Divozione al SS. Crocifisso

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Scopo.

Eccitare nei cuori l'orrore al peccato.

L'Educatore sommo, S. Giovanni Battista De La Salle, Fondatore dei Fratelli delle Scuole Cristiane, molto insiste, nelle Regole e Costituzioni a loro lasciate, su l'obbligo di imprimere con ogni mezzo nelle anime dei giovani un grande orrore al peccato.

E poiché i Catechisti dell'Unione del SS. Crocifisso possono considerarsi come costituenti una specie di Terz'Ordine delle Scuole Cristiane, e quasi nipoti spirituali del Santo Istitutore, non è a dire con quanto zelo debbano applicarsi ad acquistare essi stessi tale salutare orrore, per infonderlo più efficacemente nei loro catechizzandi dei Circoli e degli Oratori parrocchiali, essendo pur sempre vero che nemo dat quod non habet.

In questo apostolato arduo ma nobilissimo e senza tregua vengono, subito dopo, le schiere degli Zelatori e Zelatrici, Ascritti e Ascritte, secondo le loro forze, i mezzi e il tempo di cui possono disporre nel grado che occupano nella società.

In vero, i più grandi santi istitutori delle crescenti generazioni, singolarmente l'eroico Fondatore della Compagnia di Gesù, si stimarono felici, quando, in tutta la loro vita apostolica, non fossero riusciti che a impedire un solo peccato mortale.

Ma che fare per concepire orrore, abborrimento di questo devastatore e demolitore universale dell'umano consorzio?

Senza il lume della Fede, senza una grazia speciale, che Dio non nega mai a chi la domanda, non è possibile all'uomo di farsene un adeguato concetto.

Basti riflettere con Sant Agostino che uno è il sommo bene, Iddio; uno è il sommo male, il peccato; e che perciò, offendendo con esso una maestà infinita, si richiede una riparazione infinita, la quale non potendo essere data dall'uomo perché finito, ci volle un Dio che, fattosi uomo, come tale potesse patire e morire e come Dio desse un valore infinito ai suoi patimenti e alla sua morte.

E su l'esempio di Gesù, milioni di Martiri, i cui tormenti non si possono leggere senza rabbrividire, tutto sopportarono con eroica fortezza, per l'orrore al peccato, di fronte all'offesa di Dio.

Un angelo, il più bello della Corte Celeste, commise un solo peccato; ed eccolo precipitato come folgore, con milioni dei suoi seguaci, nell'inferno, creato appositamente per essi e per coloro che offendono Iddio.

Adamo, col peccato della disobbedienza, « dannando sé, dannò tutta la sua prole ».

Fortunato lui, fortunati noi, che, nel caro Redentore Gesù, avemmo il nostro riparatore, il nostro riconciliatore con Dio, la Vittima di prezzo infinito a cancellare i delitti dell'umanità!

Dopo queste considerazioni, una sola delle quali basterebbe alla felicità di un popolo, come potremmo noi non inorridire anche alla sola ombra del peccato, e non fuggirlo anche a costo della vita?

Impariamo la fortezza cristiana, oltreché dai Martiri, anche da Tommaso Moro; fortezza che ci viene meravigliosamente rappresentata dal nostro buon Silvio Pellico, nella tragedia di questo nome e che ci viene suggerita nell'occasione del suo centenario.

Al cancelliere di Enrico VIII sarebbero bastate una firma, due parole, per liberarsi dalla prigione e cancellare la sua sentenza da morte.

Le insinuanti promesse dei colleghi ministri, i pianti della consorte e dei teneri figli, che, dolorando, l'accompagnano sino al palco ferale, non lo muovono d'un punto: Dio e la sua coscienza innanzi a tutti e a tutto; il peccato, no!

Gli viene troncato il capo su la piazza di Londra, e il popolo grida: Uomo giusto egli era!