Gesù amò il patire

B75-A2

Nell'opera divina e misericordiosa della Redenzione, risalta in modo evidente e consolante la uguaglianza: Dolore vale Amore.

È pure un fatto umano questo, che tanto più si ama l'oggetto, quanto più è costato dolori, sacrifici, sofferenze; ed è esatto il detto che la misura del dolore è la misura dell'amore.

Gesù, Verbo Eterno, amando infinitamente gli uomini, decaduti per la prima colpa, si offerse spontaneamente a operarne la redenzione, scegliendo come mezzo la sofferenza culminata al più alto grado nella passione e nella morte di croce; Egli non poteva fare di più né umanamente, né divinamente.

Se Gesù nel patimento raggiunse una misura che è senza misura, vuol dire che il suo amore per gli uomini è incommensurabile.

Il desiderio di patire e di morire patendo, Gesù lo aveva annunziato parecchie volte alle turbe che lo seguivano per ascoltare la sua parola, e in modo speciale agli apostoli nell'ultimo giorno trascorso in loro compagnia.

Anche i profeti divinamente inspirati predissero esattamente vari secoli prima tutto ciò che il Messia avrebbe sofferto.

La accettazione volontaria di tutta la dolorosa passione e della morte ignominiosa è fondata nella perfetta disposizione di Gesù di fare tutta la volontà del Padre, come aveva più volte affermato: Non sono venuto per fare la mia volontà, ma quella del Padre mio che mi ha mandato.

Dal Presepio al Cenacolo il patimento di Gesù fu sopratutto interno; dal Getsemani al Calvario Egli ha manifestato il suo patimento anche esternamente e visibilmente.

Dall'agonia nell'orto, dove Gesù versò lacrime e sudò sangue, all'ultimo respiro sulla Croce, con il quale rimetteva il suo spirito nelle mani del Padre, fu un accumularsi di dolori e di spasimi in tutta la sua adorabile umanità, da divenire irriconoscibile.

L'Evangelista per darci un'idea, anche se pallida, dello sfinimento di Gesù, trova conveniente ripetere l'espressione del profeta: Nessun dolore è simile al mio dolore.

Come alcun amore, raggiunse né raggiungerà mai l'amore di Gesù per gli uomini, avendoli amati sino alla fine, cioè fino a esinanirsi e consumarsi in croce, così alcun dolore, e neppure la somma dei dolori umani, di fronte a quelli sofferti da Lui non ne sono che l'ombra, e sopratutto, per se stessi, in nulla valevoli in ordine alla riparazione dovuta alla Divina Giustizia.

Se Gesù ha voluto dimostrare agli uomini il suo infinito Amore mediante l'infinità dee suoi dolori, per logica coerenza e giusta riconoscenza gli uomini dovrebbero avvicinarsi a Lui nella stessa disposizione di preferire le sofferenze ai diletti, o per lo meno rassegnarsi con animo lieto a tutte le miserie di questa vita e evitando tutto ciò che a Lui può dispiacere.

Seguendo passo passo Gesù nella via dolorosa, l'anima cristiana e meditativa, prova tenerezze ineffabili, sente crescere in sé il desiderio di amarlo e la disposizione di soffrire per Lui, e di giungere anzi all'eroismo: domandare la sofferenza per meglio rassomigliarGli.

Fr. Gregorio delle S. C.