e la loro supplica e rendi loro giustizia.

Perdona al tuo popolo, che ha peccato contro di te, tutte le ribellioni di cui si è reso colpevole verso di tè, fa' che i suoi deportatori gli usino misericordia, perché si tratta del tuo popolo e della tua eredità, di coloro che hai fatto uscire dall'Egitto, da una fornace per fondere il ferro » ( 1 Re 8,46-51 ).

Nei tormentosi interrogativi che la catastrofe aveva suscitato, Israele trovò un aiuto anche nei profeti dell'epoca precedente.

Questi profeti avevano bensì ammonito che su Israele si sarebbe abbattuto il giudizio: ciò che però costituiva un tempo un annuncio di sventura poteva ora riuscire d'aiuto per superare la crisi di fede.

La vittoria del nemico non dimostrava affatto l'inferiorità di Yahweh rispetto agli altri dei: egli era il signore della storia, che si serviva delle grandi potenze come di strumenti per mantenere quanto aveva minacciato e per compiere il suo giudizio su Israele.

Israele ha a che fare col suo Dio anche e precisamente nella sconfitta.

« Soltanto voi ho eletto fra tutte le stirpi della terra; perciò io vi farò scontare tutte le vostre iniquità » ( Am 3,2 ) - « Preparati all'incontro con il tuo Dio, o Israele! » ( Am 4,12 ): così aveva detto Amos antivedendo l'imminente catastrofe.

Come il rasoio in mano al barbiere e la scure in mano al taglialegna, così le potenze della terra serviranno ai piani di Yahweh ( Is 7,20; Is 10,15 ).

Michea per primo aveva predetto la distruzione di Gerusalemme e del tempio ( Mi 3,12 ).

Geremia aveva insistentemente messo in guardia Israele da una ribellione contro Babilonia e da una fiducia sicura di sé, quasi magica, nel tempio, e aveva annunciato per il santuario di Gerusalemme lo stesso destino che aveva colpito quello di Silo ( Ger 7 ).

Ezechiele aveva minacciato la distruzione di Gerusalemme, l'esilio del suo popolo e la fine totale per Israele, caparbio nel perseverare in contrasto con Yahweh: « Viene la fine, la fine viene su di te; ecco, viene » ( Ez 7 ).

Quando i giudizi annunciati si avverarono, i profeti, cui prima non veniva dato ascolto e che anzi incontravano l'ostilità della gente a motivo del loro messaggio, non solo accrebbero la loro autorità: adesso, nell'ora del giudizio, la loro parola contribuì in maniera decisiva al superamento della crisi.

Mentre si riconosceva la sventura come un giusto giudizio di Yahweh e la si accettava come tale, era già indicata la via al superamento del dubbio.

I profeti divennero inoltre guide per il futuro: le loro profezie di salvezza costituirono il fondamento per una speranza nuova.

Osea aveva parlato dell'amore inesauribile di Yahweh, che fa sperare un nuovo inizio: « Ti farò mia sposa per sempre, ti farò mia sposa nella giustizia e nel diritto, nella benevolenza e nell'amore, ti fidanzerò con me nella fedeltà e tu conoscerai Yahweh » ( Os 2,21-22 ).

Amos e Isaia espressero la speranza che Yahweh sarebbe stato clemente col « resto » che avesse sopportato il giudizio e si fosse convertito a lui ( Am 5,15; Is 7,16; Is 10,20-27 ).

Geremia aveva annunciato non solo la rottura dell'antico patto, ma aveva promesso un patto nuovo ( Ger 31,31ss ).

Ezechiele ricevette in visione il seguente messaggio: Israele è simile ad un campo coperto di scheletri, per i quali non esiste più, da parte dell'uomo, nessuna speranza e nessun futuro.

Ciononostante, Yahweh dona a Israele un nuovo inizio, che equivale al miracolo della rianimazione delle ossa dei morti ( Ez 37 ).

Nella descrizione grandiosa di questa sua visione, Ezechiele abbozza l'immagine di un nuovo popolo di Dio e di un nuovo tempio, in cui Yahweh ritorna ad abitare nella sua gloria ( Ez 40-48 ).

Di particolare importanza divenne poi un profeta operante durante l'esilio, il cui nome non ci è tramandato, ma il cui messaggio venne conservato e aggiunto per tempo, come appendice, al profeta Isaia ( Is 40-55 ); si è soliti chiamarlo, per questo motivo, Deuteroisaia.

Consolazione e promessa di salvezza costituiscono il nucleo centrale del suo messaggio.

Anche il Deuteroisaia intende l'esilio come un giudizio di Yahweh sui peccati d'Israele.

Ma Yahweh opererà qualcosa di nuovo: come si sono avverate le minacce del castigo, così pure si compiranno le promesse.

Yahweh ha perdonato il suo popolo e ha cancellato i suoi peccati; il Santo, il Creatore del cielo e della terra, l'Unico, il Dio vivente, libererà il suo popolo e lo ricondurrà in patria in una processione trionfale; un secondo Esodo avrà luogo, che sopravanzerà l'uscita dall'Egitto ( Is 52,1-12 ): Babilonia cadrà, Gerusalemme e il tempio saranno ricostruiti.

In questo, il re dei Persiani Ciro, che il Deuteroisaia indica come « servo » e « unto di Yahweh », sarà lo strumento dell'agire divino ( Is 44,28; Is 45,1ss ).

Al tempo dell'esilio o all'inizio del periodo successivo risale infine la fonte scritta più recente dal Pentateuco, vale a dire il codice sacerdotale, così detto perché redatto e sorto nella cerchia sacerdotale.

