Gesù verso il Sacrificio

B76-A1

È l'ora solenne.

La Divina Giustizia attende l'adempimento della grande riparazione.

La vittima, vera sola Vittima, raffigurata da quelle descritte dalla Sacra Scrittura e imposte dalla legge mosaica, è pronta e il sacrificio imminente.

Gesù ha parlato agli apostoli nel suo ultimo discorso come non aveva fatto mai.

Dalle sue parole traboccava tutto il suo amore; il presentimento dell'amaro calice, dei suoi dolori e della sua fine, da loro un'impronta nuova di affabilità e di saluto testamentario: sono precetti, consigli, raccomandazioni solenni; sono fulgidi raggi di carità; sono verità richiamate; sono la rinnovazione di profezie sulle pene, le persecuzioni, le lotte, i martirii che i suoi avrebbero dovuto incontrare, sostenere e soffrire per dimostrarsi degni di Lui; è l'affermazione della promessa della vittoria, del trionfo, del premio finale in cielo.

Dopo la lavanda dei piedi Gesù si accinge alla istituzione dell'Eucaristia, portentoso miracolo dell'Amore, mirabile trovato per appagare il suo desiderio di rimanere, anche dopo la morte e ascensione, perpetuamente e realmente come Uomo e Dio con gli uomini, essere il loro cibo spirituale, loro forza, aiuto e conforto; ricevere da essi adorazione, confidenza, amore; perpetuare la memoria e la rinnovazione, mediante il sacrificio della Messa, della sua passione e morte.

Giuda, il traditore, ripieno di satana, è partito per compiere l'esecrando delitto, mentre gli undici continuano ad ascoltare perplessi e timorosi le ineffabili parole del Maestro e gustare le divine dolcezze della loro prima comunione, non intuendo appieno lo strazio interno che già turbava il suo animo.

Finita la mensa e cantato l'inno del ringraziamento.

Gesù accompagnato dagli undici, si avvia al Getsemani, oltre il torrente Cedron, luogo già noto e testimonio di tante altre visite ed elevazioni divine.

Il Getsemani è un simbolo.

Nel suo significato linguistico vale torchio, perché ivi venivano torchiate le ulive.

È proprio in tale luogo che Gesù doveva cominciare la sua passione cruenta e lo stritolamento di se stesso.

Sotto il peso dei peccati dell'umanità di cui si era volontariamente caricato e considerandosi divenuto il peccato stesso.

Gesù sente tale ribrezzo e prova tale umiliazione e dolore da lacrimare e sudare sangue.

La forte ragione del suo immenso soffrire è questa: sentirsi coperto della colpa non sua, abbandonato dal Padre, condannato come colpevole e debitore della Divina Giustizia: soffrire, morire, espiare sì; ma vedersi ridotto in condizione di miserabile peccatore ripudiato era troppo; l'anima triste sino alla morte, non regge e il corpo cade prostrato nella preghiera: « Padre, se è possibile, allontana da me questo amaro calice » e alludeva alla sua infinita umiliazione.

Al suo spirito si presenta il dilemma: La confusione, l'obbrobrio, la passione, la morte con la redenzione dell'umanità; dall'altra, l'allontanamento dall'amarissimo calice, ma la Giustizia Divina invendicata e la dannazione eterna dell'uomo.

L'amore di Gesù vince; Egli riprende tutta la sua forza divina ed esclama: « Padre, non la mia volontà si faccia, ma la tua.

Per questo sono venuto; questo è stato sempre il mio desiderio: ricondurre a Te l'umanità traviata e perduta ».

Nel tragico momento in cui Gesù delibera la redenzione assoggettandosi alla dura passione, nessuno gli rivolge parole di sollievo e di conforto.

Non il Padre che lo considera reo e meritevole di castigo, non i suoi prediletti che a breve distanza incoscienti dormono.

A questi riflessi, le anime divote del Crocifisso sentono lacerarsi il cuore per compassione e l'ardente desiderio di unirsi a Lui nel soffrire con rassegnazione e di amarlo più intensamente, con sincero proposito di evitare l'unico male che solo può contristarlo sino a rinnovargli misticamente la sua passione e morte.

Fr. Gregorio delle S. C.