Il dominio dei Tolomei (301-198)

Il predominio dei Persiani sulla Palestina ebbe fine quando Alessandro Magno, conquistando l'Asia anteriore, provocò lo smembramento dell'impero persiano.

Nel 333, dopo aver sconfitto Dario III presso Isso ( a nord di Alessandretta-Iskenderun ), Alessandro puntò a sud, marciò alla testa del suo esercito lungo le coste della Siria e della Palestina, dove soltanto le fortezze di Tiro e di Gaza gli opposero una tenace resistenza, e sottomise al proprio potere l'Egitto.

Il suo generale Parmenione, frattanto, aveva occupato la Palestina e la Siria.

L'unica città a difendersi con accanimento fu Samaria, che dopo essere stata espugnata venne distrutta e occupata militarmente da Perdicca.

Nel 331 Alessandro attraversò la Palestina e la Siria e passò in Mesopotamia.

Dopo la battaglia decisiva presso Gaugamela l'intero Oriente era ai suoi piedi.

Alla morte di Alessandro il suo impero fu diviso in tre parti, governate ciascuna da uno dei suoi generali: Antigono ebbe il dominio dell'Asia minore, Seleuco della Mesopotamia e della Siria settentrionale, Tolomeo dell'Egitto.

Seleuco scelse come capitale del suo regno la città di Antiochia, che era stata fondata di recente, mentre capitale dell'Egitto di Tolomeo divenne Alessandria.

Nel corso delle lotte dei diadochi, che proprio allora infuriavano, Palestina e Fenicia divennero oggetto della contesa fra Seleucidi e Tolomei: nel 301, dopo lotte alterne, esse toccarono, sia pure temporaneamente, a questi ultimi.

La conquista dell'Asia anteriore da parte di Alessandro segnò la fine di un'epoca e l'inizio di un'età nuova, quella ellenistica.

Cultura, spirito e modi di vita ellenistici penetrarono in tutta l'Asia anteriore, mentre influssi orientali agirono a loro volta sull'Occidente.

Ovunque vennero fondate città aperte e spaziose, progettate secondo il sistema ippodamico.

L'autonomia degli Ebrei della Palestina e della diaspora non venne violata: i Tolomei, infatti, accordarono loro la possibilità di praticare liberamente il culto di Yahweh.

A lungo andare, tuttavia, un influsso dell'ellenismo sul giudaismo non poteva non farsi sentire anche in campo culturale e spirituale.

In Palestina, all'epoca dei Tolomei, vennero fondate città di stampo ellenistico.

La loro origine ellenistica risulta evidente fin dal nome: Filadelfia ( così chiamata in onore di Tolomeo II Filadelfo ) invece di Rabbat Ammon ( oggi Amman ), l'antica capitale degli Ammoniti, Tolemaide al posto di Acco, Filoteria ( sul lago di Tiberiade ), Scitopoli al posto dell'antica Bet-Sean.

Nel giudaismo palestinese vi erano però degli ambienti, forti soprattutto fra le classi alte e i sacerdoti, che si opponevano apertamente ai modi di vita e al patrimonio di idee dell'ellenismo.

Essi erano affatto restii a rinunciare completamente alle proprie tradizioni e alla propria fede in Yahweh, e si sforzarono piuttosto di adattare quest'ultima alla mentalità ellenistica e di adeguarsi ai costumi tipici dell'ellenismo nella vita di tutti i giorni: nella tradizione religiosa d'Israele, la cui peculiarità consisteva nell'abbracciare tutti gli aspetti dell'esistenza, ciò non era però possibile, ovviamente, senza un profondo mutamento su piano religioso.

I circoli ebraici favorevoli all'ellenismo si adoperarono anche sul piano politico per mantenere dei buoni rapporti coi sovrani ellenistici.

Naturalmente, l'influenza dell'ellenismo fu considerevole soprattutto nella diaspora.

Una consistente diaspora ebraica era stanziata in Egitto, dov'è documentata, fin dal III secolo, l'esistenza di sinagoghe ebraiche; nel corso del III secolo una diaspora ebraica si costituì anche in Asia minore.

Antioco III trasferì in Frigia e in Lidia 2000 famiglie ebree che risiedevano a Babilonia.

