Isolazionismo fino alla morte

Se le disuguaglianze sociali andavano accentuandosi in una piramide che però non riusciva a scaricare all'esterno le crescenti tensioni interne, v'è da chiedersi perché la nazione ebrea non si espanse come avrebbe richiesto la teoria della piramide sotto l'impulso della concentrazione di ricchezza.

Ciò fu dovuto alla forza insita nella struttura legislativa originaria che di fatto tendeva a schermare la nuova nazione.

Norme che però, per poter funzionare, presupponevano l'isolamento della nazione stessa da qualsiasi tipo di influsso che avrebbe potuto condannarla ad una sottomissione a forze esterne.

Questa necessità richiedeva che fin dall'inizio, durante la conquista del territorio, si mettessero in atto misure di estirpazione di possibili contatti con altre popolazioni, che voleva dire né più né meno che lo sterminio degli abitanti originari.

D'altro canto, lasciare in vita dei popoli con tradizioni e usanze diverse, necessitava di una tolleranza religiosa verso culti diversi, il che avrebbe minato i privilegi di una casta sacerdotale sempre più ambiziosa e in simbiosi con il potere dominante.

Ma l'isolazionismo fu di fatto una strada che per gli ebrei divenne fatale.

La loro piramide non riusciva a svilupparsi quanto quelle esterne che cominciavano a diventare sempre più grandi e quindi minacciavano i suoi territori.

La nazione ebrea non riusciva neanche a prendere e mantenere una strada chiara rispetto al dettato divino: non fu capace di sconfiggere e sterminare le popolazioni locali e quindi sostenere un atteggiamento di completa autosufficienza e autonomia rispetto all'esterno.

Ma non ebbe neppure una capacità difensiva tale da poter sopportare qualsiasi attacco esterno.

Perciò quando si trovarono di fronte a imperi più potenti, i due piccoli regni non poterono che crollare.

Eco dell'incapacità della nuova nazione di fronte a questa difficoltà politica tanto interna che estera si riscontrerà ancora nei profeti.

Uno di loro, Osea, si muoverà nel regno del Nord nel momento in cui l’avanzata degli Assiri faceva presumere che questi lo avrebbero annientato.

Osea denunciava la situazione sociale, che andava dalla "prostituzione" ad altri dèi da parte di un clero corrotto, fino ai dirigenti, tanto di Israele che di Giuda, che allacciavano alleanze pericolose con popoli vicini e si comportavano come quelli che spostano i confini dei campi ( Os 5,10 ), moltiplicando i loro palazzi e le loro fortezze, che però il Signore avrebbe distrutto.

Il profeta Geremia assiste alla caduta di Giuda e alla deportazione dei superstiti nel 587 a.C. a Babilonia.

Egli comincia a delineare la possibilità di trovare intese con il nuovo impero che avanza, mentre invece i re giudei proponevano di unirsi con l’Egitto per contrastare l’avanzata babilonese, anche se rimane di principio fedele all’alleanza solo con Yahweh e non con altri popoli.

Come Osea, Geremia parla di Giuda e Israele come di due sorelle che si prostituiscono non restando fedeli al Signore che però avverte:

Come voi mi avete abbandonato e avete servito dèi stranieri nel vostro paese, così servirete gli stranieri in un paese che non è vostro. ( Ger 5,19 )

Anche Geremia attacca i falsi profeti e i sacerdoti e anche lui, come Isaia, fa dire a Yahweh che i popoli che lo seguiranno potranno godere della sua grazia ( Ger 12,14-17 ).

Si ostina altresì sull’osservanza del Sabato e l’abbandono degli dèi pagani, sul rispetto del lavoro e contro l’oppressione del povero ( Ger 22 ).

Per l’insistenza del suo messaggio funesto nei confronti di Giuda e Gerusalemme, Geremia non solo non venne ascoltato, ma venne arrestato e processato.

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