Il codice sacerdotale fornisce un prospetto della storia della salvezza dalla creazione all'evento del Sinai.

Accanto ad antico materiale narrativo, esso elabora materiale sacerdotale ancora più antico, come elenchi, rituali, genealogie, prescrizioni cultuali.

È caratterizzato da uno stile del tutto particolare, da un solido patrimonio lessicale e da determinati principi teologici.

Sullo sfondo di un'impalcatura cronologica, esso divide la storia in quattro periodi ( creazione, Noè, Abramo, Mosé ) cui corrispondono quattro diversi gradi della rivelazione divina.

Il confronto con il mito babilonese, che già in precedenza aveva svolto un suo ruolo, ma che acquistò una particolare attualità al tempo dell'esilio, ebbe termine nel codice sacerdotale con la storia della creazione ( Gen 1,1-2,4 ) e col racconto del diluvio ( Gen 6-9 ).

Nella storia delle origini e dei padri, il codice sacerdotale si fa dettagliato là dove si tratta di ancorare alla storia, come disposizioni divine, istituzioni cultuali che acquistarono particolare importanza nel periodo dell'esilio, vale a dire il sabato, le prescrizioni riguardanti la macellazione e la circoncisione ( Gen 2,1ss; Gen 9; Gen 17 ).

Il vero obiettivo del codice sacerdotale è però la storia del Sinai ( Es 19,1ss; Es 24,15-18; Es 25-31; Lv 8-10; Nm 1-4; Nm 7-10 ).

Esso vede nell'evento del Sinai un compimento del patto con Abramo; vede l'essenza di tale evento non nella proclamazione di leggi, ma nell'istituzione divina del culto.

Solo col Sinai ha inizio, secondo il codice sacerdotale, il legittimo culto sacrificale.

La santità, maestà e trascendenza di Dio costituiscono lo sfondo dell'evento cultuale.

A differenza delle concezioni precedenti, il codice sacerdotale concepisce il santuario non come stabile dimora di Dio, ma come il luogo in cui, di tanto in tanto, Yahweh « manifesta la sua gloria », da cui egli parla e in cui incontra Israele.

Al di là di tutte le prescrizioni rituali sta la gioia per la presenza di Yahweh nel culto, ma anche, al tempo stesso, il timore di offendere la sua santità e di incorrere nella sua ira.

Per questo l'intero rito sacrificale è totalmente interdetto ai laici: esso è affidato unicamente a sacerdoti protetti da misure di sicurezza e da riti osservati scrupolosamente.

È una caratteristica del codice sacerdotale interpretare l'intero culto sacrificale come espiazione.

Solo compiendo cerimonie d'espiazione è possibile vivere nella presenza della santità divina.

Tali cerimonie hanno lo scopo di impedire che Israele sia nuovamente colpito dall'ira divina, come nelle catastrofi del VII e del VI secolo.

Al codice sacerdotale interessava riunire le tradizioni cultuali d'Israele inserendole nella storia come disposizioni divine, per contribuire a che Israele non fosse assorbito da un ambiente estraneo e la sua essenza non andasse perduta nel sincretismo.

Il codice sacerdotale va inoltre considerato uno scritto programmatico, che deve servire come guida per il futuro e indicare a Israele i saldi fondamenti che soli consentono di vivere alla presenza di Dio.

Al codice sacerdotale fu quindi attribuita, nella ricostituzione della comunità successiva all'esilio, un'importanza decisiva.

L'opera storica del Deuteronomio, le Lamentazioni, i profeti dell'esilio e il codice sacerdotale sono testimonianze del fatto che in patria e fra i deportati vi erano forze che, reagendo alla rassegnazione, al dubbio e alla disperazione, riuscirono a superare la crisi.

In un periodo in cui le grandi potenze e le loro divinità sembravano trionfare, esse attestavano la sovranità di Yahweh sulla storia.

In un ambiente che ogni anno celebrava in feste rumorose la vittoria del dio babilonese Marduch sulle acque del caos, esse spiegavano nuovamente al popolo che cosa significasse l'affermare che Yahweh, il Dio della storia della salvezza, è anche il creatore ( Is 40,26-28 ).

Di fronte alle multiformi, imponenti divinità cosmiche del pantheon babilonese esse annunciavano Yahweh come il Dio unico, onnipotente, santo, universale, di fronte al quale le divinità pagane non sono che idoli impotenti.

« Prima di me non fu formato alcun dio / ne dopo ce ne sarà.

/ Io, io sono Yahweh, / fuori di me non v'è salvatore » - « C'è forse un dio fuori di me / o una roccia che io non conosca? » ( Is 43,10; Is 44,8b ).

In questo messaggio, quel che interessava ai profeti e ai sacerdoti non era sviluppare un'astratta teologia: essi intendevano, piuttosto, offrire un aiuto a quanti si trovavano nell'angoscia e nell'abbandono dell'esiilio.

Nonostante tutte le tentazioni dell'epoca esilica Israele non scivolò nel sincretismo, ma restò fedele al suo Dio e conservò le proprie tradizioni.

Si deve a questo se Israele è rimasto Israele, se nonostante la perdita dell'autonomia politica e la deportazione della sua classe dominante, sia politica che spirituale, esso conservò il proprio carattere e non si dissolse, come altri popoli nell'identica situazione ( come ad esempio i Moabiti e gli Ammoniti ), in una massa uniforme di sudditi.