Gli Ebrei della diaspora accolsero largamente i modi di vita ellenistici: adottarono la lingua greca e diedero ai propri figli nomi greci o grecizzanti, talvolta derivanti da nomi di divinità pagane ( Demetrio, Apollonio ); andavano a teatro e frequentavano il ginnasio, si occupavano di filosofia e di letteratura greca.

Il vincolo con la madrepatria era costituito dal tempio, e dal culto che vi si celebrava in rappresentanza di tutti gli Ebrei sparsi per il mondo: il legame con tale culto ebbe la sua espressione tangibile nel pagamento del tributo al tempio e in occasionali pellegrinaggi nei giorni di festa.

Alessandria divenne presto il centro spirituale della diaspora di lingua greca.

È qui che fu portata a termine, nel corso del III secolo, la traduzione greca del Pentateuco, seguita più tardi da quella degli altri libri dell'Antico Testamento: la traduzione cosiddetta dei Settanta ( Septuaginta ), poiché redatta, secondo la leggenda, da settanta scribi ebrei in settanta giorni.

Essa era destinata essenzialmente al culto divino, dal momento che gli Ebrei della diaspora di lingua greca non erano più in grado di intendere il testo originale; per contro essa offrì anche la possibilità di esercitare una certa influenza sull'ambiente di lingua greca.

Così, accadeva non di rado che dei non-ebrei si sottomettessero alla Legge in qualità di proseliti ed entrassero a far parte della comunità ebraica della diaspora.

Le uniche informazioni in nostro possesso circa la produzione letteraria degli ambienti ellenizzanti sono costituite da citazioni frammentarie dei padri della Chiesa: Origene, Clemente Alessandrino ed Eusebio.

Come tipico esempio della temperie spirituale caratteristica di questi ambienti possiamo menzionare Aristobulo, filosofo ebreo vissuto ad Alessandria nel II secolo a.C.

Egli cerca di dimostrare come Mosé abbia anticipato le dottrine della filosofia greca, come anzi i filosofi e i poeti greci - egli cita Pitagora, Socrate, Platone, Omero ed Esiodo - dipendano da Mosé.

Come nella Stoa gli antichi miti e le antiche leggende della Grecia venivano interpretati allegoricamente per ricavarne concetti filosofia, allo stesso modo procede Aristobulo con l'Antico Testamento.

Egli riesce, così, ad eliminare gli antropomorfismi in esso contenuti, che agli occhi dei Greci costituivano motivo di scandalo:

per « mano di Dio » bisogna intendere l'efficacia della sua azione;

« Dio sta » significa « Egli da stabilità al mondo »;

« Dio riposa » va interpretato come « Dio ha stabilito l'ordine delle cose e lo ha fissato per ogni tempo ».

Il sabato viene celebrato come « simbolo della nostra settemplice ragione »; quando parlano di Zeus, i poeti greci si riferiscono, « nella loro intenzione, al vero Dio ».

Cercando di dimostrare come nell'Antico Testamento e nella letteratura greca si esprima lo stesso contenuto ideale, Aristobulo perseguiva il duplice scopo di permettere agli Ebrei di occuparsi di letteratura greca e, viceversa, di far apprezzare la tradizione ebraica nell'ambiente ellenistico.

Le tendenze ellenizzanti della diaspora e della madrepatria incontrarono un'opposizione tenace fra i circoli di coloro che, laici e sacerdoti, intendevano restar fedeli alla Legge.

Tali gruppi, che si mantennero scrupolosamente fedeli alle antiche tradizioni, si associarono e si diedero il nome di Chassidim ( Asidei ), « i devoti »: da loro sarebbero derivati, più tardi, i Farisei e gli Esseni.

Possiamo farci un'idea del mondo spirituale dei Chassidim dai racconti di Daniele ( Dn 1-6 ), composti nel corso del III secolo ma risalenti ad una tradizione più antica.

In Daniele e nei suoi amici essi ritraggono dei personaggi che, pur in un ambiente pagano, resistono ad ogni prova, non si contaminano con cibi impuri e anche minacciati di morte restano fedeli al loro Dio e al modo tradizionale di servirlo.

Questi racconti rendono testimonianza al Dio che è in grado di salvare i suoi anche nell'estremo pericolo.

Che l'ostilità nei confronti degli stranieri e dei pagani potesse spingersi fino all'odio è quanto mostra il libro di Ester.